Rotastyle

A Budapest il 22 e 23 maggio 2009

Temexpo

Temexpo, la fiera funeraria ungherese, è giunta ormai alla settima edizione. Dopo inizi laboriosi (ricordiamo le edizioni che si tenevano a Nyregyhàza, nell’est del paese a poca distanza da Debrecen e dalla frontiera con l’Ucraina), ormai essa si svolge ogni due anni nel complesso Hungexpo. Non lontano dal centro della capitale, è immerso nel verde che circonda la bella Budapest, anche se talvolta risulta alquanto complicato, più che l’arrivarci, il ripartire, vista la scarsità di mezzi di trasporto pubblici e l’aleatorietà dei taxi. Un po’ come al Bourget di Parigi dove, anche quando non ci sono scioperi come quello di due anni fa, il ritorno in albergo è spesso avventuroso.
Quest’anno la manifestazione, organizzata dall’OTEI (Országos Temetkezési Egyesület és Ipartestület), la federazione funeraria nazionale, si è tenuta nel padiglione C. Ampio e ben illuminato esso era, tuttavia, privo di aria condizionata, il che non ha facilitato il lavoro degli espositori di fronte a calure estive veramente importanti. Anche se, “tecnicamente”, siamo ancora in primavera!
Il nome Temexpo potrebbe essere tradotto in Funexpo. La radice “tem” evoca l’ambito funebre. La ritroviamo infatti in molte parole come “temetés” (funerale) o “temetö” (cimitero). Ciò ci porta a soffermarci sull’originalità della lingua ungherese, prodotto della storia agitata di quel Paese (ultimo episodio saliente l’eroica e quasi romantica insurrezione del 1956) che ha lasciato tracce indelebili nel subconscio collettivo e che spesso viene evocata per spiegare l’alta, anzi altissima, percentuale di suicidi in Ungheria, comparabile solo a quella della Finlandia. I due paesi infatti si contendono da sempre il poco ambito primato in materia. Ciò che è ancor più strano è il fatto che le due lingue sono fortemente apparentate (del resto per lungo tempo esse sono state considerate come facenti parte del gruppo linguistico “ugro-finnico” anche se oggi i linguisti vanno oltre tale definizione semplificatrice) sia per il fatto di essere di “carattere agglutinante” (tratto caratteristico delle lingue uraliche che si conserva a tutt’oggi e che significa che gli elementi derivati e i suffissi “d’uso” vanno incollati ad una “radice”) che per quello di obbedire alla regola della “armonia vocalica” che impone, semplificando, che nella stessa parola le vocali della seconda e della terza sillaba abbiano lo stesso timbro sonoro della prima.
Tutto ciò ci porta alle origini del popolo ungherese di evidente provenienza uralica e, ancor più in là, asiatica ed al suo percorso storico travagliato anche per la configurazione, senza rilievi importanti, del paese che ne ha fatto un terreno di passaggio e di battaglie per eserciti provenienti da tutte le direzioni. In tale contesto tormentato si è forgiata una identità nazionale esasperata che si traduce, ad esempio, nell’ossessiva (sia a Budapest che in provincia) apposizione di placche portanti la dizione “müemlék” (monumento nazionale) su case che hanno visto nascere, vivere o morire poeti, artisti, scienziati, generali, uomini politici.
Come spesso accade tali vicissitudini si ripercuotono nella creazione artistica. L’arte, in tutte le sue forme, è spesso un rifugio ed uno strumento di consolazione, un’oasi felice diremmo, per far fronte al fardello di una storia e delle difficoltà quotidiane. In pochi paesi come in Ungheria abbiamo trovato tanta gente di educazione artistica raffinata e profonda. Ancora qualche giorno fa passeggiando di tardo pomeriggio, dopo la fiera, per le vie centrali rimanevamo piacevolmente stupiti, forse commossi, nell’udire uscire dalle finestre degli appartamenti che ci circondavano suoni, talvolta incerti, ma spesso sicuri, di pianoforte o di violino. Pensare che dietro quegli strumenti ci fossero giovani impegnati nell’apprendere ci portava ben lontani dalle cacofonie canterine che occupano le giornate di molti ragazzi nei nostri paesi cosiddetti “sviluppati”. Un’aria, un’atmosfera di impero austro-ungarico, quella che ha forgiato la nostra infanzia in una città che di quell’impero aveva fatto parte, ci riportava al tempo in cui nell’Austria “felix”, prima dello sconvolgimento prodotto dalla Grande Guerra, la vita scorreva un po’ sonnacchiosa, certo, ma nella convivenza di un numero impressionante di nazionalità ed in un ordine che ancor oggi sopravvive a Budapest e nella maggior parte dell’ex impero asburgico.
