- n. 4 - Aprile 2002
- Letteratura
"QUELLE COSÌ INDEGNE ESEQUIE"
Qual è il più bel funerale della letteratura italiana?
Se qualcuno si ponesse questa domanda, le risposte potrebbero essere in realtà forse più di una, ma certo una sola, e giustamente, è quella che dovrebbe venire in mente per prima; dovrebbe venire in mente a chi della letteratura italiana anche solo una volta abbia letto il libro più famoso, che è anche in realtà il meno conosciuto e il meno amato:
I promessi sposi. Siamo nel capitolo XXXIV: Alessandro Manzoni accompagna il suo protagonista, Renzo, (e con lui il lettore) alla ricerca di Lucia nella Milano devastata dalla pestilenza. È un percorso spettrale, dove ad essere sconvolti dalla miseria e dalla morte sono non solo la città e le persone, ma, più a fondo, i fondamenti stessi della convivenza umana e civile.
Il contagio, e la credenza assurda e fermissima nell'esistenza degli untori (accusati di diffonderlo volontariamente) azzerano la possibilità stessa di normali relazioni fra i cittadini, tutti d'altra parte già interamente occupati ognuno nelle miserie e tragedie proprie; gesti anche minimi di solidarietà - Renzo ne compie uno - sono una stranissima eccezione.
Ma soprattutto, a dare il senso di un collasso dell'idea stessa di dignità e società umana, è il trattamento riservato ai cadaveri: il dominio totale, continuo della morte sulla vita (ed è l'orribile morte di peste) fa sì che essi vengano abbandonati sulle strade, buttati giù dalle finestre, ridotti a "
schifosi e mortiferi inciampi".
Ecco un "
carro di morti", "Eran que' cadaveri, la più parte ignudi, alcuni mal involtati in qualche cencio, ammonticchiati, intrecciati insieme, come un gruppo di serpi che lentamente si svolgano al tepore della primavera; ché, a ogni intoppo, a ogni scossa, si vedevan que' mucchi funesti tremolare e scompaginarsi bruttamente, e ciondolar teste, e chiome verginali arrovesciarsi, e braccia svincolarsi, e batter sulle rote, mostrando all'occhio già inorridito come un tale spettacolo poteva divenire più doloroso e più sconcio".
A tanto sono ridotti gli usi funebri; e lo spettacolo è tanto più sconvolgente per Renzo in quanto egli non sa se Lucia è ancora viva:"
forse là, là insieme, là sotto..." Ma è su questo sfondo di desolazione e orrore, che, per contrasto, si presenta a Renzo "
un oggetto singolare di pietà".
È anche, anzitutto, una immagine di bellezza femminile, "
una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo"; di dolore, inevitabilmente, e "c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo".
Ma è soprattutto, incredibilmente, una immagine di dignità e di decoro, il cui segno sarà proprio, in mezzo alla miseria e all'orrore di quel degrado, il voler mantenere nonostante tutto una minima ma essenziale civiltà di usi funebri, la pietà per i cari corpi degli scomparsi: la giovane donna reca in braccio la sua bambina, morta, ma tutta ben vestita e pettinata, e chiede al "turpe monatto", insolitamente rispettoso, di poterla disporre lei sull'osceno carro e di non permettere che alcuno la tocchi.
E qui sarà inevitabile lasciar la parola all'autore di quel libro così poco amato: "
La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: - addio, Cecilia! riposa in pace!
Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri -.
Poi voltatasi di nuovo al monatto, - voi - disse, - passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola. Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve.
E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme?"
Franco Bergamasco