Il mondo in blues non ha fatto in tempo a riprendersi dalla scomparsa del grande Joe Cocker ed ecco che deve inchinarsi alla perdita di un’altra anima bianca posseduta dalla musica nera. Nella notte di una domenica di gennaio, a soli 59 anni, è venuto a mancare Pino Daniele. Nel momento in cui la sua fragile salute si è incrinata, a nulla è servito correre dalla Maremma fino a Roma. Quando la morte chiama, la vita dispone.
L’artista lascia l’immagine di toccante compositore e di sublime chitarrista, sovrano di quelle 12 battute che fanno del blues un linguaggio rudimentale quanto infinito e universale, romantico lamento di una America nera e oppressa. Il gergo napoletano ha una musicalità che pare concepita apposta per narrare il primitivismo partenopeo con la stessa ritmica. Pino Daniele ha saputo fondere gli ingredienti e creare la magica alchimia utilizzando le sonorità del blues come un magico pennello per dipingere con armonia struggente e originale i tanti volti di una “Napule è”, regalandoci splendidi ritratti fatti di suoni e di parole, vivide immagini di una folcloristica quotidianità popolare dedicata a quella sua “Terra mia”.
Un altro insostituibile talento mancherà al panorama artistico musicale. La sua malinconica voce in obbligato falsetto, espressiva e narrativa, ironica e provocatoria, mutava in delicate allegorie tutte le gesta del cantastorie accompagnate dall’immancabile compagna, la chitarra elettrica: straordinario funambolo delle infinite ispirazioni soliste che “blues” e “rhythm and blues” consentono all’artista, chiudendo il cerchio di una creatività fatta di suoni istintivi e di narrativi testi. Con il tempo la sua produzione si è arricchita di tonalità più articolate, etniche e jazz, espandendo gli orizzonti, duettando e collaborando con i più prestigiosi musicisti italiani e di livello mondiale, lasciandoci un prezioso patrimonio di memorabili concerti.