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Necropolis, Mosca 19-21 ottobre 2016

La Russia ha scelto la modernità

La Russia di qualche anno fa

L’inverno russo, lungo e rigido, è alle porte.  Ne abbiamo avuto le prime avvisaglie i giorni scorsi a Mosca. Non s’è  visto un solo raggio di sole. Anzi, qualche fiocco di neve ci ha accompagnati sulla via dell’aeroporto. La capitale, smisurata, del più grande Paese al mondo, è sempre più caotica al punto di farci rimpiangere i tempi non molto lontani - una quindicina di anni al massimo - in cui le strade erano semi deserte ed in mancanza di taxi ci si metteva ai loro lati praticando un improvvisato autostop a pagamento, antesignano dell’odierno BlaBlaCar e altri servizi similari di car sharing. Non occorreva attendere molto perché qualcuno si fermasse e per qualche dollaro ci portasse a destinazione facendo una deviazione sul suo percorso verso il luogo di lavoro dove l’andazzo, per ciò che riguardava la presenza sul posto, era simile a quello di tanti uffici pubblici del Bel Paese,  anche se non c’è mai capitato, nemmeno nel paradiso del socialismo, di incontrare qualcuno che timbrasse il cartellino in mutande, come qualche anno dopo sarebbe accaduto sul suolo italico.
Frequentiamo la Russia, da più di trent’anni. Allora essa era l’Unione Sovietica ed il grigiore era perenne. Come quello dei negozi polverosi e semivuoti  a parte i “Gastronom” forniti di ogni ben di Dio (il numero uno era sicuramente il famoso e spettacolare  Ielisieevsky sulla Tvierskàya) ma accessibili unicamente  ai gerarchi del regime che, soli, potevano legalmente disporre dell’unica valuta accettata per i pagamenti: il dollaro. Situazione invero stupefacente  in un Paese dove l’uguaglianza era decantata da mane a sera e dove il sacro dogma del “a ciascuno secondo i suoi bisogni” faceva ufficio di verità rivelata. Peccato che i bisogni dei “papaveri” (caviale, profumi, gioielli, suppellettili di lusso, abiti griffati...) non fossero gli stessi di coloro - spesso delle vecchiette - che all’ingresso, decrepito e sinistro, delle stazioni o degli aeroporti vendevano, per qualche copeco, chi un mezzo salame semirancido appeso ad un filo, chi una tazza per il tè fissurata, chi un mazzetto di prezzemolo appassito, chi una (dicasi una!) forchetta orfana di un rebbio, o chi, per i più danarosi, un poco invitante e gialliccio cadavere di pollo.
Tutto ciò l’abbiamo visto con i nostri occhi e per maggior sicurezza l’abbiamo fatto vedere anche all’occhio, obiettivo di fatto e di testimonianza, della nostra macchina fotografica che, all’epoca in cui Photoshop era ancor lontano, ha immortalato un mondo di cui, pare, alcuni buontemponi hanno ancora la nostalgia. Forse perché non l’hanno mai gustato!  Chi, come noi, “osava” parlarne veniva tacciato, nella migliore delle ipotesi, di “controrivoluzionario”, nella peggiore da “nazifascista”. Nientepopodimenoche! Se proprio ci tengono, costoro potrebbero forse  stabilirsi nella Corea del Nord salvo che andandoci con le loro costose automobili correrebbero il rischio di ritrovarsi di fronte al plotone d’esecuzione. Meglio, in effetti, rimanere a trastullarsi, tra un Daiquiri ed un Manhattan e un Cohiba in bocca, sulle terrazze di Trastevere a rifare, in una struggente serata romana propizia a successivi e più prosaici svaghi, il mondo a parole. Ben lontani dagli operai del Giambellino il cui puzzo di sudore proletario potrebbe offendere le vezzose narici delle gentildonne accostumate a ben più fascinose e seducenti - oltre che, va da sé, costose - fragranze. Così va il mondo e con esso la stupidità umana, quando non sconfina nella malafede, che lo caratterizza.