Basta osservare la metropolitana della capitale ungherese. Pur limitata (tre sole linee e non eccessivamente lunghe anche se la numero 1 è stata la prima ad essere aperta in Europa continentale; ancor oggi le sue stazioni dalle decorazioni lignee liberty ci affascinano) essa è pulitissima. La gente sfila ordinata tenendo la destra sulle scale mobili (sempre funzionanti!) ed anche i più giovani si astengono dalle sciatte e chiassose manifestazioni, che vorrebbero essere spiritose, ma che non son altro che un segno di maleducazione, che spesso avviliscono le reti metropolitane che frequentiamo in altre città. Non c’è una carta a terra, la gente esce (prima) ed entra dalle vetture senza resse e spintoni. L’unico elemento un po’, come dire, al di fuori della discrezione imperante è quello delle coppie di innamorati che si perdono in baci lunghissimi nel metrò ed altrove. Talvolta con risultati macroscopicamente visibili ad occhio nudo. Soprattutto per i maschi...! Per le donne ciò risulta, come ben noto a tutti, un tantino più difficile da verificare … anche se i parametri obiettivi di valutazione non mancano. D’altra parte la focosità magiara, alimentata dal forte uso di paprika (anche se studi recentissimi condotti in una università canadese dimostrerebbero che il solo alimento veramente afrodisiaco sarebbe il cioccolato nero; tutto il resto, peperoncini, ostriche, caviale, champagne non avrebbe alcun effetto per così dire “tangibile”) è ben nota. Un tanto ci rassicura. Qualche dubbio infatti ci veniva da un’esperienza non esattamente gradevole fatta durante il soggiorno in uno degli stabilimenti termali ungheresi più noti. Premettiamo che da più di quarant’anni frequentiamo quel paese e i suoi innumerevoli bagni di acque medicamentose (sulfuree per la maggior parte). Dopo una giornata di lavoro e di sudate fieristiche cosa ci potrebbe essere di meglio che il rilassarsi tra una vasca di acqua a 70° per passare poi in una a 20° e quindi in una sala a vapore caldo o ancora in una secca sempre a 70°? Piacere ancor più intenso quando esso si produce in locali ricchi di storia plurisecolare com’è il caso delle “Király Fürdö”, le terme reali costruite dai turchi durante la loro lunga occupazione del paese succeduta alla battaglia di Mohàcs del 1526 dove 20.000 ungheresi vennero, dopo un combattimento eroico, sopraffati da un esercito di 100.000 turchi condotti da Solimano I. Per la cronaca gli occupanti giunti dalla Sublime Porta furono sloggiati dagli austriaci solo nel 1699, poco meno di due secoli dopo, lasciando in eredità oltre che le terme anche un certo numero di vocaboli come ad esempio “kapu” (porta).
In tale stabilimento, che abbiamo conosciuto in ore più gloriose, siamo stati importunati da un signore di una certa età che, introdottosi di sorpresa nella cabina dove prendevamo la doccia preliminare, con somma impudenza pose mano alle nostre “pudenda” esprimendo così molto chiaramente le sue, ai nostri occhi, poco lodevoli intenzioni. Sloggiato con ferma determinazione, il gentiluomo non si dette per vinto e si ripresentò, ancor più ringalluzzito (altri direbbero “ingorillato”) proponendoci, in un inglese alquanto corretto, un massaggio. Davanti ad un altro, sempre più spazientito, rifiuto il nostro ci chiese: “Ma allora lei preferisce i giovani?”. La risposta, secca, perentoria ed ormai rabbiosa: “No, le donne, e adesso basta!” lo abbacchiò definitivamente tanto che, con una smorfia di disgusto, l’importuno girò i tacchi ed andò definitivamente fuori dai, come dicono i francesi, “bijoux de famille” (gioielli di famiglia).
Tutto ciò per dire che il mondo cambia in continuazione, e non necessariamente nel senso migliore, e che anche le terme ungheresi hanno perso molto del proprio fascino.
