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Il decluttering del lutto

Eliminare gli oggetti o svuotare la casa dei cari che ci hanno lasciato: questo è il decluttering del lutto, un’esperienza che segna e che a volte ha bisogno di essere supportata.

È risaputo che i riti di commiato hanno una importante funzione nel processo di elaborazione del lutto rendendo la perdita della persona cara più sopportabile e accettabile.
Dare un pubblico addio alle sue spoglie mortali, insieme alle persone che hanno fatto parte della sua vita, rappresenta il momento in cui ci sentiamo disposti a “lasciarla andare” e scendere così a patti con il dolore, anche se potrà durare ancora a lungo.

Il funerale, infatti, sancisce il distacco dalla fisicità di chi ci lascia, ovvero dal suo corpo, ma i conti con la sua assenza sono ancora tutti aperti e ce ne rendiamo conto soprattutto nel momento in cui ci troviamo costretti a sistemare, o il più delle volte ad eliminare, i suoi effetti personali. Ognuno di noi possiede una quantità notevole di oggetti e quando muore a chi rimane spetta il gravoso compito di mettere ordine.
Per questa operazione gli esperti hanno coniato l’espressione decluttering del lutto. Il termine decluttering, di evidente origine anglosassone, indica l’azione di riordinare gli spazi in cui viviamo eliminando il superfluo, ciò che noi chiamiamo con un linguaggio un po’ gergale “fare repulisti”. Gli psicologi, concordi nel sostenerne l’importanza terapeutica, hanno messo a punto una serie di tecniche e suggerimenti su come eseguire al meglio questo compito, che in alcuni momenti della nostra vita può rivelarsi assai benefico, perché oltre a riorganizzare la casa ha il potere di liberare anche la mente e di aprirci a nuove prospettive.

Il decluttering del lutto, a livello formale, non differisce molto da quello ordinario, ma è emotivamente molto più faticoso, perché non si tratta di fare pulizia delle proprie cose, impegno già di per sé difficile, ma di quelle di un’altra persona a cui si era affettivamente legati. È tutto quello che rimane di lui o di lei. Oggetti accumulati in tanti anni, cose anche banali o, addirittura brutte, come un soprammobile kitsch, una vecchia tazza o un abito fuori moda, si caricano adesso di nuove valenze. Sono le testimonianze tangibili di quella persona, della sua quotidianità, del suo carattere, delle sue passioni, delle sue attività, dei suoi gusti, in una parola della sua storia.

Gli oggetti ora diventano strumenti di relazione con chi se n’è andato e fanno affiorare ricordi che non possiamo più condividere con lui/lei e per questo fanno ancora più male. “Questo maglione l’aveva portato da quel viaggio in Scozia di cui ci parlava ancora”; “La sua musica preferita! Quante volte questi dischi hanno fatto da sottofondo alle nostre serate!”; “Com’eravamo giovani in questa foto! Sembravamo davvero felici!”. Tutto è intriso della sua personalità, le cose sembrano volerci parlare, ci pare addirittura di udire la voce del nostro caro mentre ci raccontava di quel libro che aveva da poco terminato di leggere, quando ci mostrava, pieno d’orgoglio, l’ultimo acquisto o quando ci parlava dei suoi hobby. Allora senti quel nodo alla gola diventare sempre più stretto e ti sembra di non potercela fare.

Ancora più straziante è quando ci si trova nella condizione di liberare una casa intera e doverla mettere in vendita. Nella maggior parte dei casi si tratta della casa di famiglia, quella in cui si è cresciuti e dove, anche se ce ne siamo andati, abbiamo le nostre radici. Qui il tutto diventa ancora più duro e complesso perché si accompagna anche alla necessità di interrompere i legami materiali con il proprio passato.

Prima o poi tutti ci troviamo a dover affrontare la triste incombenza di dover mettere ordine alle cose di una persona deceduta. Come ognuno di noi ha una sua propria sfera emotiva, così anche di fronte a questo impegno le reazioni possono essere molto diverse. C’è chi non vuole toccare nulla e, se ne ha la possibilità materiale, lascia tutto com’era (si pensi a quanti genitori che hanno perso un figlio mantengono la sua camera intatta e pulita come se dovesse tornare da un momento all’altro), altri invece sentono l’esigenza di liberarsi il prima possibile di tutto ciò che gli apparteneva, ma non certo per mancanza di affetto verso colui o colei che ci ha lasciato.

Comunque sia la nostra sensibilità, è innegabile che si tratta sempre di un momento psicologicamente molto delicato, ma che alla fine può anche rivelarsi liberatorio e di grande aiuto nell’elaborazione del lutto. Qualche consiglio potrebbe essere utile, soprattutto per non farci sopraffare dal senso di colpa. È giusto mantenere vivo il ricordo ma ciò non significa necessariamente conservare una grande quantità di oggetti. Per questo è bene scegliere con cura poche cose particolarmente significative che possiamo tenere sempre con noi. Una valida alternativa è quella di creare un archivio digitale, fotografando alcuni oggetti prima di darli via: anche se non li possiamo più toccare manterranno sempre la loro carica emotiva. Molto di quel che resta può venire regalato a conoscenti o a persone bisognose, così che possa avere una seconda vita in una sorta di ideale continuità con la precedente. Qualcuno preferisce fare questa operazione da solo, come a voler stabilire un ultimo intimo rapporto con il proprio caro, per altri invece è preferibile farlo in compagnia di un parente o un amico.

Il decluttering del lutto è un argomento di cui si parla poco, perché in generale si tende a parlare poco della morte, ma è un’esperienza trasversale e spesso traumatica che meriterebbe qualche attenzione in più. Siamo a conoscenza che ci sono imprese funebri che già offrono un supporto in queste situazioni, potrebbe essere un’idea da sviluppare per ampliare il proprio ventaglio di servizi a favore della collettività.
 
Raffaella Segantin

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