- n. 4 - Aprile 2011
- In ricordo di...
LA SCOMPARSA DI ELIZABETH TAYLOR
Si è smorzata l'ultima stella di hollywood
Forse la fine di Elizabeth Taylor rappresenta davvero un momento storico per il mondo del cinema, un traguardo finale che cala il sipario su una generazione di quelle che furono molto più che attrici: icone di un tempo in cui, nella magia del suono stereofonico e nello splendore delle pellicole a 70 mm, loro, le stelle, le dive, trasportavano sul set la magia tangibile, reale, quasi evidente del personaggio che interpretavano.
Liz Tayor, già all’apice del successo in giovanissima età, nel 1943 bambina prodigio di “Torna a casa Lassie!” non soccombe all’improvvisa affermazione, ma da lì si invola per una carriera che la porterà ad incarnare quelle figure femminili intrappolate dalle forti passioni, dall’amore e dalla sensualità, disposte a non scendere a compromessi di fronte alla forza dei sentimenti. Quelle medesime passioni che hanno accompagnato la sua burrascosa vita sentimentale, i suoi matrimoni e l’indimenticabile, vorticosa storia d’amore con Richard Burton, storia nata nel 1964, ma ancora oggi leggendaria, scandita da litigi e da pacificazioni, da alcol e da gioielli, impressa nella memoria di cinegiornali e di riviste scandalistiche, obiettivo sopraffino per paparazzi e per pettegolezzi.
Una serie di successi indimenticabili: da “L’ultima volta che vidi Parigi” a “La gatta sul tetto che scotta”, da “Cleopatra” a “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, da ”Il gigante” a “La Bisbetica domata”; la bellissima diva dagli occhi viola alla fine degli anni ‘70 si allontana dal cinema per dedicarsi al teatro e alla televisione, anche se ricordo una sua parte ne “I flintstones” verso la metà degli anni ‘90.
La sua vita è un percorso al di sopra delle righe nel successo quanto nelle sventure e nelle malattie che, per molto tempo, l’hanno obbligata alla severa esperienza della sedia a rotelle. È proprio in questa sua seconda veste, di donna sfortunata, che Elizabeth Taylor interpreta la parte migliore di sé stessa, per una seconda giovinezza di popolarità e di successo. Una parte non cinematografica, ma di importante testimonial contro l’Aids, il nuovo flagello degli anni ’80 che pareva diffondersi in maniera inarrestabile e che era stata la causa della morte dell’amico Rock Hudson. Il suo impegno in questa battaglia ha contribuito in modo determinante alla sensibilizzazione nei confronti della malattia e al suo ridimensionamento, basato soprattutto sull’importanza dell’informazione.
Nel momento della sua morte non si può evitare di menzionare l’amicizia di Liz con un’altra indimenticabile icona di quel mondo dello spettacolo a stelle e strisce che a volte supera il valore del talento e produce figure artistiche che paiono calate su questa terra da un altro pianeta. Quel Michael Jakson scomparso anche lui da poco tempo.
Oggi che il destino dell’ultima stella del cinema hollywoodiano si è compiuto, dobbiamo ringraziare Liz, unica e irripetibile, per averci tramandato interpretazioni di grande talento: lei, una donna minuta, ma bellissima e sensuale, caratterizzata da un minuscolo girovita e da uno sguardo unico per il colore e seducente per intensità. È proprio questo il molteplice e quasi mistico fascino della pellicola: rendere immortale una storia, un personaggio, l’espressione fugace di un volto. Me ne accorgo con l’andare del tempo. Se ne vanno le spoglie mortali dei grandi attori. Rinascono il giorno seguente, sempre vivi, giovani figure affascinanti ormai impresse nella pellicola per sempre. Eterni protagonisti dei propri ruoli leggendari. Non mi voglio smentire. Ormai nell’aldilà si sono ritrovati tutti. I buoni registi non mancano e di sicuro nemmeno celestiali ispirazioni. Perché non immaginare un’altra Hollywood lassù, tra il mare di stelle? Non è affatto cosa scontata che il fascino del cinema non debba essere apprezzato… oltre.
Carlo Mariano Sartoris