Un po’ scossi, oltre che estremamente innervositi (tant’è che poco dopo, non sopportando più tale atmosfera, ce ne andammo) da tale esperienza, osservammo con maggior (a giusta ragione!) attenzione chi si trovava colà per renderci conto, sognatori incorreggibili, che in realtà il luogo (in una giornata riservata agli uomini; si potrebbe supporre che lo stesso avvenga, “mutatis mutandis”, nei giorni di apertura al gentil sesso) era pieno di coppie dello stesso genere o di single che manifestamente cercavano di formare una coppia estemporanea. Si avvisano quindi i lettori che avessero l’intenzione di recarvicisi e che presentassero gli stessi gusti di chi scrive che il solo modo di porre rimedio a tali imbarazzanti situazioni è quello di andare in quei luoghi unicamente nei giorni di apertura mista (nel caso specifico la domenica), meglio se accompagnati da consorte, fidanzata o “facente funzione” locale, ovvero di frequentare stabilimenti come le “Széchenyi (leggi Sécceni) Fürdö”, le sontuose terme al “Varosliget” (il parco pubblico), aperte in permanenza sia alle donne che agli uomini. Con la speranza che, visto l’andazzo, tali giornate non siano l’occasione per proposte di, diciamo così, gaudenti festicciole “collettive” le quali peraltro sarebbero, ai nostri occhi, di gran lunga più accettabili delle insane, disoneste ed improponibili avances di quel signore.
Per fortuna che il culto della bellezza muliebre occupa ancora, a vari titoli, i pensieri, le azioni ed i momenti di svago, anche culturale, degli ungheresi.
Così un vero e proprio inno alla donna è rappresentato dalla sublime esposizione temporanea, al Museo di Belle Arti, della produzione del grande artista ceco Alfons Mucha i cui cartelli pubblicitari in puro stile “Secessione” offrono alla nostra infinita e riconoscente ammirazione immagini femminili ricche di grazia e bellezza. La mostra porta un nome gradevolissimo e che è tutto un programma, “A nö dicsérete” (Alla gloria della donna!). Sia ringraziato il Signore per un titolo così bello! Essa è stata offerta dalla Repubblica Ceca in occasione del semestre di presidenza dell’Europa affidata a quel paese. Tra i vari capolavori esposti molti manifesti della grande attrice Sarah Bernhardt più volte ritratta da Mucha in occasione degli spettacoli parigini. L’artista infatti visse una quindicina d’anni, a cavallo tra ‘800 e ‘900, nella capitale francese prima del periodo americano e del ritorno in patria, a Praga, fino alla morte all’età di 79 anni il 14 luglio 1939, intristita e forse anche accelerata da un arresto da parte dei nazisti, nella primavera dello stesso anno, in quanto appartenente alla massoneria. Di tale organizzazione esoterica egli aveva fatto parte praticando nella vita “profana”, quella per intenderci di ogni giorno, gli ideali di fratellanza che essa, al di fuori di ogni pregiudizio religioso o politico, professa. Purtroppo anche in essa in quanto costituita da uomini, si creano, la nostra storia recente insegna, le condizioni per deviazioni o per cattive interpretazioni, in senso “affaristico”, delle basi profondamente lodevoli su cui essa si fonda.
Rimane il fatto che se l’Italia è oggi un paese unitario ciò è in gran parte dovuto all’azione di quegli uomini “liberi e di buoni costumi” quali idealmente essi dovrebbero e vorrebbero essere. Ciò spiega la lunga e spesso calunniosa avversione del Vaticano. Quello stesso Vaticano, ed è questa, vogliamo sottolinearlo, la nostra personale opinione, che sembra aver dimenticato quasi 140 anni (esattamente 139 al 20 settembre di quest’anno) dopo che Porta Pia (non si dimentichi che molti “fratelli” si affrontarono nei due campi) c’è stata, eccome!, e che con essa l’Italia può e deve decidere sulle proprie sorti senza bisogno di ramanzine da parte di prelati più o meno alti in grado che quotidianamente sentenziano su tutto ciò che riguarda gli affari interni dello stato italiano (trattamento dei clandestini, misure economiche da prendere?!, …) sia direttamente in occasione di commissioni, manifestazioni o seminari che per stampa, più o meno confessionale, interposta.
L’ispirazione e la creatività di Mucha trovano la propria sorgente ed il proprio alimento nella figura femminile. Sempre giovane, seduttrice, vivace, gioiosa e sexy, inesorabilmente e senza ambiguità, è perfettamente rappresentata dal manifesto scelto per l’esposizione; dettaglio dell’estate che faceva parte di un “ciclo delle quattro stagioni”, tema estremamente in voga soprattutto nel mondo della pubblicità di quell’epoca ed affrontato da una moltitudine di artisti nessuno dei quali raggiunse, peraltro, la compiutezza del pittore di Ivancice in Moravia.
