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L'UFFICIALE

L'uomo a cavallo fece ingresso dalla porta principale del paese, raccolto e adagiato nel fondovalle.

Era uno di quei caldi giorni di primavera, quando le nevi squagliano e flottano dalle pendici di ripide vette ancora candide di ghiacci. L'uomo entrò al passo tra le modeste case, movendo piano il bruno destriero tra le pietre e la paglia del villaggio, in quel giorno di Francia del 1816.

Vestito di panno blu e coperto da un nero mantello, ignorando le bellezze della natura alpestre, l'ufficiale muoveva la cavalcatura suscitando lo stupore generale.

L'uomo era certo uno di quei reduci che, al seguito di Napoleone, aveva visitato tutti quei paesi attraversati dalle battaglie imperiali. In apparenza non poteva rappresentare niente di straordinario, anche se lo straniero faceva specie in quel contesto. Era certo un valoroso che, alla sua mezza età, poteva dirsi fortunato di essere scampato alle pretese della morte, schivando il filo della spada ed il vagare delle palle del moschetto, ma non completamente.

Il nastro della Legione d'onore che portava al petto faceva il paio con la lunga cicatrice che solcava il lato destro del volto, a prolungare il lungo baffo grigio. Un volto dall'aspetto freddo, ma sereno, tipico di chi sa come patteggiare con la propria coscienza, e profondo nello sguardo, com'è di chi domina i sentimenti, immergendoli in tacite e cavernose dimenticanze.

Di certo aveva visto il mondo, ma più da dietro il fumo dei cannoni che non nelle piazze e nelle strade di pacifici villaggi e vivaci città, e pareva stanco.

Il capitano aveva quel portamento, appena manifesto, ma esperto e risoluto, di chi sa come combattere bene anche altre battaglie, scollinando impavido sui dolci declivi di vogliose donne, ma non per questo ha mai preso moglie.

Tutti i valligiani della cittadina alpina si chiesero chi fosse quel silente militare, che infine scese con un movimento naturale dal suo destriero ed entrò nella locanda di Pierre Martin, appunto, il taverniere. Chiese da bere. "Un bicchiere di rosso, oste, Costa del Rodano, se ce n'è, e poi formaggio di capra ben salato e pane, per piacere". Poi si mise a sedere su una vecchia panca, poggiò la curva spada al suo fianco e attese, ignorando il silenzio diffidente che aveva riempito la pensione.

Quando ebbe mangiato e bevuto, pagò e uscì, mentre qualcuno tra i presenti, forse Antoine, iniziava a brontolare qualche dubbio, poi la smise, mentre l'ufficiale, di nuovo in sella, prese la via per la parte a nord dei bassi caseggiati, attraversando il ponte di pietra che saltava oltre al ruscello.

La novità non era cosa usuale tra quelle valli del basso Delfinato, ma la curiosità era abitudine montana assai diffusa, quindi, con fare indifferente, più di una donna e qualche cittadino presero a seguire i movimenti del soldato sbirciando di lontano.

Il cavaliere, che di imboscate e appostamenti ne sentiva l'odore in un alito di vento, pur senza voltarsi percepiva il movimento dietro sé, ma andava avanti e non se ne curava. Fece sosta arrivato innanzi ad una lunga casa in legno e pietra, ben costruita, con un saldo tetto in lose, così fitto che pareva una pelle di un pesce. Era chiusa da tempo. Dopo averla osservata con l'occhio immobile, prese terra nuovamente, mentre l'animale andava a bere dentro a una tinozza poco distante. In quel momento passava una vecchia signora, china sotto il peso di una gerla e quello, ancor più lordo, degli anni. L'ufficiale la chiamò.

"Mi scusi, Maddalena". E la donna: "Chi siete, soldato, che sapete il mio nome?"; e lui: "Sono Bernardo, Bernardo Laurent, figlio di Jaques e di Marie Claire".

A quel nome la donna sgranò gli occhi e disse: "Nel nome di Dio, Bernardo, siete voi, ma sono vent'anni che...", poi tacque e lui corresse:"Sono più di ventuno che son partito, per servire prima la Francia e poi l'imperatore, ma ora è tutto finito e sono tornato". A quel nome la gente che si era radunata sgranò gli occhi e disse in un coro di bisbiglio: "Nel nome di Dio, Bernardo Laurent è ritornato!".

