- n. 2 - Febbraio 2011
- Attualità
Sui Cofani funebri in cellulosa
Basta con i luoghi comuni!
Una informazione distorta attribuisce ai materiali diversi dal legno una maggiore attenzione per l'ambiente. Non è così! Qualche considerazione per avviare un dibattito sull'argomento.
“Or non è guari ebbimo sentore”, come avrebbero detto i nostri antenati parecchi secoli addietro, che anche in Italia così come in altri Paesi si sarebbe iniziato ad utilizzare, quantomeno in alcune regioni, cofani in cartone per la cremazione.
La cosa non ci meraviglia oltremisura visto che il prodotto già viene adoperato altrove, anche se in molti casi all’entusiasmo, definiamolo così, iniziale ha fatto seguito una pausa di riflessione che ha portato talvolta ad una revisione critica di tale pratica. Il lungo tempo a nostra disposizione, stante la pausa tra la fine della campagna dello scorso anno e quella a venire che si annuncia ricca di attività in vista di Tanexpo 2012, ci ha permesso di riflettere su questo tema che pur non essendo cruciale ci pare rivesta un certo interesse su diversi piani: culturale, storico, economico e così via.
Premettiamo che il nostro approccio è quello di un osservatore esterno non condizionato da interessi settoriali o da chiavi di lettura influenzate da un background professionale specifico e tale da orientare il formarsi dell’opinione. Siamo perfettamente consapevoli che ogni nostra considerazione sarà interpretata come una lancia spezzata in favore dell’una o dell’altra categoria della professione laddove la nostra volontà è unicamente quella di lasciare le lance intatte e di dire ciò che pensiamo in funzione di una certa esperienza che ci viene dall’aver girato per mezzo mondo contattando eminenti rappresentanti del settore funerario. Se, come auspichiamo, da tale apporto potrà nascere un dibattito, aperto a tutti, sulle pagine di questa rivista (e non dubito che il direttore sia assolutamente favorevole ad ogni contributo dei lettori su questo come su qualsiasi altro tema che interessi gli operatori del settore) potremo considerare che esso non sarà stato inutile.
Tutto parte dall’informazione giuntaci che nella regione Veneto, ed in particolare a Venezia, sono state eseguite cremazioni utilizzando bare di cartone. Altre regioni si accingerebbero a fare altrettanto o l’avrebbero già fatto se è vero, come ci è stato riferito da fonte attendibile, che un sacerdote del pavese avrebbe rifiutato l’ingresso di tale tipo di feretro in chiesa. Storicamente ci pare di ricordare che la regione Friuli Venezia Giulia aveva autorizzato qualche anno fa tale pratica pur sospendendola dopo aver valutato un certo numero di elementi forniti da operatori del settore. Tra di essi le conseguenze a livello del forno crematorio e sul piano delle emissioni di fumo. Già molto tempo fa alcuni costruttori di forni con cui si parlava dell’argomento avevano affermato con una certa unanimità che, contrariamente a quanto di primo acchito si potrebbe pensare, le macchine soffrivano molto di più trattandosi della combustione del cartone piuttosto che di quella del legno. Tra le ragioni evocate i picchi di calore dovuti alle fiammate violente del cartone stesso, i prodotti chimici che si trovano in tale materiale e che richiedono strutture speciali per essere neutralizzati e le emissioni di particelle simili a quelle che si producono quando sulle braci di un caminetto si getta un foglio di carta di giornale. I picchi di calore produrrebbero conseguenze nefaste sulla durata dei refrattari la cui vita è inversamente proporzionale alla frequenza ed all’ampiezza dell’escursione termica. In altri termini se essi sono programmati per resistere un numero di ore «x» prima di venir cambiati (con le spese che ciò comporta per il possessore dell’impianto) è chiaro che la loro durata sarà, in presenza di stress termico, uguale ad «x» meno «y» dove quest’ultimo sarà tanto più importante quanto più saranno state importanti le variazioni di temperatura. Non a caso gli stessi costruttori consigliano di mantenere quest’ultima ad un certo livello anche quando i forni non funzionano (la notte, ad esempio) per evitare tali effetti indesiderati oltre che per averli più rapidamente operativi in caso di necessità e per diminuire, fatti i debiti calcoli, i costi globali di gestione dell’impianto. Sappiamo inoltre che in Italia sono in corso studi, “indipendenti” e non pilotati da gruppi di interesse, sui complessi aspetti della combustione. Auspichiamo che i risultati siano presto disponibili e divulgati pubblicamente, meglio ancora se sotto forma di contributo redazionale proposto in termini accessibili ai più e non ai soli addetti ai lavori.