Per ritornare a Temexpo essa si è aperta con i sobri discorsi d’apertura fatti dalla presidentessa dell’OTEI Simóka Kálmánné, direttrice generale (vezérigazgató) del grande cimitero di Budapest, nonchè dal vice-presidente Béla Puskás che porta lo stesso cognome del famoso Ferenc, numero 10 e capitano (oltre che, da militare, della “Honved”, l’esercito ungherese, e della squadra di calcio dallo stesso nome) della meravigliosa Grande Ungheria che nel 1954 perse la finale della coppa del mondo svizzera (che allora era la Rimet, finita definitivamente in Brasile dopo il terzo successo dei cariocas). Si trattò del primo grande spettacolo sportivo trasmesso, in bianco e nero, da una televisione appena nata in Italia. Vi assistemmo, da adolescenti, e ne conserviamo un ricordo estremamente vivido. Ancor oggi ci rimane intatta la nostalgia del gioco magico, elaborato e tecnicamente raffinatissimo che Puskás e compagni (Grosics, Czibor, Bozsik, Kocsis, Hidegkuti, …) ci fecero godere lasciandoci, 55 anni dopo, l’amaro in bocca per una sconfitta, che pareva impossibile alla fine del primo tempo, ad opera di una Germania sulla quale continua ad aleggiare il sospetto di un “aiuto” che spiegherebbe l’incredibile condizione atletica degli uomini del capitano Fritz Walter nella parte finale dell’incontro e che troverebbe riscontro nello stato di salute successivo di quasi tutti i giocatori, molti dei quali prematuramente scomparsi. Oggi lo stadio di Budapest porta il nome di Ferenc Puskás avendo fortunatamente abbandonato quello non eccessivamente originale di Népstadion (Stadio del Popolo) dell’epoca comunista.
La cerimonia di apertura di Temexpo è stata rallegrata dalla presenza di due giovani ed avvenenti cantanti che ci hanno proposto, fasciate in attillatissimi drappi che ne mettevano in evidenza i vantaggiosi attributi, musiche tradizionali che pur essendo, verosimilmente, di tenore funereo suscitavano nondimeno l’ammirato compiacimento degli spettatori ed in particolare di quelli di sesso maschile. Del resto, mentre esse transitavano per il corridoio centrale dirigendosi verso il luogo della cerimonia, un unanime brusìo di commenti, più o meno onesti e spesso francamente salaci, accompagnava il loro lento e maestoso incedere. In quel momento nessuno immaginava si trattasse di cantanti!
Per quanto riguarda le aziende ed i prodotti esposti i quattro grossi attori ungheresi erano in prima linea: Karsol, Keletfa, Komfen e Mantex. Abbiamo così rivisto con piacere Kàroly Balogh (Karsol) e Andràs Komàromi (Komfen). Entrambi molto occupati con gli abbastanza numerosi visitatori del primo giorno (l’esposizione era prevista su due giorni, il che ci sembra pochino visto che la seconda metà del giorno finale vedeva deambulare solo i responsabili degli stand), ma sempre disponibili a rifornire clienti e colleghi espositori con ogni sorta di cibo tipico e di beveraggi, soft e no, appropriati. In ciò l’esempio italiano sembra avere fatto scuola.
Una parte preponderante della rassegna era riservata alle urne. In effetti la cremazione va per la maggiore in Ungheria e per i costruttori di cofani le cose non sono facili, anche perché molto spesso i corpi da incenerire vengono semplicemente posti, prima di essere cremati, in contenitori di agglomerato. Nonostante tutto abbiamo visto cofani funebri di eccellente fattura sia locale che estera. Tra questi ultimi quelli della Ferrari, rappresentata da Franco Ferrari e dall’onnipresente Daniele Mazzolini. Tra gli altri italiani in fiera abbiamo ammirato lo stand, ampio e sobrio, della Spaf di Bartolomeo Sandrone e, presso i rispettivi distributori, le urne cinerarie di Valbrenta New Design, gli articoli di Tecnica Press (con Paolo Moretti fisicamente presente) e quelli del Gruppo Urciuoli (attraverso il centro servizi che opera a Budapest) che proponeva, oltre al resto, anche un veicolo funerario.
