Rotastyle

A Valencia

Funermostra 2009

Funermostra, l’esposizione funeraria spagnola, ha festeggiato quest’anno la sua decima edizione. La torta con le dieci candeline è stata offerta dagli organizzatori nel corso di una simpatica cerimonia tenutasi alla fine della manifestazione e presieduta da Miguel Escorihuela, noto imprenditore funerario della regione valenciana, grande amatore di “puros” (e cioè i sigari, ed in particolare quelli di Cuba, gli “habanos”) nonché, nel caso specifico, presidente del comitato organizzatore della rassegna il cui direttore generale è la sempre affascinante, “guapa”, Beatriz Colom, responsabile, nell’ambito della “Fira de Valencia”, anche di altre prestigiose iniziative.
La capitale levantina non ci ha fatto mancare, ancora una volta, una accoglienza radiosa. Un cielo sgombro in permanenza da nubi, un sole di quelli che picchiano duro e, per rallegrare il tutto, un venticello costante apportatore di refrigerio durante tutta la durata dell’esposizione.
Esposizione che si è tenuta in giorni infrasettimanali (mercoledì 10, giovedì 11 e venerdì 12 giugno), scelta che ci aveva lasciati perplessi quando ne eravamo stati informati, ma che in definitiva si è rivelata essere stata giudiziosa. Infatti, rispetto all’edizione precedente, il numero di visitatori ci è parso superiore ed in ogni caso la decisione degli organizzatori ha tenuto conto del fatto che essendo i visitatori soprattutto i rappresentanti delle grosse realtà funerarie iberiche essi possono muoversi durante la settimana senza mettere a repentaglio la propria attività nella misura in cui sono efficacemente spalleggiati da numerosi e capaci collaboratori. Il che non è valido per le piccole imprese di stampo familiare per le quali il rischio, muovendosi, è quello di perdere servizi. Oltre, beninteso, alla necessità assoluta di essere in sede per organizzare i funerali già programmati.
In più su una superficie equivalente, o quasi, a quella dell’edizione precedente, il fascino di molti stand era suggestivo e i nostri amici spagnoli hanno saputo onorare la qualità indiscutibile delle proprie specialità gastronomiche offrendo in abbondanza quanto di meglio si produce, in tale campo, nel loro bel, anzi bellissimo, paese: “jamòn, embutidos, quesos y bebidas embriagantes”. Fieramente deciso a difendere la tradizione italiana lo stand di Vezzani, con il suo distributore iberico, che non lesinava in quanto a mortadelle e parmigiano reggiano. Presenti, ovviamente, il titolare Alfredo Vezzani con la moglie, signora Maura, insieme ad Aurelio e Chiara Puato che continuano a tener alto il vessillo Ceabis da quando l’azienda di Este è entrata a far parte del Gruppo. Come detto, molti stand erano di pregiatissima fattura e di originale concezione. Tra di essi quelli di MUB-Biointegral, con i diversi prodotti in esso esposti: urne (tradizionali, di sale e metalliche), prodotti d’igiene, loculi per urne. Interessantissimi quelli fatti di piastrelle che riproducono una immagine della squadra del cuore. Ad ogni piastrella corrisponde un loculo nel quale viene introdotta l’urna con i colori e con i simboli del club amato; tali strutture vengono installate negli stadi con concessione venticinquennale, il che permette al defunto di supportare “fisicamente”, fosse anche sotto forma di ceneri, i propri beniamini, quelli già conosciuti e quelli a venire. Tale installazione esiste oggi nello stadio dell’Atletico Madrid, rivali dei “galacticos” del Real nel derby stracittadino della capitale. Si tratta dei famosi “colchoneros”, così chiamati perché, quando la squadra fu fondata nel 1903 soprattutto da studenti baschi che vivevano a Madrid (il nome originale era, in basco, “Atletic”), le prime “camisetas” (magliette) indossate portavano i colori biancorossi visto che il tessuto utilizzato per farle era stato regalato (gli universitari di allora erano alquanto squattrinati) da un fabbricante di “colchones” (materassi) che si trovava nelle vicinanze della stazione di Atocha nei pressi della quale, al sud della capitale, si erge oggi l’antro biancorosso che porta il nome di Vicente Calderòn. Dalla parte opposta del Paseo della