La chiave era là, sotto la pietra che stava sopra alla porta. Bernardo, il capitano, entrò in quella casa che lo vide partire e chiuse la porta che separava l'interno buio, pieno di ricordi, dall'esterno in piena luce, ma tempestato di commenti. Per farla breve, il capitano Laurent, del quale si erano perdute le tracce da quel famoso giorno del suo arruolamento, nel 1795, da allora era stato dato per morto, dapprima a Talavera, nel 1809, poi disperso nel 1812, durante la ritirata di Russia e quindi nuovamente morto a Reims, nel '14 mentre difendeva la terra di Francia dalle avanzate delle coalizioni inglesi e prussiane.

Bernardo Laurent era stato per ben tre volte l'eroe del piccolo villaggio alpino, ed ora, per la terza volta ritornava in vita, triplicando lo spessore della sua leggenda. Ad ogni sua scomparsa, ben due persone erano morte veramente. La prima volta, nel '78, quando, per una manovra errata capottò con il calesse, uccidendo involontariamente Julienne, bella e sorridente, fresca come la rugiada, la sua promessa sposa e il figlio che portava in grembo.

Partì per cercare la sua stessa morte ancor prima del funerale e di lui, per un decennio, non si seppe più nulla. Bernardo era il primogenito della famiglia Laurent, la più ricca del paese. Il padre, Jacques, era il dottore, il veterinario e il farmacista di tutta la vallata. Un uomo esemplare.

Amava talmente Bernardo che, minato da un malanno, dall'età e da un rigoroso inverno, non superò la prima lettera che ne annunciava la scomparsa in battaglia e ne morì. La seconda volta, nell'inverno del 1812, fu la madre, anch'essa triste e sofferente, ad accasciarsi sulla nuova, sinistra novella, dopo aver già pianto Bernardo e Jacques quattro anni prima. Della famiglia rimaneva Armand, trent'anni appena. Alla terza morte del fratello, vista la breve distanza, partì a cavallo per Chambery tentando di raggiungere le truppe in ritirata e smascherare il capriccio che per tre volte aveva dato per morto l'amato fratello.

Giunto al comando, nel cuore di uno scontro, trovandosi di fronte all'imperatore in persona che al solo nome di Laurent gonfiò il petto d'orgoglio, Armand si sentì in dovere di onorare il prestigio del fratello, offrendosi come volontario e morendo per palla da fucile nella battaglia di Chateau Thierry, sei giorni dopo. A tutte questi decessi annunciati ne mancano ben tre all'appello. Tre morti che danno una soluzione logica all'immortalità di Bernardo Laurent. Laurent, appunto, è cognome assai diffuso in terra di Francia, così come Bernard è un prenome molto comune.

In tanti anni di campagne militari, tra i tantissimi bravi cittadini caduti per la gloria di Napoleone, tre erano omonimi del quarto, che assai probabilmente venne confuso con i deceduti, lui, che tante volte accecato dalla presunzione cercò la morte per lenire i suoi rimorsi, ma senza trovarla. La morte è nostra signora, forse un po' monella, è lei che spesso sceglie l'attimo più imprevisto per riscuotere l'affitto di questa nostra breve vita. Nel marasma delle disfatte, uno scambio d'identità tra militari dallo stesso nome era un errore veniale e assai frequente.

Quel giorno del suo ritorno, tra le mura della vecchia casa, Bernardo apprese dalla voce tremolante di Maddalena tutte le sinistre sofferenze che aveva causato alla sua amata famiglia. Verso l'imbrunire salì a cavallo e nuovamente attraversò il paese tra gli sguardi ed i commenti bisbigliati dalla gente. Sulla piazza, in una targa in marmo, fatta venire apposta dall'Italia vi era inciso: "In memoria di Bernardo Laurent eroe e gloria di Pont St. Arnoux 1776 - 1808 (e poi, sebbene sembri paradosso) - 1812 - 1814".

L'ufficiale la vide, si pose una questione, poi trovò risposta dentro agli occhi esterrefatti di un uomo cattivo e passò oltre. Scese dal fedele animale, che pareva far ormai parte dell'uomo, proprio di fronte al cimitero. L'aria era fresca, l'ufficiale entrò, e per la prima volta dopo troppi anni, lasciò che il suo cuore aprisse i suoi silenzi, gridandoli alla stretta vallata.

Tra l'eco dei ruscelli che rimbalzava dai cocuzzoli ancora sfiorati dagli ultimi raggi del sole, egli, ancora vivente, inginocchiato innanzi a troppe tombe di volti a lui cari, non più soldato, pianse. Intanto nel paese vi era molto fermento. Chi fosse veramente l'ufficiale erano ancora in pochi a saperlo e quell'uomo per ben tre volte morto in battaglia era diventato un mito per la gente semplice della vallata. Se ne parlava in continuazione e a vedere la sua lapide venivano sui carri da tutta la regione.

