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Passeggiando sul “Prato del lupo”

Parliamo del Farkasréti Temeto che, con il Kerepesi, è il cimitero più importante della città di Budapest e dell’intera Ungheria.

Avevamo già avuto modo, in passato, di parlare del Kerepesi Temeto, il cimitero monumentale di Budapest, un vero e proprio parco funerario famoso a livello mondiale, che si trova nella Fiumei út (via di Fiume) a Pest nel popolare ottavo kerület (quartiere) della capitale magiara.

A noi giuliani il nome della via, Fiume, evoca nostalgie della bella città che era stata il porto, unico accesso al mare, della Corona ungherese. Città di origine romana (l’antica Tharsaticum) passata alla Jugoslavia (e successivamente, dopo la disgregazione di questa, alla Croazia) aveva cambiato il suo nome in Rijeka che poi in lingua croata significa proprio “fiume” (Rjecina, Recsina in ungherese) dato che il fiume Eneo nel suo basso corso ha segnato tra il 1924 ed il 1941 il confine tra Italia e Jugoslavia separando la città prevalentemente italofona di Fiume dal quartiere slavofono di Susak. Una città che mi è particolarmente cara perché vi si trova il santuario della Madonna del Tersatto, con una vista impareggiabile sul golfo del Quarnaro, assai amato da mia nonna, istriana di Albona (oggi Labin). Noi, triestini di una certa età, ricordiamo ancora gli anziani fiumani che si erano rifugiati in Italia alla fine della guerra e che avevano frequentato le scuole ungheresi della città portuale. Tra di loro parlavano quella strana lingua ugro-finnica di cui capivamo ben poco. C’era, vicino a casa, un’anziana signora che di solito con noi ragazzini parlava in dialetto istro-veneto ma quando si arrabbiava per le nostre monellerie incominciava a sgridarci in ungherese. Risultato: si faceva di tutto per farla andare fuori dai gangheri solo per sentirla imprecare nella bella lingua di Sándor Petöfi, il poeta nazionale ungherese morto nel 1849 in battaglia e il cui corpo non fu mai ritrovato, e di tanti altri illustri personaggi come Magda Szabó o Sándor Márai, morto suicida in California ad 89 anni solo nove mesi prima che cadesse il muro di Berlino, causa del suo lungo e amaro esilio. A questo proposito mi sorge spontanea l’associazione con il personaggio di Cacciaguida che nel XVII canto del Paradiso di Dante dichiara “Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Peccato che Márai non abbia visto, dopo una vita triste lontano dalla sua terra, la rinascita della sua patria.

Ma torniamo a Budapest. Il nome della città nasce dall’aggregazione di due zone: quella di pianura, Pest e quella collinare, Buda. Industriale, commerciale e frenetica la prima; intima, residenziale e romantica la seconda che conta circa un terzo degli abitanti della capitale. Qui, al numero 7 della Szentháromság utca (via della Trinità), si trova ancora la pasticceria Ruszwurm dove Sissi, imperatrice d’Austria nonché regina d’Ungheria, che amava più Budapest e gli ungheresi che Vienna e gli austriaci, soleva recarsi per degustare, ossessionata dalla dieta, una minuscola porzione di Dobos la famosa torta ungherese creata dall’omonimo pasticciere.

Anche a Budapest, come in tutte le grandi città, si riscontrano i medesimi problemi cimiteriali: aumento considerevole del numero degli abitanti, e quindi dei decessi, con conseguente capienza insufficiente per accogliere nuovi arrivati e scarsità di spazi disponibili per creare ulteriori aree cimiteriali. In questo caso poi si aggiungono altri fattori derivanti dal sistema politico d’anteguerra (reggenza nazionalista autoritaria dell’ammiraglio Miklós Horthy dal 1920 al 1944) e dagli anni di conduzione totalitaria dal 1949 al 1989, data del rovesciamento del sistema comunista, senza dimenticare il tragico intermezzo della rivoluzione antisovietica del 1956 duramente repressa. In questo contesto i piccoli cimiteri comunali delle numerose località che formano la capitale, soprattutto dalla parte di Buda, vengono demoliti. Quelli parrocchiali fanno la stessa fine ed in ogni caso non accolgono nuove sepolture in un Paese ufficialmente ateo.
Il cimitero di Kerepesi, aperto nel 1847, non riceverà più corpi a partire dal 1952, l’anno più buio della feroce tirannide comunista condotta in Ungheria da Mátyás Rákosi, sinistro staliniano vilmente scappato in Unione Sovietica dopo la rivoluzione del 1956, dove morì nel 1971. Le sue ceneri, rientrate ignominiosamente in patria in una anonima scatoletta di legno nascosta dentro i gabinetti (luogo più che appropriato per un assassino del genere) di un volo di linea, si trovano oggi nel lotto 19 del cimitero di Farkasréti. Sembra un loculo abbandonato, completamente anonimo, senza indicazioni di nome e di date. Nel 2007, gli anni della grande popolarità del gruppo di estrema destra della Magyar Garda, fu vandalizzato a più riprese. Era rimasta una targa con le sole iniziali. Scomparsa anche quella. Sic transit gloria mundi!

