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DE PROFUNDIS PER LA RIFORMA DEL REGOLAMENTO DI POLIZIA MORTUARIA NAZIONALE

L'editoriale dell'INFORMATORE pervenuto alle imprese funebri italiane a dicembre corso, ma riferito all'ormai lontano mese di ottobre, a firma del presidente della FENIOF, Renato Miazzolo, ci annunciava che: "il Ministero della Sanità ha ritirato il testo di riforma del nuovo Regolamento che aveva licenziato all'inizio del '99 e che già gli altri Ministeri competenti (Interni e Giustizia) avevano di fatto approvato".
"Negli ambiti FENIOF
- continua la nota - la notizia è stata appresa con grande delusione". Perché? "Perché è su questa riforma - insiste Miazzolo - che si contava per limitare i danni derivati dalla liberalizzazione delle licenze di commercio". Fa bene il caro presidente FENIOF ad usare "derivati" e non "derivanti", per il semplice assunto che i danni - ingenti - si sono già verificati, sono, cioè, avvenuti già e sono sotto gli occhi di tutti e non in corso di sopravvenienza e, quindi - aggiungo e sottolineo - a nulla avrebbe giovato la rimpianta sfumata riforma, ancorché promulgata.
Nel senso che l'inarrestabile proliferare delle imprese, con tutti i suoi effetti deleteri, ha già avuto luogo con l'andamento esponenziale che tutti noi abbiamo avuto modo di constatare e non è più possibile arrestare questo perverso fenomeno di polverizzazione del mercato che, già asfittico, ora è sprofondato nella cachessia più nefasta.

Prosegue Miazzolo affermando che "la FENIOF non ce l'ha fatta a portare a termine un impegno che l'aveva già vista in prima linea in una iniziativa forte e qualificante". Meglio sarebbe stato dire: la FENIOF, more solito, conta meno che niente nelle decisioni che vengono adottate nelle stanze dei bottoni, nonostante i suoi atteggiamenti di sudditanza nei confronti di quelli che lo stesso Miazzolo definì "i poteri forti".
Risorse, energie, coinvolgimento di professionisti, trasferte dispendiose, trattative, chiacchiere, tutto buttato alle ortiche in un battibaleno. E conclude con un ripetitivo "vorrei" tale da farmi venire in mente il ritornello di una canzone che, appunto, dice: "vorrei, vorrei, vorrei!". Al pari del buon Renato, il direttore responsabile della rivista I SERVIZI FUNERARI, l'ingegnere Daniele Fogli, nel suo editoriale al n. 4/2000, nel celebrare il "de profundis" della riforma, della quale si sentiva quasi il padre putativo, mentre paventa la eventualità che il futuro ci possa riservare un "regolamento spezzatino", per effetto della regionalizzazione delle norme, non rinuncia alla sua proterva fiducia nei Comuni che, nel periodo di "interregno" - come lui definisce quello che sarà il lungo transito dalla vecchia bozza di regolamento (bocciata) fino alla stesura ed eventuale promulgazione del nuovo - colmeranno la ipotetica "vacatio legis" con i propri regolamenti locali.

È un bel grattacapo per tutti, fautori del pubblico, difensori del privato, Stato, Regioni, Comuni, FENIOF, nonché degli innumerevoli indottrinati teorici sempre alla ricerca di "nuove" norme, di rinnovata dialettica regolamentare tesa ad ingabbiare il comparto funerario italiano. Anche se le vere gatte da pelare sono quelle che gravano sulle spalle degli operatori del settore senza distinzioni di sorta: impresari funebri, fabbricanti, marmisti, fioristi, collaterali ed affini. L'unico vero grande dramma si sta consumando sulle loro teste.
I fabbricanti perché in crisi perenne per effetto della saturazione del mercato, della sovrapproduzione, della spietata concorrenza che viene portata loro dagli artigiani che inquinano il mercato e dall'assalto proveniente dai paesi dell'est che ogni giorno diventa più aggressivo. Gli impresari che si dibattono, come i tonni nelle reti, fra il rigido mercato della domanda e le modalità di offerta sempre più inquietante che si realizzano attraverso le invasioni spregiudicate dei luoghi di degenza, le tangenti spropositate, la ricerca raffinata di sistemi informativi capillari, ma in un clima di litigiosità permanente e di egocentrismo imperante.
Marmisti e fioristi seguono a ruota perché direttamente coinvolti, al pari degli impresari funebri, nella inarrestabile corsa alle innumerevoli nuove aperture. Lo Stato che, bene o male, dovrebbe legiferare, abdica alla sua funzione, latita, e demanda o demanderà alle Regioni la potestà di stabilire le nuove normative.

