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DEL CORVO

Il CORVO volava fino al cipresso, si fermava un attimo, gracchiava, poi calava in picchiata accucciandosi a cassetta del carretto funebre, si accomodava accanto al beccamorto, nero come lui, e insieme spronavano il cavallo, nero come loro.
Dietro al funerale non c'era nessuno o quasi. Solo il corvo, che ogni tanto volava via e zampettava a terra, si metteva al passo e accompagnava il carretto nel suo lento incedere tra le tombe che osservavano mute ai lati del vialetto.
L'OMBRA era in lontananza, a cento metri, lì, nel camposanto, una figura nera anch'essa, che proseguiva sul camminamento, un'ombra poco netta, una figura quasi inesistente. Non fosse stato per il sole caldo e splendente che rendeva meno tetra la sinistra scampagnata, lo spettacolo aveva più di un articolo per essere qualificato deprimente.
Il SOLE illuminava il camposanto, da un cipresso, il corvo, nero come l'ombra che seguiva di lontano il carro che avanzava lento tra i viali, scese a cassetta, di fianco al cocchiere, nero come il suo cavallo. Le tombe silenziose osservavano la processione di quelle figure nere. Lasciarsi riscaldare dai tiepidi raggi era un vero piacere.
Il CORVO partecipava a tutte le funzioni, seguiva ogni mossa della lesta sepoltura, poi, quando la cassa veniva ricoperta da uno strato di terra scura, lasciava cadere un fiore dal becco e volava via, verso la nebulosa figura che restava in disparte.
Il SOGNO abitato da tutte quelle figure nere e ambientato in quel luogo consacrato, ma funesto, aveva un ché di lugubre ben marcato, ma il sole rallegrava tutto il contesto. Sarebbe stato un buon giorno per morire. Da quando il corvo si era installato nel mio giardino, questo sogno torvo si era fatto ricorrente. Quando mi svegliavo ero tutto sudato e ansimante; il corvo era là, vivo e presente, appollaiato sul muretto di cinta o sul ciliegio in fiore, faceva "craa, craa", quasi a salutarmi, e poi svolazzava rimanendo nei dintorni della casa e non si allontanava.
Il CAVALLO, nero come il becchino, passava di fianco al cipresso, il corvo, nero come il cavallo, calava giù, si accomodava sul carro funerario, seguiva la trafila dell'interramento e quando la modesta cassa, ultima dimora di qualche sfortunato cristiano giunto alla fine della sua strada, era ormai coperta da uno strato di terra scura, posava un fiore e volava via, verso quell'ombra lontana.
IO mi risvegliavo, madido, confuso e titubante, il sogno era inquietante, ma non mi provocava angoscia. Il corvo sbirciava e volteggiava sul ciliegio in fiore, sempre lui, quasi uscisse dal sogno o lo continuasse. Ero perplesso, non riuscivo a stabilire il nesso tra quell'animale sinistro che era diventato un compagno sempre più loquace e la sua parte in quell'incubo ripetuto, quasi reale, che stava diventando una ossessione.
Il BECCHINO, nero come il cavallo, pilotava il carro funebre di terza categoria tra i viali di cipressi del camposanto. Era una bella giornata di sole, dietro alla carrozza forse non c'era nessuno, di fianco, le mute tombe osservavano transitare il feretro diretto verso la sua destinazione; dietro al carro solo un vivace corvo, nero come il carro, ogni tanto trotterellava al passo del cavallo, nero anche lui. L'uccello aspettava fino al termine della sepoltura, poi posava un fiore sulla tomba e volava via.
IO mi risvegliavo, sudato nel letto, il corvo mi osservava dal davanzale della finestra, avrei voluto cacciarlo quanto interrogarlo, ormai avevo compreso che voleva dirmi qualcosa, qualcosa di calamitoso, ma non ero preoccupato, incuriosito piuttosto, incuriosito da quel sogno tenebroso, ma quasi affascinante.
Il CAVALLO, nero come il carro di terza categoria, avanzava tra i viali di cipressi, tirava il carro funebre e nel silenzio di tomba si avvicinava al modesto sepolcro. Dietro al carro non c'era nessuno e il cocchiere, nero come il cavallo, osservava il corvo, nero come il carro, posarsi accanto a lui, poi volare via a saltellare dietro al solitario funerale.
Il CILIEGIO in fiore era illuminato dal sole, caldo e splendente. Al mio risveglio, dalla finestra potevo osservare un uomo che giaceva sereno nel letto: era defunto, ma pareva sognare. In cortile arrivava un carro nero trainato da un nero cavallo e pilotato da un beccamorto, nero come lui. Quando l'uomo fu sistemato dentro alla nera berlina, allungato al suo posto, presi il volo, seguendo la carovana che era diretta verso il camposanto.
Il CARRO funerario avanzava lento tra i viali di cipressi ed il cavallo, con i suoi passi, turbava appena le tombe silenziose che stavano a guardare. Dietro al carro non c'era nessuno, mi parve una cosa molto sconsolante che quell'ultimo tragitto, il più importante, fosse così deserto. Il carro, nero come il suo cocchiere, era trainato da un cavallo, nero come me. Era una bella giornata di sole.
IO saltai giù dal cipresso e mi accomodai sul carro cercando un dialogo con l'uomo nero come il suo cavallo poi, dato che non mi rispondeva, svolazzai dietro alla solitaria processione sostituendomi ai familiari inesistenti. In fondo, quel buon uomo, vissuto in rettitudine e trapassato in solitudine, che ora giaceva nella cassa, sebbene senza parenti, meritava un po' di partecipazione. Quando la svelta sepoltura fu portata a compimento, volai a posare un fiore di campo sulla tomba ancora fresca e, al momento, ancora priva della data e della dicitura.
La TOMBA, quella tana di terra scura, una tra le tante del camposanto, l'ultima dimora che avrebbe custodito con pudore le spoglie dell'involucro della mia vita mortale, meritava bene un piccolo fiore. Dopo aver tributato un ringraziamento ed un ultimo saluto al mio corpo trapassato, con un po' di rimpianto spiccai il volo per andare a posarmi sulla spalla dell'ombra lontana, nera come me.
L'ANGELO DELLA MORTE che aveva accompagnato il mio corpo inanimato rimanendo in discreta disparte, adesso, gentilmente, mi chiamava a planare dalla sua parte; aveva premura, aveva altro lavoro urgente da sbrigare e doveva andare via. Volai dunque sereno dentro alla mia rinnovata fisionomia, verso il mio prossimo destino, a prendere istruzioni per la nuova, futura avventura che attendeva l'anima mia.
 
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