In tutta questa vicenda quello che più ci interessa è l’aspetto culturale, particolarmente importante in un Paese come il nostro che, seppure in rapida regressione su questo piano in questi ultimi decenni, rimane tuttavia depositario di più millenni di apporto di civilizzazione che ci permetteranno ancora per un bel po’ di essere fieri nel rivendicarci italiani pur non avendo alcun merito per le glorie del passato e, salvo eccezioni sempre più rare, alcun titolo per considerarci eredi di quei tempi aurei.
Tutto ciò malgrado lo squallore delle vicende italiche non solo a livello politico (si parla della vita politica in generale e non di fatti che sono in questi giorni oggetto di aspre guerre mediatiche), ma anche per quanto concerne la
libertà intellettuale, dove più che tentare di formarsi una idea personale e ponderata su un argomento risulta più agevole, e certo meno faticoso, fare proprie pedissequamente le ultime dichiarazioni del “guru”, sia esso capo di partito, di clan culturale o pseudo tale. Ne abbiamo puntualmente la prova in occasione di manifestazioni di piazza o di riunioni sportive dove orde di imbecilli ripetono come poveri pappagalli nordcoreani slogan e parole d’ordine coniati su misura da incolti arruffapopoli. Dove sono finiti i tempi in cui chi scrive trovandosi, eravamo negli anni ‘60, allo stadio San Paolo a Napoli poteva godersi la creatività del vicino che dopo una occasione sprecata dal famoso Altafini, che pur era allora un idolo della tifoseria partenopea, inventò in tempo reale, riferendosi ad un successo discografico di Gianni Morandi, il seguente invito al campione: “Altafini, mitte a capa int’o cesso e canta: non son degno di te”? Oggi imperversano comportamenti poco civili (basta vedere come guida la maggioranza dei connazionali che sfogano le proprie frustrazioni, anche sessuali, con un volante in mano), una scarsa attenzione per l’ambiente, l’individualismo edonistico, il drammatico allentarsi dei valori della famiglia e un sempre minore rispetto nei confronti degli anziani che di questa sono, quali depositari della tradizione, la memoria vivente. E via dicendo. Chiusa parentesi.
La cultura funeraria italiana, e più generalmente quella cristiano-latina, ha da sempre conferito al passaggio dalla vita terrena a quella eterna un significato particolare che merita di essere celebrato in forme adeguate ben definite dal termine “pompa” nel suo significato di “apparato solenne e sfarzoso in occasione di cerimonie ...” che deriva dal greco “pompè” (corteo) a sua volta originato dal verbo “pémpein” (inviare, accompagnare). Tali solennità ed importanza trovano un momento di altissimo rilievo nel contenitore, la bara, per la quale fino a poco tempo fa anche le famiglie meno abbienti tentavano di trovare una soluzione che fosse, nei limiti della loro disponibilità, dignitosa. Su tale cultura se ne è inserita un’altra, più sobria, di chiara origine nord europea, che rifuggendo da segni di esteriorità troppo marcati privilegia una austerità sin qui poco praticata dalle italiche genti. Tale approccio trova origine in quel protestantesimo che è nato anche in contrapposizione al modo di vivere “allegro” della Curia Romana nel XVI secolo. E che ha trovato la sua piattaforma ideologica nelle famose novantacinque tesi di Lutero pubblicate il 31 ottobre 1517 e mai affisse (come vuole una leggenda dura a morire) alla porta della chiesa del castello di Wittemberg. Esse rigettano numerosi dogmi del corpo dottrinale cattolico ed ancor più la pratica delle indulgenze, quel principio in virtù del quale i peccatori vedevano ridotta la propria sanzione spirituale in cambio di quattrini. È ben vero che il Vaticano mancava allora crudelmente di fondi per continuare il cantiere della “fabbrica” di San Pietro … . Le comunità protestanti si distinguono, del resto, per la singolare discrezione nella vita pubblica e per il basso profilo che assumono nelle attività professionali. In Francia, ad esempio, grandi dinastie di industriali e di banchieri, originarie soprattutto del Nord e dell’Est del paese, appartengono a tali comunità. Queste persone sono praticamente sconosciute, se non agli addetti ai lavori, e continuano a consacrare la propria vita al lavoro, alla famiglia, alla beneficenza, ma senza inutili schiamazzi e soprattutto senza apparire sui settimanali di gossip o peggio ancora nelle agitate serate della Saint Tropez estiva o sui decks di battelli ormeggiati a Monte Carlo, abbronzatissimi e “flute” di champagne in una mano ed il sedere di una velina nella altra. E magari qualche pasticca non lontana. Tale approccio spartano ha investito anche la sfera funeraria. Non si vuol dire che da un giorno all’altro siano scomparsi i cofani in legno. Essi restano tuttavia sobri e ad essi si affiancano, laddove la legislazione non lo impedisca, contenitori in cartone che presenterebbero, tra l’altro, il vantaggio di essere meno cari.