Castellana, a nord, troneggia invece il tempio dei “merengues”, quel “Santiago Bernabeu” (così chiamato in onore del grande presidente del Real, prima si chiamava Chamartin come la vicina stazione ferroviaria) sogno di tante stelle della pedata (vedi Kakà, Cristiano Ronaldo e forse anche, staremo a vedere nei prossimi giorni, Villa e Ribery) che approfittano della mania di grandezza del club nonché delle eccellenti finanze dello stesso. Ed il tessuto in questione era quello che serviva a fabbricare i materassi che a quell’epoca in Spagna dovevano, per inveterata tradizione, essere a striscie biancorosse. Un po’ come le vetture di Ford che, poco interessato ai “marchettari” (come già detto in un articolo precedente, così ci piace definire i “maghi del marketing”) che lo incitavano ad introdurre colori nuovi, affermava la sua disponibilità ad assecondare i gusti della clientela con la celebre frase: “Possono comperare l’auto del colore che vogliono purché sia … nera”. Bell’esempio di sensibilità alla “customer satisfaction”!
Soddisfazione del cliente che invece sembra oggi imperversare dappertutto, compreso il mondo dell’industria funeraria. Ne sono prova i tanti stand accattivanti. Citeremo quelli di Hygeco España (la filiale iberica del gruppo olandese Facultatieve), di Memora (primo gruppo funerario spagnolo con alla testa quell’Eduardo Vidal che già avevamo conosciuto come Direttore Generale del Servizio Funerario di Barcellona del quale Memora possiede oggi il 49%), di Interfuneraria (dei fratelli Alvarez di Avila che giustamente fanno onore alla Santa di quella città distribuendo “larga manu” le famose e prelibate “yemas de Santa Teresa” e cioè gialli d’uovo acconciati in forma di tenera pallina ricoperta di zucchero), e di Tanasystem del sempre vigile Joan Alegre. Di Vezzani bronzi abbiamo già detto. Essa presentava per la prima volta in una fiera un forno di Ciroldi dopo i recenti accordi intercorsi tra le due aziende.
Ritornando ai prodotti visti non mancheremo di menzionare le bare design”, frutto del coinvolgimento del famosissimo stilista catalano Antonio Mirò nel progetto di un cofano funebre. Mirò fa parte di quel serbatoio inesauribile di geni che, in ogni espressione artistica, abbondano in Spagna. Da Almodòvar nel cinema (senza parlare di Buñuel) a Calatrava e Bofill nell’architettura, da Mirò, Gris, Picasso (per non citare i “vecchiGoya, Velazquez, El Greco, che pur essendo un Domenico Theotokopoulos di Creta - commovente il busto che orna la piazzetta del suo villaggio natale, Fodele, di fronte alla pergola di una minuta osteria dove, in anni lontani, abbiamo trascorso molti pomeriggi sorbendo, lentamente ma sicuramente, molto “ouzo” - è chiaramente “spagnolo” per formazione e per espressione artistica) nella pittura, fino a Chillida, il grande basco, nella scultura. Senza parlare, poi, della letteratura che dall’immenso padre di Don Chisciotte, Miguel de Cervantes Saavedra passando attraverso il trio di drammaturghi del “siglo de oro” (Tirso de Molina, Calderòn de la Barca, Lope de Vega) ci conduce agli autori recenti tra i quali non possiamo non menzionare, tra i tantissimi, Ortega y Gasset dal magnifico castigliano, il poeta Federico Garcia Lorca, lo scrittore filosofo Miguel de Unamuno (chi non ha letto il celeberrimo “Del sentimento tragico della vita”, del 1913, nel quale l’autore osserva che l’impulso vitale verso l’immortalità non trova una conferma razionale e che la ragione non è in grado di mostrare alla vita il suo fine supremo. Da qui il “sentimento tragico della vita”, la contraddizione in cui si fronteggiano le esigenze intellettuali e quelle affettive di ogni “uomo fatto di carne ed ossa”. Dalla sofferenza Unamuno riesce a giungere al concetto di amore misericordioso mediante il mistero della morte e della sofferenza di Cristo nella quale egli trova una risposta alla sua angoscia) fino al Nobel galiziano (“gallego”, come direbbero gli amici spagnoli) Camilo José Cela, morto nel 2002, nella cui opera ritroviamo tutta la sua vita vissuta prima come combattente dalla parte franchista durante la guerra civile e successivamente come ironico critico del regime.
