- n. 2 - Febbraio 2011
- Il pensiero di...
Condanniamoli noi!
È sempre più realistico affermare che “uno su mille non ce la fa e viene a galla”. La conferma questa volta viene da Cosenza. Coinvolto un ex senatore. Ci mancava pure quello! Ma ancor più convincente è l’episodio accaduto a Forlì, il caso più recente. Uno degli ultimi arrivati ha scelto la via breve, quella sbrigativa del racket, per impadronirsi di una fetta di mercato creando inevitabili turbolenze. L’indagine condotta da un paio di detective privati, assunti da tre agenzie della città, ha consentito alle stesse di raccogliere indizi e di inviare un esposto alla Procura da cui è emerso che due dipendenti dell’obitorio favorivano una agenzia funebre a scapito delle altre. In tre sono finiti sotto processo, l’impresario funebre e due dipendenti dell’obitorio. Ma tutto si è risolto in una bolla di sapone nonostante, mi si dice, le prove fossero inconfutabili.
Si fa sempre più strada in me, e non solo in me, l’dea che con i processi in tribunale si risolve poco. Dovremmo processarli e condannarli noi, con tutta la determinazione possibile. Farli sentire disprezzati, sporchi e, perché no, disonesti. Se pur le loro facce di bronzo li proteggono, dobbiamo indurli all’autodisprezzo, facendo comprendere loro il peso del danno che provocano a tutti i colleghi confermandosi per davvero il “cancro che sta uccidendo tutta la categoria”, come giustamente e opportunamente sostiene Federcofit. Bisogna sbattere loro in faccia ad ogni piè sospinto tutto il male che causano con quel loro ripugnante comportamento. Poco male se alcuni di loro si allontaneranno dalle Associazioni a cui indegnamente appartengono. Meglio! Potrebbe essere un motivo di crescita!
Non importa se, per autoinduzione di comodo, ritengono di avere qualche buon motivo per comportarsi a quel modo, come coloro che credono sia sempre in vigore la legge mosaica, giustificandosi col dire che si sono visti costretti a ricorrere al racket perché ridotti senza più un funerale e senza sapere come tirare avanti. Poveretti! Immaginate uno che, colto sul fatto mentre sta rubando, cerca di giustificarsi dicendo di essere pure lui stato derubato. Occhio per occhio quindi! Pare ci siano anche quelli che, paradossalmente, si sentono costretti a continuare per essersi cacciati in un vicolo cieco o in “cul de sac”. All’invito a rinunciare al racket, risponderebbero che non è facile per via della vasta e radicata rete di loschi personaggi, tipo il già citato “Bruno delle badanti”, che formano una specie di indotto e che, una volta disoccupati, diverrebbero “cani sciolti”, pronti a “mordere” per conto proprio o della concorrenza.
Non basta per insistere nell’invito alle Associazioni perché si dedichino di più e meglio a cercare di porre fine, o quanto meno un limite, all’ignobile mercato? I timori espressi da Feniof su l’Informatore numero 11 sono da non sottovalutare, ma paiono insufficienti all’opera di moralizzazione. Il rischio che si possa facilmente uscire dall’essenziale, col portare
“inutili esempi di quello che non funziona a casa propria”, è abbastanza improbabile e di scarsa rilevanza se ad un incontro ci si andrà con le necessarie determinazione e autodisciplina. I componenti dei Consigli Nazionali delle Federazioni, persone sicuramente affidabili e dotate di autocontrollo, sapranno bene come comportarsi. Occorre pensare esclusivamente ed unicamente al futuro.
“Parlarne al nostro solo interno non serve molto”? Bene! Potrebbe essere questa l’occasione per uscire in pubblico con un buon comunicato comune, da “sbandierare” in tutte le occasioni e in tutti i luoghi possibili facendolo diventare distintivo e dottrina per tutti.
Per dimostrare ai cittadini che non siamo una categoria di infami.
Amerigo Barbieri