Un fatto è certo. Come la capitale ungherese è costituita da due entità ben distinte, anche i cimiteri di Kerepesi e di Farkasréti sono dei “fratelli forzati” e la storia di Farkasréti è in realtà inseparabile da quella del cimitero di Pest.
Farkasréti significa “Prato del lupo” anche se di lupi da quelle parti non se ne sono mai visti. Il nome non è altro che la traduzione del toponimo germanico wolfswiese dallo stesso significato. Infatti per molti anni per le località si ricorreva comunemente alle definizioni in tedesco.
Farkasréti nasce come cimitero pubblico urbano (come il Kerepesi) e viene aperto il primo aprile 1894. Si trova sul versante sud-orientale della collina di Széchenyi e la sua superficie odierna, frutto di varie estensioni succedutesi nel tempo già a partire dal 1914, è di una trentina di ettari. La sua posizione alla periferia della capitale, attorniato dalle colline semicircolari di Buda che lo proteggono da venti ostili, consente una vista unica sulla città.
Venne istituito perché in quel momento la disponibilità dei cimiteri più piccoli di Buda si stava esaurendo e le condizioni igieniche erano assai precarie. Accadde così che i cimiteri di Tabán-Krisztinaváros, di Vizváros (città dell’acqua) del 1785 e di Németvölgy (valle tedesca) del 1885 furono progressivamente liquidati. Molte tombe dei vecchi cimiteri di Buda, come pure del Kerepesi dopo la sua chiusura, vennero trasferite al Farkasréti aumentandone la ricchezza artistica e decorativa.

Come spesso succede, la creazione del camposanto si fece tra mille polemiche e difficoltà. C’era chi voleva destinare lo spazio ad un’area ricreativa, vista la felice posizione, e chi sosteneva che lo sviluppo del quartiere ne avrebbe sofferto. Altri temevano che il terreno detritico ed argilloso potesse creare frane e mettere a repentaglio le falde acquifere. Battaglie che ripresero vigore nel 1914 al momento del primo ampliamento. A tal proposito vennero alimentate leggende dal sapore horror. Quella più comune riguardava le acque sotterranee ed il misterioso movimento del suolo che si credeva responsabile di una misteriosa scomparsa di bare. Un giornalista dell’Esti Hírek (notizie della sera), il primo tabloid ungherese, prese lo spunto da una bara non ritrovata durante un’esumazione per creare il caso del fenomeno di migrazione generale dei feretri, affermando inoltre che non solo i defunti potevano spostarsi nel sottosuolo ma che anche le tombe potevano cambiare posizione a seconda di dove il terreno era più umido (evidentemente Einstein non era ancora arrivato con la sua teoria della relatività!) Solo la perizia di Ferenc Shafarzik, il pioniere ungherese dell’idrogeologia, della mineralogia e della sismologia mise fine ai “terribili errori ed orrori” di chi diffondeva quelle (pseudo) informazioni, scrivendo che a Farkasréti si possono osservare solo piccoli movimenti del suolo, che non ci sono inondazioni ma solo perdite intermittenti e che le sorgenti di acqua amara si trovano sul lato opposto della Sashegy (la montagna dell’aquila), aggiungendo, peraltro, l’osservazione che in quel tempo non s’era trovato a Budapest alcun luogo geologicamente adatto a tutti gli effetti per un cimitero.