Un Paese, insomma, che forse anche grazie alla grande varietà di incroci (latini, arabi, visigoti, normanni, … sono passati da quelle parti) che favoriscono il selezionarsi dei caratteri migliori e alla storia anche drammatica (la guerra civile del ’36) che esaspera la sensibilità al mondo esterno, riesce ad esprimere una produzione di grandissimo talento e di immenso valore artistico.
Tutto ciò per dire che le risorse della creatività ispanica sono inesauribili e che la presenza di Antonio Mirò, giunto personalmente in fiera, non è anodina. Essa rappresenta l’intervento della società, della vita, della creazione, in quella dell’eterno riposo al quale il defunto giunge avvolto da un contenitore originale e ricco, tanto con le rotondità di una proposta che con la geometria di forti valenze simboliche di un’altra.
Restando sul tema dei cofani funebri dobbiamo segnalare la scarsa presenza di tale prodotto a Funermostra. Ciò è dovuto al boicottaggio da parte di alcune aziende, tra le quali molti produttori di casse quasi tutti concentrati come si sa nella regione valenciana, che per ragioni, sembra, di frequenza troppo ravvicinata della manifestazione hanno preferito astenersi dal partecipare. Nonostante tale assenza la fiera tuttavia ci è sembrata avere un buon successo nei limiti consentiti dalla sua taglia. Come sempre, boicottaggio o meno, le fiere vivono di vita propria riprendendo la colorita espressione francese “les chiens aboient, la caravane passe …” (i cani abbaiano, la carovana passa), incuranti di tanto schiamazzo i cui echi, in versione italica, sono giunti perfino a Valencia.
Tra i diversi prodotti esposti ricorderemo i veicoli di Bergadana, ormai parte della tedesca Binz, e quelli di Alea nel cui stand abbiamo rivisto con piacere Francesco Dadone. Tra gli altri italiani presenti il simpatico team romagnolo della sempre entusiasta Massimo Piraccini Treatment alla ricerca di nuovi successi dopo quelli conseguiti in Italia ed in Francia (Tanexpo e Lione) e RGB, facente parte ormai di Industrie Unibind, condotta personalmente dal titolare Davide Berluti affiancato dal responsabile delle vendite export Nicola Carnaroli. Essi hanno presentato un prodotto estremamente originale, fotoceramiche nelle quali l’immagine della persona è in rilievo. Ciò favorisce un contatto più “realista” quando, primo gesto di chi si reca al cimitero, la mano porta il bacio dalla bocca alla figura amata prima di comporre il segno della croce. Idea innovativa che parte da una percezione molto acuta del momento emotivo e che auguriamo porti ai nuovi titolari il successo al quale ambiscono. Sempre in evidenza i pregevoli cofani di Ferrari, con Daniele Mazzolini che ritroveremo la settimana prossima in Polonia, e la completissima gamma di prodotti per l’urgenza e per il trasporto di Spencer. Abbiamo avuto poi la felice sorpresa di vedere esposti i monumenti provvisori della Saggio di Pomezia, il cui responsabile si è detto estremamente soddisfatto di come stanno andando le cose per un prodotto la cui qualità è fuori discussione con il vantaggio, cosa rara per i tempi che corrono, di un prezzo assolutamente accessibile.
