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La Fondazione Faro

La parola inglese hospice, all’attualità traducibile in “luogo di ricovero e di accoglienza”, definiva “le case di ospitalità” costruite nel Medioevo ai margini delle strade, lungo i percorsi dei grandi pellegrinaggi religiosi. Con tale termine si identifica oggi una struttura sanitaria extra-ospedaliera ad elevato contenuto umanitario, ideata e realizzata per migliorare la qualità di vita dei propri ospiti e per accogliere malati che per motivi diversi non possono essere assistiti adeguatamente in casa propria.
In Italia, con l’entrata in vigore della Legge n. 39 del 1999, è stata data diffusione alla struttura degli hospices. La normativa, appoggiata dall’allora ministro della Salute Rosy Bindi, contemplava l’adozione di un programma su base nazionale per la realizzazione e per il finanziamento, in ciascuna regione e provincia autonoma, di una o più strutture - “ubicate sul territorio per consentire una agevole accessibilità da parte dei pazienti e delle loro famiglie e per garantire cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari” - dedicate prioritariamente all’assistenza palliativa e di supporto per pazienti affetti da patologia neoplastica terminale. Gli hospices avrebbero dovuto essere realizzati esclusivamente attraverso l’adeguamento e la riconversione di strutture di proprietà di aziende sanitarie locali o di aziende ospedaliere, anche parzialmente inutilizzate, determinando una affinità con gli ospedali non solo di carattere logistico, ma anche culturale. Probabilmente per questo motivo e a discapito degli stessi hospices, ritenuti inadeguati a creare quell’atmosfera alternativa alla casa seppur intima come era nelle intenzioni del legislatore, gli operatori hanno preferito attuare le cure palliative al domicilio dei pazienti. Secondo l’ultima rilevazione ufficiale italiana, gli hospices sono 164: anche se in continua crescita, il loro numero risulta essere ancora insufficiente rispetto alle sempre più numerose richieste di poterne fruire.
Particolare attenzione va alla Fondazione Faro, costituita a Torino nel 1983 per volontà di alcuni medici oncologi dell’Ospedale San Giovanni Antica Sede fra i quali il professor Alessandro Calciati (oggi Presidente Onorario della Fondazione) ed il dottor Oscar Bertetto (attuale vice Presidente). Nel 1989 la Fondazione intraprende nel capoluogo piemontese un programma assolutamente gratuito di assistenza domiciliare medica e infermieristica a favore dei malati oncologici in fase avanzata.
Nel 2001 viene inaugurato, al terzo piano dell’Ospedale San Vito di Torino, l’Hospice intitolato a Sergio Sugliano, che ne fu determinato e volitivo sostenitore, e che dispone di 14 camere singole, di un ampio soggiorno arredato con poltrone, libreria e televisore, di un angolo per i bambini con giochi e libri. Due grandi terrazzi - particolarmente apprezzati nella bella stagione - si affacciano sulla città e sulla catena alpina; due cucine, una di reparto e una riservata ai familiari degli ammalati, completano il complesso. Il soggiorno viene utilizzato per momenti comunitari particolari (quali, ad esempio, la celebrazione di matrimoni o di prime comunioni) ed è a disposizione delle famiglie quando desiderano condividere occasioni speciali. Questa preziosa realtà, che afferma il valore della vita considerando la morte come evento naturale, è aperta 24 ore al giorno, non contemplando restrizioni all’orario di visita per familiari e amici, nel rispetto dei desideri del malato e dei diritti degli altri ospiti.
Dopo anni di esperienza nell’ambito dell’assistenza domiciliare ai malati, la Faro ha avviato un progetto rivolto alle famiglie all’interno dei maggiori centri oncologici della città. L’obiettivo del Progetto Protezione Famiglia è quello di accompagnare con particolare cura le famiglie fin dal momento della diagnosi, strutturando programmi di sostegno psico-sociale mirati e specifici per le loro peculiari esigenze nel percorso della malattia e durante il lutto. In particolare è rivolto a nuclei familiari definiti “fragili” in cui sono presenti bambini e adolescenti o familiari disabili e con gravi problemi di disagio, oppure perché appartenenti a gruppi ristretti e isolati o a fasce di marginalità sociale.
 
Maria Angela Gelati

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