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Una casa funeraria per Bologna?

Spazi del ricordo tra archetipi e neotipi
Andrà in scena presso l’Urban Center di Bologna, dal 25 giugno al 20 luglio 2013, una Mostra su progetti di Architettura per il rito delle esequie, una ricerca che il Dipartimento di Architettura dell’Università felsinea porta avanti dal 2011 in convenzioni formalizzate con il CSO – Centro Studi Oltre e con la FTER - Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. Il tema della morte nella città contemporanea è uno dei più profondi tabù della società occidentale. Lo dice l’esperienza comune ancor prima del dibattito sociologico e scientifico, eppure gli uomini muoiono ancora. La maleodoranza dell’argomento ne confina il dibattito alla periferia dell’interesse politico e in prossimità dei funerali, per poi esorcizzare nel silenzio l’ineluttabilità dell’evento. E se dei morti ci potremmo anche disinteressare, dei vivi certamente no: e sono questi che hanno il più delle volte a soffrire nel vedere i propri congiunti solo pochi minuti prima del funerale, in una confusione dettata da spazi modesti, spesso sovraffollati. Le strutture che la città riserva alla morte si rivelano così solo quando è troppo tardi, ossia nell’immediatezza del lutto, quando di tempo non ve n’è più per un sereno dibattito e, nel bene o nel male, si accetta con rassegnazione ciò che viene proposto. Le strutture obitoriali a Bologna (in buona compagnia con molte altre città italiane) si dimostrano allora sottodimensionate alle esigenze della popolazione; e anche nei casi di morte improvvisa il saluto alla salma è concesso in lacerti di tempo, nella mezz’ora antecedente il funerale, e in spazi piuttosto angusti ove altri feretri sono temporaneamente stoccati in attesa dei parenti in visita.
Produzione in serie e morte in serie si intrecciano nella città post-industriale. Enfatizza la carenza di spazi la nuova pluralità di riti che, in taluni casi, non riguardano solo la celebrazione del commiato, ma anche la preparazione del feretro, mentre delle tradizionali veglie funebri nelle case si sono persi tanto lo spazio quanto il gusto. Morire circondati dall’affetto dei propri cari resta allora una utopia nella certezza piuttosto del loro stress: con l’auto da parcheggiare, con solo mezz’ora per salutare il congiunto, con il terrore di perdere il corteo nel tentativo di recuperare la macchina.
L’ironia con la quale si supera l’imbarazzo del tema non ne cela tuttavia la rilevanza etica: la cura del rito tocca le corde che introducono ad un graduale distacco dal congiunto e che muovono quindi la formazione della memoria personale e sociale. Superare la dicotomia tra città dei vivi e città dei morti appare, insomma, uno dei tasselli fondamentali per un effettivo progresso sociale.
La Mostra raccoglie, attorno al generale tema dell’architettura funeraria, materiali distinti. Una prima sezione è dedicata ad ipotesi progettuali di una Casa Funeraria per la città di Bologna. I progetti, svolti nell’Anno Accademico 2011-12 da studenti del V anno del Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura, considerano a titolo esemplificativo l’attuale sede del CIF – Consorzio Imprese Funebri Bologna, investendola con una trasformazione radicale nell’ambito di una esercitazione di carattere accademico. Le proposte, lungi da risultati concreti, intendono tuttavia avviare percorsi di comprensione sulla forma di una funeral home in contesto Italiano e sul relativo modello edilizio di sua aspirazione. Ad oggi, infatti, le case funerarie italiane, cresciute nella discrezione del tema, riproducono modelli americani o travestono malamente i capannoni sedi delle stesse imprese funebri senza che sia stata condotta una riflessione approfondita sulla percezione dello spazio e sulle soluzioni formali più adatte ad accompagnare i dolenti nella gravità del momento. Ad architetture compatte, in cui le camere e le relative anticamere si affiancano l’una all’altra inseguendo un modello alberghiero, la ricerca svolta oppone un modello discreto, di elementi isolati a premiare e a promuovere la celebrazione dell’individualità della persona mediante sacelli isolati, ciascuno aderente piuttosto al modello del tempio che a quello dell’albergo diffuso. Il risultato, piuttosto che una Casa Funeraria, disegna un profilo da cittadella del commiato, pensata in questo caso ad uso pubblico e resa possibile da accordi pubblico-privati perché tutte le imprese funebri ne possano utilizzare gli spazi. Oltre alle camere del commiato, i progetti prevedono anche una sala dell’addio, uno spazio dato allo svolgimento di riti in presenza di più persone.
Una seconda sezione della Mostra accoglie gli esiti del primo Workshop sull’Architettura Funeraria, organizzato in Umbria in collaborazione con il Monastero Agostiniano di Santa Chiara della Croce. Nel contesto silenzioso della foresteria monastica, i partecipanti, divisi in team di progettazione, sono stati invitati ad elaborare in quattro giorni una proposta progettuale per una Casa Funeraria “pret à porter”, di alta qualità spaziale, ma con tecnologie costruttive semplici e costi competitivi, volendo dimostrare che alla domanda sociale si può rispondere con strutture tecnologicamente ordinarie, ma di alto profilo concettuale e qualitativo. In questi casi al progetto non si proponeva un contesto urbanistico determinato, ma piuttosto una generica collocazione nel periurbano, ambito magmatico in cui l’inserimento di una Casa Funeraria, ancorché di disegno curato, appare di più facile accettazione sociale. Di queste proposte progettuali, suddivise in opzioni di minima (400 mq di superficie coperta) e di massima (800 mq di superficie coperta), siamo lieti che la rivista Oltre Magazine possa dare, nei mesi che seguiranno, una anteprima, anche per testimoniare l’entusiasmo degli studenti verso un tema che, considerato dai più sgradito o sconveniente, si è rivelato invece straordinariamente fecondo, forse anche perché affonda le proprie radici in quelle domande intime e profonde che l’uomo si pone intorno alla sua esistenza e al suo destino.
 
Luigi Bartolomei
Dipartimento Architettura
Università di Bologna

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