La Russia di oggi

Oggi gli aeroporti moscoviti sono modernissimi ed efficaci. Gli annunci vengono fatti lentamente e l’audio è eccellente. Tutti, anche i più duri d’orecchio, possono comprendere ciò che viene detto come non succede da noi dove,  spesso, non si riesce a capire un ca..volo, per il gracchiare di audio indegni e per lo squallore comunicativo degli annunciatori/annunciatrici che sembra facciano a gara per sfornare il più velocemente possibile i loro incomprensibili messaggi.
Oggi, sulla Tvierskàya, Ielisieevsky continua ad offrire (a tutti!) le sue prelibatezze cibarie e bibitorie solo che all’uscita ci si ritrova abbagliati dalle luci multicolori delle insegne e dai riflessi milionari delle pietre preziose bene in vista nelle opulente vetrine dei vari gioiellieri (gli stessi della Place Vendôme a Parigi) nonché dai potenti fari di rutilanti Cayenne, Ferrari, Maybach e persino Bugatti Veyron (1.500.000 euro!) in attesa che l’erede di quest’ultima, la Chiron, presentata recentemente a Ginevra (prezzo: “a partire da”..... 2,5 milioni !!), la rimpiazzi.

Lo stesso accade nel funerario. Sono infatti totalmente scomparsi i prodotti orribili del secolo scorso (quello del socialismo trionfante tappa “intermedia”, lo ricordiamo, sul percorso verso la realizzazione del comunismo), che probabilmente ancora sopravvivono nei villaggi diseredati e poveri che tuttora esistono in Russia, caratterizzati da cofani costruiti assemblando sommariamente tavole di legno di spessore e consistenza simili a quelle delle cassette d’arance. Sul fondo delle bare gli spazi tra i listelli erano “a giorno” e non osiamo pensare a ciò che da essi poteva uscire per finire sui poveri portatori! I feretri venivano poi ricoperti di una carta crespa dozzinale dai colori più improbabili (ciclamino, violetto, rosso carico per i fanatici del partito..) che sicuramente non contribuiva ad alleviare il dolore per la perdita del caro estinto ma anzi tendeva ad enfatizzarlo con la tragica teatralità di una messa in scena supposta per conferire lustro e dignità al frangente grazie ad espedienti coreografici da balera d’angiporto, o da sezione di partito, il che è quasi lo stesso. Per non parlare dei veicoli funebri che però erano, e spesso ancora sono, tributari di una rete viaria scadente di per se stessa e resa ancor peggiore da un clima impietoso: neve, tanta (!), ed al suo scioglimento fango ed acquitrini (con zanzare feroci ed imperversanti per tutti i mesi estivi) che rendevano la circolazione quantomeno poco agevole.
In pochi anni, grazie all’azione condotta da Serguey Yakushin e dal suo team, il cambiamento è stato stupefacente. Necropolis, la fiera annuale che da tre anni si fregia del marchio prestigioso  di Tanexpo World Russia, è il termometro di tale mutazione e rappresenta un momento privilegiato per constatare i progressi continui fatti, tanto sul piano del design che su quello della qualità, dai produttori russi. Intendiamo parlare soprattutto di cofani ed urne ma anche i prodotti più peculiari delle tradizioni funerarie locali hanno poco da spartire con quanto si poteva vedere solo poco tempo fa. Siamo convinti che alcuni di essi possano trovare sbocchi anche sui nostri mercati tanto più che la svalutazione del rublo ne dimezza il costo.
In tal senso sta prendendo corpo, nell’ambito del partenariato tra Necropolis e Tanexpo, il progetto di creare a Bologna nel 2018 un’isola  che proponga l’eccellenza della produzione russa.
Si tratta di un altro passo avanti in direzione di quella “universalità” che è da sempre uno dei tratti qualificanti di Tanexpo.Miami Funer ne è l’epigono e l’indiscutibile successo che ha riscosso anche a Mosca (numerosi visitatori russi sono previsti in Florida dal 14 al 17 Marzo 2017) conferma la fondatezza e l’attualità di tale approccio.
 
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