Tra gli altri stranieri rilevante la presenza del tedesco Pludra che in Ungheria è molto ben impiantato con una filiale. Christian Pludra era alla testa delle proprie truppe. Lo rivedremo assieme al padre ad inizio settembre in quel di Celle, non lontano da Hannover, dove si celebrerà la “due giorni a porte aperte” dell’azienda (pratica molto diffusa in Germania, soprattutto presso i grandi gruppi) che promette festeggiamenti allietati da quantità considerevoli dell’eccellente birra tedesca.
Come vicini dello stand Tanexpo avevamo gli amici Marcin Musiał e Marcin Paszkowski, rispettivamente manager e vice-manager di Necroexpo, l’esposizione funeraria di Kielce in Polonia alla quale Tanexpo parteciperà dal 19 al 21 giugno.
Tra i visitatori nostrani abbiamo incontrato i titolari della GFM Imbottiture Gianfranco Merlotto e Gian Franco Viarengo. Essi ci hanno fatto notare come alcuni produttori locali, ispirandosi al loro catalogo, erano riusciti, pur usando tessuti di qualità inferiore e non proponendo identica eleganza dei dettagli, a proporre articoli assolutamente corretti e di gran lunga superiori a quanto si faceva in precedenza. Man mano che il tempo passa le cose migliorano. Anni luce sembrano essere trascorsi dalle prime esposizioni pannoniche in un paese che, da poco uscito da quarant’anni e più di tristezza e di grigiore generalizzati, trasferiva tali caratteristiche anche nella produzione funeraria. Oggi, malgrado la crisi, l’atmosfera è diversa. I ventenni sanno del comunismo quanto possono aver letto o sentito (un po’ come da noi per quelli dai settanta in giù per quanto rigurda il ventennio) e vivono in un mondo che è del tutto sovrapponibile a quello dei loro coetanei dei paesi occidentali. Forse, anzi certamente, sono meno sguaiati e pecorecci di tanti giovani che incrociamo quando passiamo in Italia, paese, ci dispiace dirlo, dove la cafonaggine regna ormai quasi sovrana: dalle file per qualsiasi occasione al modo di condurre le automobili e via di seguito. Fortunatamente anche da noi ci sono ragazze e ragazzi ben educati che si alzano sui mezzi di trasporto pubblici quando vedono una persona anziana o una donna (anche se non incinta, ma a maggior ragione quando lo sia). Non sono, tutti potranno constatarlo, la maggioranza (che rimane stravaccata ed amorfa semi intontita dai suoni infernali che annunciano una vicinissima, ormai, età dell’oro per gli otorinolaringoiatri chiamati ad occuparsi di sordità premature), ma le rare eccezioni ci spingono, “spes ultima dea”, a sperare, contro ogni ragionevolezza, che le cose cambino un giorno o l’altro. Meglio prima che dopo. Anche se non ci crediamo molto, visto lo scarso interesse di molti genitori per l’educazione della propria prole e lo scarso impatto degli insegnanti, molti dei quali si sono definitivamente discreditati occupandosi più di politica che di insegnamento e ricevendo di ritorno gli sbeffeggiamenti degli alunni quando non siano “mazzate” belle e buone.
Archiviamo dunque Budapest con negli occhi il magico spettacolo della capitale danubiana quando la luce del tramonto colpisce, da ovest al tramonto, la bianca facciata del Parlamento adagiato sulle sponde del grande fiume. Con la sensazione di pace e di serenità che invadono il lettore, del libro o del giornale (possibilmente non “People”) poco importa, nella penombra felpata e civile del caffé Lukàcs sulla Andrassy o di Gerbeaud sulla piazza Vörösmarty. Con la visione ed i profumi delle scalinate romantiche ed odorose che a Buda, dall’altra parte del Danubio, salgono verso la Cattedrale di Santo Stefano, patrono d’Ungheria. Soprattutto in questa stagione quando i fiori letteralmente “esplodono” ed i sentori che se ne sprigionano ci riempiono di gioia per la vita che rinasce nel suo ciclo di perpetuo rinnovarsi e di rassegnata tristezza al riflettere su di un futuro ogni giorno più breve. Per quanto tempo ancora potremo ripercorrere quelle stradine, la mano nella mano di una donna amata (alla faccia dei signori dei Bagni Kiraly!), ed arrivati in cima appoggiarci, stanchi e “guancia a guancia”, al fusto di un lampione per fissare nelle prime ombre della sera lo scorrere maestoso ed eterno del fiume che, metafora della vita, si dirige lentamente ma sicuramente verso la fine del suo percorso?
Egészségedre Budapest és a viszontlátásra”! Alla salute Budapest e arrivederci!
 
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