Tra i visitatori esteri Francesco Forgione, il noto produttore di cofani, Ildefonso Gonzalez e Gabriela Esquivel, organizzatori della fiera messicana, e Philippe Gentil, già direttore generale di Roc-Eclerc. Molto in vista la presenza di una folta delegazione russa, capeggiata dal solito Serguei Yakushin, Presidente della Sibirskaya Iarmarka (la Fiera Siberiana di Novosibirsk) ed organizzatore dell’esposizione funeraria moscovita, che comprendeva una trentina di direttori di cimiteri della capitale tra i quali il responsabile degli affari funerari del comune di Mosca. Tra i locali abbiamo rivisto con immutato piacere Josep Cornet, il titolare della “Revista Funeraria” l’inossidabile Gonzalo Amoros, Carmen Olmeda e José Manuel Martin de “La Guia Funeraria”, Juan Antonio Zarco di Hygeco España, José Huertes della Biointegral nello stand comune con MUB ed il carissimo amico Juan Luis Cembrano Prieto della omonima azienda fortemente orientata verso il rispetto dell’ambiente. Senza dimenticare il simpaticissimo Francisco Miguel Nùñez Morales del Serveis Funeraris de Barcelona, altro veterano delle scorribande all’estero che questa volta giocava in casa.
Anche in Spagna, come in tutti i paesi che abbiamo visitato di recente, la tendenza alla cremazione è inequivocabile. La prova risiede nel numero importante, rispetto al totale, di espositori produttori di forni (in ordine alfabetico Atroesa, Ciroldi-Vezzani, Facultatieve e Kalfrisa) e parallelamente di fabbricanti di urne tra i quali due “newcomers”, la RoMa, azienda che sino ad oggi ha riservato la produzione di contenitori lignei alle bottiglie d’olio, vino o aceto e che si presenta sul mercato con una elegante ed originale cascata di drappi nei quali si inseriscono, impreziosite, le urne, e la Segi Hiru (dal nome che potrebbe essere scambiato per giapponese, ma che in realtà è euskadi, e cioè basco), simpatica azienda di Donostia (nome basco, per l’appunto, di San Sebastian) che produce urne nell’ambito di una assai lodevole ed ammirevole iniziativa volta all’aiuto di persone sofferenti per invalidità di vario tipo. Ad essi auguriamo franchi successi con la speranza di vederli l’anno prossimo in Italia, a Bologna, per Tanexpo 2010 alla quale il responsabile, il simpatico Erramun Beltza, ha promesso di partecipare per poco che un certo successo commerciale faccia seguito alla loro partecipazione a Funermostra.
Lasciamo quindi Valencia con una punta di nostalgia e con la speranza di rivederla fra un paio d’anni ancora più bella, in particolare agli occhi di chi l’ha conosciuta, triste ed insignificante, qualche decina di anni fa. È incredibile constatare come tutta la Spagna sia esplosa, talvolta anche con brutture (vedi Benidorm e Torremolinos come esempi non limitativi) che non hanno nulla da invidiare a certi sconci urbanistici che hanno ferito, violentato quello che era stato il nostro bel paese. Eppure una città come Valencia ha saputo svilupparsi portando, soprattutto al centro, bellezza allo stato puro trattandosi sia di realizzazioni monumentali, che pur moderne ben si integrano nel tessuto storico-architettonico della capitale levantina, che di arredo urbano o di decorazione vegetale. Parchi, fontane, giardini, filari di palme che con la loro nobile imperturbabilità impreziosiscono lunghe “avenidas” facendo sentire il viandante, nel senso etimologico di “colui che va per istrada”, come parte di un tutto armonioso e naturale, senza forzature. E questo lo si ritrova come tratto costante, chiaro segno di una volontà politica, anche in quartieri che avrebbero potuto facilmente essere sfigurati da amministratori disinvolti e magari anche corrotti. Due esempi tra i tanti. Quello della zona del porto con la bella spiaggia della Malvarrosa ritornata al primitivo splendore, dopo anni di degrado, grazie al gran lavoro intrapreso dagli amministratori in vista della Coppa America che è possibile si rifaccia a Valencia fra qualche tempo. Il che dimostra, una volta di più, che i grandi eventi possono determinare mutazioni estremamente