Una folla innumerevole di personaggi popola il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375); la maggior parte di essi certamente è frutto dell'inesauribile fantasia dell'autore, ma non sempre è così. C'è qualche vistosa eccezione in cui compaiono personaggi reali, presi dalla storia o dalle cronache contemporanee.
Nel nostro caso il protagonista proviene dagli ambienti dell'avanguardia culturale e letteraria della seconda metà del Duecento: un mondo ricco di personaggi certo ancora ben presenti nella memoria storica dei fiorentini nell'età di Boccaccio. Si tratta di Guido Cavalcanti, colui che Dante definì "il primo dei miei amici" (chi non ricorda lo stupendo sonetto dantesco che inizia con "Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io"?) e che è rimasto noto soprattutto come poeta, da grande esponente quale egli fu della scuola poetica stilnovistica, insieme a Dante stesso e ad altri. Ma gli interessi e gli studi di Cavalcanti, come peraltro risulta da alcune delle sue stesse poesie, erano a ben più ampio raggio; erano in larga misura interessi filosofici.
È appunto anche sotto questo aspetto che Boccaccio lo presenta nella nona novella della sesta giornata: "ottimo filosofo" e perfetto gentiluomo, ricchissimo, generoso, "leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto", socievole dunque, ma solo con chi riteneva meritasse la sua compagnia; spesso anzi così assorto nelle sue meditazioni da astenersi dalla vita sociale, preferendo la solitudine, e le sue audaci speculazioni, di cui si diceva che "erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse".
Narra Boccaccio che una brigata di nobili fiorentini gaudenti e festaioli, in tutt'altri passatempi affaccendata, aveva cercato più volte di aggregare a sé l'illustre concittadino, ovviamente invano, cosa che indispettiva quanto mai il suo capo, Betto Brunelleschi. Un giorno la brigata, in giro a cavallo per Firenze, si imbatte in Guido nei pressi del battistero di san Giovanni, che ancor oggi possiamo ammirare in piazza del Duomo. Spiega il narratore che a quei tempi delle "arche", cioè dei sarcofaghi, erano sistemate adiacenti al tempio; tra queste tombe e il muro si trova Cavalcanti, quando i giovani cavalieri gli si fanno incontro pressandolo, quasi imprigionandolo, e Betto lo provoca, credendo di metterlo in grave imbarazzo con una allusione alle sue inclinazioni ateistiche: "Guido, tu rifiuti di esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?".
Nessun problema per Guido che cortesemente ed enigmaticamente replica "signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace", e con un leggiadrissimo salto scavalca un sarcofago e se ne va (dimostrando fra l'altro di saper unire alle doti intellettuali anche quelle fisiche). A casa vostra? Che mai avrà voluto dire? I giovani allibiti cominciano a pensare che il famoso intellettuale sia in realtà rimbambito; non così Betto, il quale ha compreso che la chiave dell'enigmatica risposta di Guido sta proprio nella presenza di quelle tombe, intorno a cui si affollava il gruppetto dei cavalieri: "queste arche sono le case de' morti - spiega - e Guido dice che son nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non letterati [cioè ignoranti e incolti] siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti".