- n. 5 - Maggio 2012
- Recensioni
Musica precolombiana
I fischi della morte di Maya e Aztechi
Quando si sente parlare di Maya, Aztechi e Inca tra le prime cose che vengono alla mente, oltre alle piramidi di Machu Picchu, sono le troppe volte citate profezie. Il mistero che avvolge la cultura di queste antiche civiltà è davvero fitto ed è noto purtroppo che dove non riesce a farsi strada la conoscenza si apre campo libero alla superstizione.
Non per tutti però. Qualche anno fa, nel 2008, Roberto Velazquez, un ingegnere messicano di 66 anni, ha scoperto quale fosse il reale utilizzo di alcuni manufatti di origine precolombiana, risalenti al 400 a.C.: si trattava apparentemente di oggetti ornamentali, costruiti con pelli animali, creta e canne da zucchero, raffiguranti in alcuni casi immagini macabre; dopo anni di studi, Velazquez invece è arrivato alla conclusione che fossero strumenti musicali, chiamati “Whistles of Death”, ovvero “Fischi della Morte”.
Il suo paziente lavoro, durato molti anni, ha ridato nuova vita a questi oggetti che solitamente venivano relegati nei musei del mondo tra quelli di poca importanza e di uso comune. Tuttavia non si è limitato solo alla ricostruzione della loro struttura e a studiarne le eventuali funzioni, ma soprattutto a farli rivivere come strumenti musicali, facendoli tornare a suonare. Per anni infatti ha cercato di capire come fosse possibile far suonare delle pelli animali anche se combinate con altri elementi; recentemente, nel giugno del 2008, presume di esserci riuscito, poiché nessuna registrazione originale dell’epoca verrà mai a confermarlo. Il suono che emettono questi strumenti è sinistro e sarebbe difficile definirlo armonioso, ma sicuramente risulta magico ed evocativo.
Il primo whistle of death fu ritrovato dall’esperto di archeologia di musica preispanica Arnd Adje Both accanto a uno scheletro che ne conservava due esemplari, uno in ciascuna mano. Grazie a tale scoperta e al lavoro di Roberto Velazquez e della sua equipe ci è stato possibile conoscere la dimensione del suono legata a civiltà antiche che vengono solitamente immaginate afone e mute. La musica invece rappresentava un elemento molto importante nella vita delle comunità maya e azteche. In particolare, gli archeologi oggi ritengono che i fischi della morte accompagnassero il defunto nel viaggio verso l’aldilà: con i loro suoni lugubri allontanavano i nemici e gli permettevano un percorso tranquillo. Tuttavia la musica nelle civiltà precolombiane non era legata esclusivamente ai riti funebri e a situazioni negative: tutte le cerimonie erano caratterizzate dalla presenza della musica, una tendenza che è facile riscontrare ancora oggi nelle società del centro-America e del Messico in particolare. Alcuni ricercatori sostengono inoltre che i whistles of death venissero utilizzati anche in campo medico: inducendo la trance nei soggetti affetti da malattie, essi avevano il potere di curarle. La loro scoperta ha quindi influito anche negli studi sulla possibile induzione di stati di alterazione della coscienza da parte dei suoni.
L’equipe che ha accompagnato Roberto Velazquez nel suo lavoro è composta da archeologi, storici e musicisti messicani che hanno avuto la possibilità di muoversi in un campo di studi inesplorato, considerando che fino a circa dieci anni prima i
whistles of death venivano considerati oggetti di modesto valore anche a livello scientifico. La costanza, la tenacia e la passione di questi uomini hanno portato alla luce un aspetto delle civiltà precolombiane che non era mai stato indagato prima d’ora e la cui scoperta ha una portata enorme nella evoluzione delle conoscenze relative a queste popolazioni e nella storia della musica. Tuttavia il velo del mistero cela ancora molti aspetti della cultura delle civiltà precolombiane dell’Ameria Centrale e Meridionale alle quali, adesso, inizia ad essere associata una nuova sfera di studi, quella dedicata alla musica.
Sara Sacco