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Ricordati di me

Presentato il nuovo libro di Davide Sisto che analizza gli effetti dell’uso della tecnologia sulla percezione dei nostri ricordi e sul distacco dal passato.


Si sono da poco concluse le giornate della tradizionale manifestazione Il Rumore del lutto,  che si svolgono a Parma con cadenza annuale, al fine di stimolare una riflessione multidisciplinare sulle tematiche della morte. Nonostante la seconda ondata dell’emergenza Covid, gli organizzatori sono riusciti a rispettare quasi interamente la programmazione, con l’unica inevitabile accortezza di far svolgere molti incontri - pensati in presenza - a distanza, ottenendo comunque un ottimo riscontro.

Si è tenuto online anche l’appuntamento che doveva aver luogo in una libreria del centro domenica mattina 1 novembre dove è stato presentato l’ultimo lavoro di Davide Sisto. Il convegno, introdotto da Maria Angela Gelati, tanatologa e formatrice nelle materie collegate alla morte, è stato moderato da Michele Guerra, professore di Teorie del Cinema all’Università degli Studi di Parma, autore di diverse pubblicazioni nonché assessore alla cultura del capoluogo emiliano.

Si intitola Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio (edito da Bollati Boringhieri) il libro del giovane filosofo torinese che intende indagare su come, nell’era digitale, il nostro rapporto con il ricordo, la memoria e il distacco dal passato sia profondamente mutato. Il volume è l’ideale proseguo di La morte si fa social, edito del 2018, in cui per la prima volta l’autore ha condotto uno studio approfondito di come la rivoluzione digitale abbia influito sulla morte e di cui abbiamo parlato ampiamente in un articolo apparso sul n. 2/2019 di Oltre Magazine.

Ricordati di me è organizzato in tre capitoli principali (e numerosi sottoparagrafi) ognuno dei quali affronta una tematica specifica.
Il primo capitolo, dal titolo Dai social network agli archivi digitali, parla di come i social media siano diventati veri e propri contenitori di ricordi di ogni tipo (pensieri, foto, video, musica, disegni, poesie…) spesso implementati e rilanciati dai membri della community, anche a distanza di anni. Concepiti come luogo virtuale di scambio di informazioni tramite una comunicazione istantanea i social hanno in questo modo “tradito” la loro caratteristica di immediatezza. E ogni giorno il volume aumenta con  l’immissione di milioni di nuovi documenti: si è calcolato che in un solo minuto su Instagram vengono condivise 277.000 storie e che un utente medio nel corso della sua vita lascia sui social dalle 12.000 alle 15.000 tracce del suo passaggio. Un fenomeno che non ha precedenti nella storia dell’umanità, un’abbondanza di dati sempre disponibili e immediatamente fruibili che portano ad una sovrapposizione temporale, a confondere il passato con il presente inibendo la salutare fase del distacco, imprescindibile per l’equilibrio psicologico e per il naturale progresso interiore dell’individuo.

Il secondo capitolo, Autobiografie culturali collettive ed enciclopedie dei morti, è incentrato sulla narrazione di se stessi. L’autobiografia, una volta riservata solo a coloro che avevano storie significative da raccontare, ora è alla portata di tutti: è la normalità a diventare racconto, attraverso la condivisione degli ordinari accadimenti della vita quotidiana. Tra le varie osservazioni viene esaminato un fenomeno particolare: quello della narrazione della malattia. Un fenomeno nuovo e in controtendenza con i modelli proposti dalla società contemporanea che tendono alla perfezione, che vogliono un corpo sempre giovane, bello e sano equiparando la malattia quasi ad un errore. Grazie alla rete vediamo che molto spesso questo tabù viene a cadere. Sono molte, infatti, le persone colpite da patologie importanti a mettersi a nudo davanti allo schermo, raccontando i propri stati d’animo e mostrando anche i segni o le conseguenze della malattia sul proprio corpo. Poter parlare delle vicende legate alla malattia attraverso i social fa superare quell’imbarazzo proprio della dimensione reale e si viene a creare attorno al protagonista una comunità molto ampia e partecipativa, come non accade offline. Per il malato tutto ciò ha una indubbia funzione terapeutica, perché si sente sostenuto, incoraggiato ed amato.

La terza parte, dal titolo Memoria totale, immortalità digitale, retromania, tratta dell’atteggiamento sempre più generalizzato di registrare e conservare testimonianze della propria quotidianità e di continuare a fruirle riportandole costantemente a galla. Lo stesso Facebook, probabilmente per rispondere ad una esigenza collettiva, incoraggia questa pratica con la sezione “Ricordi” dove si possono visualizzare tutte le attività e le condivisioni avvenute in una precisa data negli anni passati: un vero e proprio database facilmente indicizzabile, consultabile e nuovamente condivisibile. In questo modo viene meno ciò che possiamo definire “la perdita della perdita”. Ci troviamo di fronte ad un passato che non passa mai, da cui non riusciamo ad affrancarci, incapaci di lasciarlo alle spalle e convogliare invece le nostre emozioni su desideri e progetti da realizzare. Un atteggiamento riconducibile alla paura del futuro e, in definitiva, della morte. Si preferisce rifugiarsi nella dimensione online, avvolti in un rassicurante manto protettivo che sfugge dalla temporalità della nostra esistenza, dove le situazioni positive non si interrompono mai e dove non dobbiamo confrontarci con i nostri piccoli e grandi lutti della vita.

Che fine faranno poi questi archivi digitali una volta che non ci saremo più a controllarli? Difficile se non addirittura quasi impossibile cancellare tutte le tracce che lasciamo nella rete. Per questo è bene riflettere a tempo debito su come gestire il materiale che immettiamo nel web ed essere in grado, se lo desideriamo, di esercitare anche il nostro diritto ad essere dimenticati.
 
Raffaella Segantin


Davide Sisto, filosofo presso l’Università di Torino, si occupa da anni di tanatologia. Fra i vari impegni professionali è insegnante al Master in Death Studies & the end of life dell’Università di Padova ed è curatore, insieme a Marina Sozzi, del blog Si può dire morte.

Diverse le pubblicazioni a suo nome, tra cui il libro La morte si fa social (Bollati Boringhieri, Torino 2018), tradotto anche in lingua inglese (vedi Oltre Magazine n. 2/2019).




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