favorevoli per la comunità quando essi siano gestiti e coordinati da persone che più che alla propria carriera pensano ai cittadini che li hanno eletti. In Spagna, poi, gli esempi che vanno in questa direzione non si contano. Le città ne sono uscite trasformate e più vivibili per la gioia di tutti. Pensiamo alla Barcellona di prima e dopo i Giochi Olimpici, alla Siviglia di prima e dopo l’Esposizione Universale, alla Bilbao di prima e dopo il museo Guggenheim. Soprattutto in quest’ultima città ogni volta che ci toccava di andare (in tempi non molto lontani durante i quali abbiamo trascorso quasi un paio d’anni della nostra esistenza girando in lungo e largo per tutta la penisola iberica) un magone impossibile ci prendeva al solo pensare che per recarci in centro dovevamo passare per Barakaldo, rione grigio, lugubre e degradato, anche socialmente, di vecchie acciaierie ed altre fabbriche. Oggi anche Barakaldo è praticabile, civettuola, ed ogni volta che Bilbao ci chiama per la quasi rituale visita annuale al Guggenheim non tralasciamo di recarci in uno dei tanti piccoli ristoranti sorti qua e là o in qualche negozietto di giovani creatori fra i quali si nasconde, chissà, l’Antonio Mirò di domani. Attendiamo di vedere come Milano saprà sfruttare l’occasione dell’Esposizione del 2015!
L’altro esempio, con il quale chiuderemo questo resoconto, riguarda Benimamet. Tale nome, di chiara ascendenza araba, è quello del quartiere dove si trova la fiera e dove, per ragioni pratiche, alloggiamo quando andiamo a Valencia per l’esposizione. Ancora pochi anni fa esso sembrava destinato ad essere inglobato, digerito, anonimizzato diremmo, dalla grande città (Valencia conta poco meno di un milione di abitanti che diventano più di un milione e mezzo con i dintorni). Ed invece esso è riuscito a conservare la sua individualità fatta di vecchie villette, alcune delle quali di chiaro stile “almudejar”, e cioè arabo-andaluso, altre in puro liberty come quelle che fiancheggiano la stazione del metrò, di edifici borghesi e di poche case rurali, che ancora resistono per la nostra gioia, spesso circondate da rigogliosi giardini in cui il fico la fa da padrone eventualmente illeggiadrito dalla vivace presenza di una bouganvillea abbagliante per la luminosità che le viene dal catturare i raggi al calor bianco del sole mediterraneo. Accanto ad esse si ergono nuovi palazzi (molti purtroppo la cui costruzione è stata sospesa a causa della crisi, soprattutto edilizia, che ha prodotto già quasi quattro milioni di disoccupati nel paese e che, secondo le proiezioni del ministero del lavoro, potrebbero toccare i cinque alla fine del 2010) ben integrati nel tessuto urbanistico precedente. Essi ospitano famiglie giovani, come testimoniato dall’osservazione diretta e dal numero considerevole di asili nido per accogliere i più piccoli. Così il quartiere periferico rivive, immune dai super o ipermercati. Ve ne sono sì, ma discreti e di ragionevoli dimensioni, lasciando lo spazio ad una quantità di macellai, di barbieri, di fruttivendoli e cioè di esponenti di quel commercio di prossimità fatto anche di rapporti umani scomparsi definitivamente dagli anonimi corridoi dopo i quali il massimo è rappresentato dalle insopportabili file d’attesa alle casse con i carrelli pieni. Recentemente cercavamo disperatamente nella regione londinese, dove spesso gli affetti familiari ci conducono, un macellaio perché ci fornisse un taglio particolare di carne atto a preparare (le tradizioni devono essere protette e conservate!) una specialità austro-ungarica della nostra natia Trieste. Impossibile! A Benimamet, che non è Londra, non avremmo avuto problemi di sorta. Anche se, ovviamente, avremmo dovuto pagare qualcosa di più (l’artigiano di quartiere non ha i mezzi per prendere alla gola il fornitore come accade ai supermercati), ma cosa importa?
Questa è la Spagna che ci piace! Questa è la Valencia che contiamo di ritrovare alla prossima edizione di Funermostra.
Hasta luego!
 
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