Questi prodotti giungono ora in Italia più che per ragioni culturali, ci sembra, per ragioni commerciali. C’è chi ha visto in essi una opportunità per vendere e per realizzare profitti. Cosa tutto sommato assolutamente normale agli occhi di chi, ed è il caso nostro, considera che, al di fuori di ogni dirigismo statale, debba essere il mercato, pur se con regole che gli impediscano di degenerare nell’anarchia, a determinare il successo o meno di un prodotto. Tutto sta nell’abilità del venditore nel promuovere la propria merce utilizzando gli strumenti di cui dispone per realizzare i propri obiettivi. Insistendo anche su temi molto attuali ai quali i cittadini paiono particolarmente sensibili come ad esempio quello ecologico. Ci viene riferito che in corrispondenza alle prime, sporadiche, cremazioni fatte con cofani di cartone sono apparsi articoli che ne salutavano l’arrivo mettendo in evidenza i vantaggi sul piano del rispetto dell’ambiente. Sarà anche vero, ma è altrettanto vero che i cofani di legno adeguatamente trattati lo rispettano in termini analoghi se non addirittura maggiori. Se i costruttori italiani di cofani funebri rimarranno inerti, è chiaro che le loro quote di mercato andranno a diminuire. Non crediamo che da un giorno all’altro le cose possano cambiare in modo spettacolare. Né staremo qui a fare il processo ad una categoria composta da persone adulte, responsabili e vaccinate che dovrebbero essere le prime a correggere gli errori eventualmente compiuti. Da osservatori esterni ci pare di cogliere la mancanza di uno spirito di corpo che soffre dell’individualismo di ciascuno, più preoccupato di fare i conti nel proprio angolo anziché aprirsi ai colleghi-concorrenti in una prospettiva di più ampio respiro.
Meno evidente ci risulta l’interesse economico degli operatori funerari. Come è noto, le bare in legno si vendono (alle imprese) a prezzi inimmaginabili grazie alla cecità di chi ha voluto imbarcarsi in una guerra dei prezzi suicida. Non si comprende quale interesse possano avere le aziende di onoranze funebri a promuovere un prodotto il cui prezzo non potrebbe consentire loro quei margini confortevoli (ma si tratta di una delle voci tra le più importanti nella loro economia) garantiti loro dai cofani tradizionali. Solo l’azienda pubblica, “meno orientata” al profitto, potrebbe avere qualche ragione per proporre tali contenitori funerari. Sarebbe interessante conoscere i prezzi praticati in occasione di cremazioni già avvenute. Così, tanto per avere una idea.
Anche se è vero che ai giorni nostri il momento della morte è vissuto sempre più come qualcosa che viene a turbare l’edonismo quotidiano e che merita quindi, in un’ottica quasi negazionista, di essere trattato come una incombenza sgradevole da espletare quanto prima, parecchie generazioni saranno necessarie, ci auguriamo, prima che le spoglie di un familiare siano da considerare alla stregua di un rifiuto qualsiasi di cui sbarazzarsi, a costi contenuti (le economie così realizzate permetteranno di comperare una bella borsetta “firmata” pagata almeno dieci volte il suo prezzo di costo!), in cimiteri che da luoghi del “bello” e della memoria saranno diventati ricettacoli per lo smaltimento, meramente funzionale, dei nostri resti fisici. Che tristezza ragazzi!
Ci pare opportuno sottolineare, per fugare il campo da ogni equivoco, che a titolo personale siamo più che favorevoli alla cremazione, tanto che per noi stessi abbiamo previsto tale trattamento che tuttavia sarà fatto, nel pieno rispetto dell’ambiente al quale siamo sensibili quanto e forse più di tanti ayatollah (magari anche fumatori) dell’ecologia dai quali non ci pare di avere molto da imparare, in un cofano di legno e non di cartone. Non l’usura prematura dei refrattari ci motiva nella nostra scelta, ma piuttosto una certa idea della “tradizione” (rispetto alla quale già il fatto di orientarsi verso la cremazione costituisce una rottura) ed una certa reticenza psicologica a venire “impacchettato”, per l’ultimo viaggio, in un materiale che ci evoca più una scatola per scarpe che un contenitore per i resti di chi, fino alla vigilia, respirava, vedeva, parlava, forse soffriva. Viveva insomma. Anche se tutto (o quasi) se ne andrà in fumo e anche se sappiamo perfettamente che alcuni cofani in cartone sono tutt’altro che “brutti” sul piano estetico. Penso a quelli che i nostri amici da vent’anni Elder e Davies, che avevamo conosciuto nella loro allora immensa fabbrica (ex Krupp USA) di Richmond nell’Indiana, producono negli Stati Uniti. Ciò non toglie che altri la pensino, rallegriamocene, diversamente.
Buon lavoro a tutti.
Il Viaggiatore