Quell'ennesima, imprevista e incomprensibile resurrezione gettava ombra di menzogna sul prestigio del paese. Per non contare l'imbarazzo poi di dovere restituire all'unico erede tutti i possedimenti espropriati alla famiglia Laurent e già destinati al parroco e ai sette consiglieri del centro abitato.

Nel corso di una imbarazzante riunione a porte chiuse e durata fino a notte fonda, più di una volta, a qualche montanaro troppo interessato in preda alla "veritas" di un bicchiere di vino, scappò di dire che il morire per tre o quattro volte non avrebbe fatto una grande differenza a chi doveva esserci abituato. A quell'ora, il capitano era sdraiato sul giaciglio della sua casa vuota ed il suo esperto spirito soldato, già aveva carpito il rancore muto dei suoi concittadini e smascherato il volgare motivo. Quella notte, piagato dalle fiamme della memoria che non si spegne, rivide il volto dei suoi cari piangere la sua mancata morte.

Rivide Julienne, morire fresca come la rugiada, strappata dalle ruote del calesse, gli comparve quasi viva l'ultima immagine che aveva del volto di sua madre e tra l'eco dei lamenti di tanti compagni dilaniati dal fuoco di mitraglia, tra il rombo cupo dei cannoni rincontrò i tanti nemici che egli stesso, lanciato intrepido al galoppo, aveva attraversato il petto con la lancia e con la spada, cercando invano il medesimo, cruento trattamento che avrebbe infine spento il suo tormentato cuore.

Rivide i loro volti, stupiti di dover morire in quel momento, giovani soldati d'ogni regione della tormentata Europa: ragazzi austriaci, italiani, russi ed inglesi, e poi polacchi, prussiani, e baschi, e portoghesi. A decine ne aveva uccisi, tutti nemici, al grido di "Viva la Francia! Viva l'imperatore!".

A quante madri inermi, d'ogni lingua e paese, aveva in sol colpo d'asta ucciso il figlio e trapassato il cuore? Cos'era quella pietra che sentiva nello stomaco e dentro le budella? Rimorso? Rimpianto?

Il peso di una tardiva presa di coscienza? A nulla era servito rincorrere la morte, anzi, ripensandoci bene e onestamente, per troppe volte, anziché lanciare il petto all'avanzare della baionetta, vigliaccamente si era difeso.

Troppe volte l'aveva inferta per volerla veramente, ed ora era tornato, vivo e vegeto tra la sua gente, eroe, ma solamente se ammazzato, non importa dove, se sulle rive della Bresina o nelle pianure di Spagna o di Francia, eroe, purché morto. Invece era vivo, ma solo e malvoluto, sperso, più nessun nemico da affrontare né un duce da servire, Napoleone vinto e deportato. Quanta inutile carneficina, quanta immensa tristezza, quanta amarezza, tutta insieme dentro alla stanza che un giorno ormai lontano vide l'ufficiale crescere bambino e farsi uomo.

Verso le quattro di mattino, quando anche il gallo più mattiniero riposa ed il cane dorme avviluppato nella paglia, per ripararsi dal freddo della grande montagna, Pierre Jean, il sicario assoldato da un cittadino troppo interessato, dopo essersi intromesso nella casa del mitico guerriero si avvicinò con sinistra circospezione al giaciglio del soldato. Di morire per il colpo di una lama, per il capitano Bernardo Laurent, proprio non era destino. L'ufficiale era già morto. Di dolore.
 
Carlo Mariano Sartoris
Il 6 agosto scorso, nella suggestiva cornice di Santa Caterina di Rocca d'Arazzo, piccolo paesino della langa astigiana, patria della barbera, si è svolta la terza edizione del Premio Letterario Ettore Ottaviano.

Bissando il successo ottenuto lo scorso anno con "La diagnosi del Dottor Quaranta" si è aggiudicato l'edizione 2002 del Premio il nostro Carlo Mariano Sartoris, con il racconto "Dal buio del tunnel" che vi abbiamo proposto nel numero di luglio Oltre Magazine.

All'amico Carlo, per altro già avvezzo ad altri prestigiosi riconoscimenti, vanno le congratulazioni nostre e dei nostri lettori che, come lui stesso sa bene per le numerose lettere che riceve, lo seguono ormai da tempo con interesse, affetto e simpatia.c.m.s.

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