COS'È LA NOBILTÀ? PARLIAMONE, MA SOTTOTERRA.
"Benché l'umana superbia sia discesa fino ne' sepolcri, d'oro e di velluto coperta, unta di preziosi aromi e di balsami, seco recando la distinzione de' luoghi perfino tra' cadaveri, pure un tratto, non so per quale accidente, s'abbatterono nella medesima sepoltura un Nobile ed un Poeta, e tennero questo ragionamento".
Noi ricordiamo in genere l'abate Giuseppe Parini (1729 - 1799) come autore del poemetto satirico Il giorno, in cui si finge che un precettore si rivolga ad un "giovin signore" dell'aristocrazia lombarda per istruirlo su come meglio trascorrere le sue insulse giornate nell'ozio o in frivole occupazioni, descritte con toni sarcasticamente solenni. È una satira rivolta contro un ceto gentilizio che l'abate, moderatamente illuminista e riformatore, non vuole tanto sovvertire quanto ricondurre all'altezza delle sue responsabilità storiche e dei suoi doveri.
Ma il brano sopra riportato, la didascalia iniziale del Dialogo sopra la nobiltà, ci ricorda che Parini espresse le sue idee anche in altre forme, rivelando doti notevoli di prosatore. È il caso appunto di questo Dialogo (del 1757) in cui egli immagina che il cadavere di un poeta si metta a parlare con quello di un gentiluomo, interrato lì vicino, e che alla luce - si fa per dire - della loro attuale comune condizione ("un luogo dove tutti riescono pari", in mezzo al tanfo e ai vermi) giunga a dimostrargli come la comune condizione umana renda inaccettabile l'arroganza di classe.
Non approfondiremo qui alcuni aspetti anche ideologicamente notevoli del testo, quali ad esempio la distinzione tra nobiltà "buona" e "cattiva" e la definizione dei veri valori morali e civili; vorremmo piuttosto segnalare qualcuno dei parecchi punti in cui Parini sfrutta l'invenzione narrativa adottata per calcare allegramente la mano su dettagli anche macabri connessi appunto al tema della sepoltura.
Così ad esempio quando il nobile lo apostrofa "Fatt'in là mascalzone!", il poeta (per definizione povero) risponde "Ell'ha il torto, Eccellenza. Teme Ella forse che i suoi vermi non l'abbandonino per venire a me? Oh! le so dir io ch'e' vorrebbon fare il lauto banchetto sulle ossa spolpate d'un Poeta"; e non si trattiene dall'osservare "Voi puzzate che è una maraviglia. Voi non olezzate già più muschio ed ambra, voi ora". Né manca un accenno, più realistico che macabro, a dire il vero, a coloro che al signore morente stavano intorno: il lacché che egli vorrebbe chiamare sottoterra per bastonare l'impertinente, "sta ora qua sopra - replica il poeta - con gli altri servi e co' creditori facendo un panegirico de' vostri meriti, ch'è tutt'altra cosa che l'orazion funebre di quel frate pagato da' vostri figliuoli".
Né sua Eccellenza è da meno quando, esasperato, minaccia di sbattere sul ceffo dell'avversario "questa trippa ch'ora m'esce del bellico che infradicia". Ma a nulla gli vale ricordare di esser sceso lì sotto chiuso sì fra quattro assi, ma "coperte di velluto, e guernite d'oro finissimo, e portato da quattro becchini e da assai gentiluomini con ricchissime vesti nere, colle mie arme dintorno": l'aria che sottoterra si respira, dice il poeta, è l'aria della verità, e la verità è che i grandi della terra "giunti qua, trovansi perfettamente appaiati a noi altra canaglia: non ècci altra differenza, se non che, chi più grasso ci giugne, così anco più vermi se 'l mangiano".