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Nel Decameron una tripla sepoltura

Apriamo il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313/1375), e leggiamo la rubrica che introduce le dieci novelle della quarta giornata: in essa, ci dice l'autore, "si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine". Dunque il capolavoro di Boccaccio non è solo il libro delle beffe scanzonate e degli amori allegramente appagati che magari ci è consegnato dalle nostre frammentarie memorie scolastiche: i motivi "seri", o anche tragici, benché minoritari, in esso sono ben presenti, e sette delle novelle della quarta giornata sono contrassegnate dal tema dalla morte.

Un caso del tutto speciale è rappresentato dalla novella quinta, per quello che, con una espressione un po' cruda, potremmo definire un particolare "trattamento del cadavere".

Lisabetta, appartenente ad una famiglia di ricchi commercianti in Messina, si innamora, ricambiata, di un giovane magazziniere della ditta, di nome Lorenzo; ma i fratelli, giunti a conoscenza del fatto, giudicando la relazione della sorella con un dipendente scandalosa in sé e quindi anche (e soprattutto) disastrosa per il buon nome dell'azienda, senza dir nulla a nessuno uccidono di nascosto a tradimento lo sventurato giovane. Egli appare però in sogno all'amante, e le svela l'accaduto; essa si reca sul luogo del delitto, trova il cadavere, a cui vorrebbe dare "più convenevole sepoltura": impossibilitata a farlo, ne stacca la testa, la porta nella sua camera, la nasconde (la seppellisce) in un grande vaso di basilico, che diventerà l'oggetto della sua amorosa, ininterrotta, ossessiva contemplazione, mentre il basilico, innaffiato dalle lacrime, crescerà miracolosamente. Il suo strano comportamento attira l'attenzione dei fratelli, che le sottraggono il vaso, e Lisabetta, disperata, cade ammalata. I fratelli, scoperto il contenuto del vaso lo riseppelliscono (per la terza volta…) e, nuovamente timorosi di uno scandalo, si risolvono ad abbandonare la città. Lisabetta rimane e morrà, sola e disperata, ma la sua vicenda diventerà nota a tutti, e darà l'argomento addirittura, conclude il narratore, ad una ballata popolare.

La testa del cadavere assume quindi un valore simbolico fortissimo: "sta" per Lisabetta al posto del corpo intero, ma anche al posto della persona viva, e ad essa è rivolto un rinnovato culto amoroso, al limite della follia, sostitutivo di quello originario. Ma si tratta di un amore ormai anche di tipo "materno": la testa seppellita nel vaso nutre, insieme alle lacrime, quella sorta di figlio simbolico che è il basilico. Dunque dalla morte alla vita (benché anche questa nuova forma dell'amore di Lisabetta venga crudelmente troncata). E qualche lettore ha voluto sottolineare la somiglianza di questo punto del racconto con certi antichissimi riti di fertilità, in cui la sepoltura della testa del dio della vegetazione, all'inizio dell'inverno, era garanzia di rifecondazione delle piante a primavera.
 
Franco Bergamasco

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