Farkasréti è uno dei tre cimiteri più importanti del patrimonio funerario magiaro assieme al Kerepesi ed al Hászongárd Temeto nella città di Cluj-Napoca (città della chiusa, attualmente rumena) centro più importante della Transilvania e sede di una prestigiosa università dove gli insegnamenti vengono impartiti ancor oggi in rumeno, ungherese, tedesco, inglese e francese. Cluj fu ceduta dopo il trattato del Trianon di Versailles del 1920 che privò l’Ungheria del 72% (232.000 kmq!!) del suo territorio (passati a Romania, Slovacchia, Regno di Serbia, Croazia, Slovenia, Austria, Russia) e del 64% dei suoi abitanti, tanto che una delle ragioni che spinsero l’Ammiraglio Horty a sostenere Hitler fu proprio la promessa di quest’ultimo e dell’Italia di far ritornare all’Ungheria, una volta vinta la guerra, i territori persi con il primo conflitto mondiale.
La svolta più importante per il “Prato del Lupo”, giunse nel 1952 quando Kerepesi fu dichiarato ufficialmente chiuso ed ateo (ciò durò fino al cambio di regime del 1989). Era possibile esservi sepolti solo col permesso, difficilissimo da ottenere, del Consiglio Metropolitano. Da quel momento la storia di Farkasréti è stata caratterizzata da uno sviluppo costante diventando il più raffinato dei cimiteri. A partire dagli anni ‘50 la sua immagine si è evoluta sia grazie a ristrutturazioni di alta qualità che al numero crescente di vecchi cimeli trasportativi da altri camposanti dismessi.
Inoltre qui era possibile organizzare anche funerali religiosi o cerimonie funerarie di altro genere, cosa che sarebbe stata inimmaginabile nel cimitero di Pest.
Comunque, fino agli anni ‘50 conservò un carattere locale: solo i residenti di Buda potevano esservi sepolti, mentre quelli di Pest erano ammessi solo se possedevano una tomba di famiglia.

Tra le due guerre qui si concentrarono chiaramente le sepolture degli abitanti di Buda anche se il luogo più importante rimaneva ancora Kerepesi. Nel 1927, ad esempio, nel cimitero di Németvölgy, prediletto dall’élite della zona, ci furono 9 sepolture contro le 1551 di Farkasréti. Proprio in questo periodo la sua notorietà aumentò considerevolmente in quanto, pur essendo ancora legato al popolo di Buda, molte delle persone sepolte avevano attività di rilievo nazionale.

Molti monumenti furono distrutti a causa dei bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale, tra cui una chiesetta, esempio tra i più rappresentativi di architettura ecclesiastica del periodo interbellico e probabilmente la più significativa dell’epoca nell’arte funeraria. Sulle sue rovine sono stati costruiti dei colombari dove sono stati collocati i resti che si trovavano nella cripta della chiesa.
Di fronte all’ingresso principale della Németvölgy út 99 era stata inaugurata nel 1913 la statua del Buon Pastore distrutta anch’essa durante la guerra. Al suo posto si trova dal 1989 la famosissima Fenice, l’uccello più famoso della mitologia greco-egizia, di Mihály Mészáros incarnazione mitica della rinascita, della resurrezione, della forza e della resistenza al tempo.

L’influenza dell’arte romana sull’arte funeraria del “Prato del lupo” è di importanza decisiva nelle tombe più antiche. Il nome “scuola” più che riferirsi ad uno stile o ad un gruppo di artisti si richiama ad un ristretto periodo dell’arte e della cultura di cui una delle caratteristiche principali era il modernismo conservatore e classicheggiante. Tibor Gerevich, direttore dell’Accademia Ungherese di Roma e principale teorico della tendenza, trovò nella città eterna in Béla Ohmann uno scultore rappresentativo dei borsisti ungheresi. Tant’è che il loro rapporto fu coronato dalla realizzazione, da parte di quest’ultimo nel 1935, della tomba di uno dei membri della famiglia Gerevich.
Allora come oggi molti scultori soffrivano per la carenza di ordini ufficiali e si rivolgevano quindi a settori favoriti dal mecenatismo privato come quello funerario. Ricordo sempre con piacere un carissimo amico: lo scultore rumeno Sandi Calinescu “Arghira” oggi scomparso. L’avevo conosciuto una quarantina d’anni fa alla Cité Internationale des Arts di Parigi che frequentavo assiduamente e dove trovavo altri artisti di rilievo. Quando passavo a Bucarest andavo sempre a trovarlo ed egli, con la sottile ironia propria del suo popolo, mi diceva tra un bicchierino di tuica (distillato di prugne rumeno omologo della Šljivovica serba e dello Szilvapálinka ungherese) e l’altro: «Vedi, Pietro, qui l’unico modo per campare è quello di fare monumenti funerari visto che i quattrini pubblici se li mangiano tutti i funzionari corrotti». Nulla di scioccante alle italiche orecchie.

