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GIUSEPPE VERDI, Don Carlos

Dormirò sol

Don Carlos, il grand-opéra verdiano tratto da una tragedia di Schiller, debutta nel marzo del 1867 sulle scene del teatro parigino, che l'aveva commissionato al compositore.

Si tratta, ma lo si è capito a fondo solo nel Novecento avanzato, forse proprio per la sua modernità, di uno dei capolavori assoluti di Giuseppe Verdi; certo uno di quelli in cui si manifesta nel modo più maturo e profondo, sia musicalmente che drammaturgicamente, la sua vena tragica.

Uno degli aspetti anche a prima vista più evidenti del lavoro è la presenza di una atmosfera che potrebbe definirsi spagnolescamente lugubre e funeraria, connaturata quasi con il fatto che al centro della vicenda sta la corte degli Asburgo di Spagna della seconda metà del XVI secolo: ambiente, vicende, personaggi a cui ben frequentemente la storiografia, la letteratura e la pittura hanno conferito questa tonalità emotiva.

Non per niente questa è l'opera in cui viene messo in scena un auto da fé, un rogo di eretici, voluto dal terribile personaggio del Grande Inquisitore (basso profondo), il che tra l'altro dà a Verdi l'occasione di esprimere con veemenza i suoi vivaci spiriti anticlericali.

Inoltre il dramma si conclude con l'immagine di un sepolcro, quello del grande imperatore Carlo V, che diventa teatro di un evento sovrannaturale: l'Infante di Spagna Don Carlos, personaggio febbrile e modernissimo nella sua irresolutezza irrequieta, quando suo padre, l'imperatore Filippo II, e il Grande Inquisitore giungono per comminargli la condanna, indietreggia verso la tomba dell'avo; qui si materializza la figura misteriosa di un frate, nella cui voce i presenti riconoscono atterriti quella del sovrano scomparso, che lo attira e lo porta via con sé.

Ma dove quel motivo 'funebre' si sublima in risultati artistici altissimi, coniugandosi col grande tema verdiano della tragica solitudine dei potenti, è nella grande scena di Filippo II, forse il vero protagonista dell'opera. Introdotta e sostenuta da una delle più straordinarie musiche che Verdi abbia mai scritto, la meditazione notturna del vecchio sovrano ripercorre i nodi del dramma: il duro fardello del potere e ciò che esso esige, e l'amore impossibile che, innegabile e intollerabile, lega fra loro la sua giovane seconda consorte e l'erede al trono, il figlio di primo letto Don Carlos: "Ella giammai m'amò".

Dunque una solitudine irredimibile ed assoluta, quella del sovrano e quella dell'uomo, che durerà anche dopo la morte, in quel sepolcro smisurato che è il tetro palazzo reale degli Asburgo di Spagna: "Dormirò sol nel manto mio regal / quando la mia giornata è giunta a sera / Dormirò sol sotto la volta nera / là, nell'avello dell'Escurial".

Questa l'immagine in cui l'uomo più potente del mondo vede risolversi la sua vicenda terrena; e queste le parole dell'Aria su cui Giuseppe Verdi intonò una melodia cui è difficile trovare confronti.
 
Franco Bergamasco

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