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La città morta di un compositore rinato

A volte può accadere che un grande festival musicale internazionale si proponga di "resuscitare", per così dire, un compositore che si giudica ingiustamente dimenticato o sottovalutato. Qualcosa del genere forse è in qualche misura successo lo scorso anno proprio durante il più famoso di quei grandi festival, quello di Salisburgo.
Nell'ambito infatti di un più vasto programma pluriennale volto a riproporre all'attenzione del pubblico compositori costretti all'esilio durante il periodo nazista e poi caduti sostanzialmente nell'oblio, si è rispolverata, per non dire riesumata, e con notevole successo, la figura di Erich Wolfgang Korngold, compositore austriaco naturalizzato americano (Brno 1897 - Hollywood 1957). Korngold, dopo un esordio da ragazzo prodigio e una carriera brillantemente avviata (fu ammirato da Mahler e da Puccini, che lo definì "la più forte speranza della nuova musica tedesca"), in seguito all'annessione dell'Austria al III Reich emigrò negli Stati Uniti, dove avviò una nuova, brillante carriera come compositore di colonne sonore per il cinema; ciò gli fece però largamente perdere i contatti con gli ambienti della musica colta.
Vogliamo qui sottolineare una piccola curiosità: la "resurrezione" di questo compositore ha avuto a Salisburgo il suo clou col successo della sua più importante opera, Die Tote Stadt (La città morta), in cui proprio di una presunta o fantasticata resurrezione si tratta. Il titolo dell'opera - che debuttò nel 1920 - potrebbe richiamare al lettore italiano un omonimo titolo dannunziano, con cui essa non ha però nulla a che fare, essendo basata invece sul romanzo Bruges la morte dello scrittore belga Georges Rodenbach.
Il lavoro di Korngold mette in scena con grande efficacia una vicenda passionale e morbosa, dagli inquietanti risvolti macabri, continuamente sospesa tra sogno e realtà. Paul, vedovo inconsolabile, ha trasformato la casa in una sorta di museo-sacrario dedicato alla moglie Maria, precocemente scomparsa; incontra Mariette, un'attrice che gli sembra somigliarle straordinariamente, e la invita a casa sua per inscenare una sorta di fantastica resurrezione. Ne nasce una intensa, inquieta e ambigua relazione, in cui Paul, soggiogato dall'erotismo di Mariette, ma anche indignato per la sua licenziosità blasfema, sembra non percepire più i confini fra realtà e sogno - o incubo. Quando la giovane improvvisa una danza sfrontata ornandosi con una treccia della defunta, che il marito religiosamente conservava, egli sconvolto la uccide (strozzandola con la treccia stessa); gli eventi successivi rivelano però che Mariette non è affatto morta: non si saprà mai cosa realmente è successo, e cosa è stato visione o incubo, i confini restano angosciosamente indistinti. Frank abbandonerà Bruges, la città morta, chiedendosi quanto sia utile, per i vivi, amare troppo i morti.
 
Franco Bergamasco

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