Corriamo il serio rischio di trovarci invischiati in una selva di regole diverse da regione a regione con possibili interpretazioni unilaterali da parte degli oltre ottomila Comuni di questa che una volta era la nostra bella Italia, una ed "indivisibile". Ci ritroveremo smarriti e confusi da una moltitudine di norme emanate da diversi stati e staterelli che, per smanie autonomistiche o per semplice esibizionismo campanilistico, detteranno leggi, le più diversificate, strampalate o esasperate. Come già ha fatto Bologna di cui si è diffusamente trattato nei numeri precedenti.
Non possiamo consentire a Comuni, grandi o piccoli che siano, di istituire di fatto tante autonome "repubblichette", ognuna con le sue regole, che renderebbero il nostro lavoro molto più increscioso di quanto già lo sia. Non possiamo permettere un ritorno antistorico ai tempi in cui, per l'attraversamento di ogni territorio comunale, bisognava pagare quella odiosa gabella chiamata "dazio", che oggi si concretizzerebbe in una diversificata regolamentazione.
Anche perché il povero impresario funebre dovrebbe conoscerli tutti i regolamenti "caserecci" per mettersi nelle condizioni di non infrangerli. E sappiamo bene che la stragrande massa degli operatori del settore è formata da persone che non hanno dimestichezza con le belle lettere, anzi detestano lettere e letture, siano esse amene o di spiccata professionalità. Ed infine non possiamo accettare che il nostro comparto sia l'unica vittima dell'eccesso di liberalizzazione che il famoso o famigerato (dipende dai punti di vista) decreto Bersani ha elargito all'interno settore commerciale, nel senso che, mentre per ogni altra attività mercantile, è sufficiente una semplice comunicazione di apertura, per la nostra, oltre a questa ed oltre a quella - già vigente - della licenza di P.S., con la tenuta del relativo registro degli affari, era stata inventata la novità assoluta consistente nell'accreditamento.

Una sorta di ufficializzazione dei crismi di operatività posseduti dall'impresa, una norma, tutto sommato, facilmente aggirabile ma che, soprattutto, rischiava di mettere fuori gioco migliaia di piccoli operatori a beneficio di quelli più strutturalmente dotati. È vero che viviamo ed operiamo in una società civile ed organizzata ed è verissimo che anche il nostro comparto merceologico deve rispondere a tali criteri di modernità.
Il Far West non giova a nessuno, meno che mai a noi che svolgiamo un lavoro delicato e permeato di profondi risvolti umani e sociali, ma non è con l'accreditamento che si risolvono i problemi dell'accaparramento, della caccia al morto, delle tangenti, della occupazioni illegittime dei nosocomi, degli intrallazzi oscuri, del mercimonio che avviene nei corridoi delle camere mortuarie, delle corse dietro le ambulanze, della connivenza con gli assistenti ai malati terminali.
Questi mali si estirpano solo che ciascuno di noi lo voglia veramente, solo se tutti noi lo reputiamo necessario, solo se decideremo di accettare e soprattutto di rispettare poche regole semplici e chiare, univoche su tutto il territorio nazionale, dotandoci di tanta professionalità intesa come rispetto per il nostro lavoro, rispetto per noi stessi, per i colleghi, per le famiglie in lutto, per i luoghi in cui operiamo che, abitazioni o case di cura, sono sempre e soltanto luoghi di dolore, affollati di gente che soffre perché colpita nel vivo degli affetti più cari.
 
Alfonso De Santis

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