Fare una lista dei personaggi eccellenti ospiti di Farkasréti sarebbe impresa ciclopica. Meglio che ciascuno vada alla scoperta dei monumenti passando almeno una mezza giornata in quel luogo facilmente raggiungibile in pochi minuti dal centro di Budapest (circa 3 km.) in tram, bus o taxi.
Cito solo il sito commemorativo più visitato di Buda: la tomba di Béla Bartók il grande compositore, pianista ed etnomusicologo ungherese nato nel 1881 e morto di leucemia in esilio ed in grande povertà a New York nel 1945. Le spese per il suo funerale, al quale parteciparono 10 persone, furono sostenute dall’ASCAP (American Society of Composers,
Authors and Publishers) un’associazione non profit per la protezione dei diritti d’autore.
Il trasferimento delle sue ceneri dal cimitero Ferncliff di Hartsdale, NY a quello di Farkasréti costituisce probabilmente l’evento più importante nella storia del cimitero. Le autorità avevano tentato in ogni modo di farlo trasferire a Kerepesi ma alla fine ha prevalso la volontà della famiglia. La cerimonia si è svolta alla presenza di una folla numerosa ma con una scarsa rappresentanza dello Stato. Erano presenti molti artisti tra i quali Miklós Borsos, il creatore della sua bellissima tomba, che unisce due simboli musicali: l’uccello e le corde di un liuto. Nel marzo 1998, lo splendido direttore d’orchestra, ungherese naturalizzato inglese, Georg Solti (nato György Stern) venne sepolto per sua volontà accanto a lui. Una magnifica coppia che rimarrà eterna negli annali della grande musica.

Per i più curiosi la più vecchia tomba, tuttora nel luogo di prima posa, è quella dell’ingegnere di origine svizzera Ferenc Cathry Szaléz il realizzatore, nel 1864, della ferrovia a cremagliera Svábhegy e di ponti sul Danubio a Bratislava e ad Esztergom, sede del primate cattolico d’Ungheria.

Da ultimo non possiamo non menzionare la cappella funeraria la cui riqualificazione fu pianificata da Imre Makovecz nel 1975-77 ed inaugurata nel 1980. Si tratta di uno dei prodotti più significativi dell’architettura organica. La parte dominante dello spazio, simile ad una grotta, è costituita da una struttura in legno che evoca chiaramente il torace umano. Le nervature si aprono nella parte centrale del soffitto ricordando una spina dorsale e la bara è posta al centro del corpo simbolico. L’interno può anche evocare la storia del Cristo risorto ed una delle sue più importanti prefigurazioni dell’Antico Testamento: Giona.

Da sempre uno stereotipo identifica questo cimitero come il “cimitero degli artisti”. È, sia ben chiaro, una visione riduttiva perché se è vero che di artisti ce ne sono molti, non mancano numerosi uomini politici, scienziati, professionisti, industriali, sportivi e, ovviamente, tanta gente comune.

Auguro una buona visita a chi vorrà farla e approfittare, già che ci siamo, del ristorante a poche centinaia di metri di distanza presso la Hóvirag út: il Budai Zöldövezet Étterem (ristorante della cintura verde di Buda) dove si viene spesso accolti con un bel bicchierino di Baracz Pálinka, l’acquavite di albicocche, bevanda nazionale ungherese, meglio se di Kecskemét, la vera capitale del distillato, situata ad un’ottantina di chilometri dalla capitale nell’Alföld (letteralmente: grande pianura), ossia la pianura tra Danubio e il Tibisco.
Egészségre és a viszonlátásra”: alla salute ed arrivederci!
 
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