Rotastyle

Tra immigrazione e integrazione

La prima agenzia funebre islamica

La dinamica migratoria porta con sé la trasformazione non solo delle abitudini e delle tradizioni quotidiane, ma anche di quei rituali che segnano particolari momenti della vita umana quali la morte. La ritualità funebre praticata da un immigrato nella società di accoglienza può subire profondi cambiamenti rispetto alla tradizione di appartenenza; spesso, al contrario, può generare forme ibride e nuove, che si pongono come il risultato dell’incontro tra sistemi culturali differenti. Ciò dipende anche dalla scelta della comunità o dell’individuo immigrato se far rimpatriare il corpo del defunto, perché riceva il rito tradizionale nel Paese d’origine, o se compiere le pratiche rituali scegliendo di seppellire il corpo nel Paese di immigrazione.
Nella religione islamica, il concetto della morte è legato all’idea del peccato e all’attesa di una resurrezione dell’anima dal corpo, come descrivono numerose sure del Corano. L’origine della morte, infatti, viene fatta risalire al peccato di Adamo ed Eva, che cedettero al “sussurro” di Šaytan o Iblis pur non venendo condannati immediatamente alla punizione eterna; fu concesso loro un periodo, della durata di questa vita, per tornare al dikr (ricordo di Dio). Il concetto della inevitabilità della morte e l’annuncio del giorno della resurrezione è già presente nella descrizione della creazione: «In verità creammo l’uomo da un estratto di argilla. Poi ne facemmo una goccia di sperma [posta] in un sicuro ricettacolo, poi di questa goccia facemmo un’aderenza e dell’aderenza l’embrione [...] E dopo di ciò certamente morirete, e nel Giorno del Giudizio sarete risuscitati» (Corano, 23, 12-16).
La morte rappresenta il termine finale di un periodo di prova nel quale gli uomini sono liberi di condurre la propria vita lungo lo sirat al-mustaqim, la retta via che conduce a Dio; non si tratta di una punizione, ma della fine di un periodo piuttosto lungo che termina con la resurrezione e con il giudizio finale. La punizione si presenta oltre la tomba e dopo il Giudizio. Vi è la credenza che, dopo la sepoltura, al defunto vengano a far visita due angeli, Munkar e Nakir, i quali lo fanno sedere sulla tomba e gli pongono domande sulla fede. Se il defunto risponde correttamente, verrà lasciato nell’attesa della resurrezione dei morti e del giudizio, se invece risponde in modo errato, i due angeli lo puniranno «con un castigo umiliante per aver mentito contro Allah [...]» (Corano, 6, 93).
La prassi del rituale e della sepoltura del defunto è descritta in una particolare sezione della dottrina detta fiqh, ovvero la giurisprudenza religiosa, che contiene prescrizioni elaborate da alcuni esperti di diritto islamico, chiamati fuqaha’, che si basano su quanto riportato dal Corano e dagli Hadith (detti e fatti del Profeta Mohamed).
Il funerale è chiamato ginaza, che significa “bara” o “cadavere su la bara”. L’Islam conferisce molta importanza al corpo e a ciò che esso rappresenta. Il cadavere, prima della sepoltura, è deposto su una apposita barella, una tavola forata tale che il corpo non galleggi durante il rito del ghusl, ovvero il lavaggio della salma; il corpo nudo o spogliato parzialmente deve essere lavato da persone dello stesso sesso oppure da un coniuge, a meno che non si tratti di un bambino, che può essere toccato da chiunque poiché si crede che sarà comunque destinato al Paradiso.
Al morente vengono chiusi la bocca e gli occhi; il corpo deve essere coperto dall’ombelico fino a sotto il ginocchio, ovvero nelle parti intime (aaoura) che non devono essere viste da alcuno in vita, tranne che dai coniugi e dalle persone dello stesso sesso, necessariamente musulmane. Su tutto il corpo viene poi versata acqua tiepida; il lavaggio rituale, chiamato wudu’, può avvenire tramite una abluzione maggiore, solitamente compiuta dopo atti ritenuti impuri quali, ad esempio, i rapporti sessuali, e una abluzione minore, che i musulmani devono compiere prima di ogni preghiera. Al termine del lavaggio il corpo è avvolto in un sudario detto kafn, costituito da un numero dispari di pezze, di circa due metri di lunghezza e un metro e mezzo di larghezza, di colore bianco e disposte in modo decrescente.
Per il trasporto al cimitero la salma viene posta su una lettiga o su una barella e viene sostenuta da uomini, se il defunto è un maschio, o da donne, se femmina. Durante il trasporto, il feretro è seguito da un corteo funebre che recita preghiere con la guida di un imam. Alle donne, però, è vietata la partecipazione al funerale per evitare forme di lamentazione rituale e espressioni troppe eccessive di dolore. Il cadavere è deposto nella terra senza alcuna cassa mortuaria; la fossa è ricoperta con pietre e con mattoni per evitare che il morto sia oppresso dal peso della terra. Dopo la sepoltura, i parenti si mettono in fila per ricevere le condoglianze che solitamente proseguono per tre giorni.
Benché ciò corrisponda a quanto la legge islamica prescrive, tuttavia la tradizione popolare presenta spesso elementi differenti, per cui i simboli religiosi, le istituzioni, i rituali sono re-interpretati per essere adattati all’interno dei contesti sociali in cui gli attori si collocano con la propria cultura.
Nella ritualità funebre marocchina, ad esempio, dopo la preparazione del corpo e la sua sepoltura, la comunità va a far visita alla famiglia del defunto: si tratta di un rituale che prevede tre giorni di visite e di incontri tra i luttuanti e la comunità. I vicini della famiglia in lutto organizzano una cerimonia che prevede che i familiari del defunto ricevano amici e parenti all’interno di un tendone in cui è servito cibo (generalmente cuscus e pollo) preparato dalle donne del vicinato, mentre gli uomini raccolgono soldi (dati in offerta alla famiglia). Durante questi tre giorni, i familiari del defunto non possono cucinare in casa.
Le offerte di cibo e le preghiere durante la veglia funebre (‘asha’ el mait) hanno la funzione non solo di accrescere il “merito spirituale” del defunto (ajir) affinché possa entrare in paradiso, ma anche quella di rafforzare il legame di solidarietà e il senso di appartenenza comunitaria. La Cena del Morto diventa l’occasione per ricostruire quei legami messi in crisi dalla morte: infatti, si tratta di una vera e propria festa, occasione di incontro tra le persone che vivono tra loro distanti. Le visite sono rivolte in particolare alle donne della famiglia, alle quali è abitudine portare in dono confezioni di zucchero, simbolo di dolcezza e di conforto per la perdita subita. Le donne, inoltre, dopo la morte del marito, devono indossare un abito bianco; per quattro mesi e dieci giorni non possono truccarsi, portare gioielli, guardare la televisione né celebrare matrimoni. Al termine di questo periodo la donna può mettere l’henné, a lei consegnata dalle donne del vicinato: l’atto di tingersene un dito sancisce simbolicamente la fine del lutto.
In questa occasione è la famiglia del defunto ad offrire il cibo a parenti ed amici. La visita al cimitero (ziara) riguarda soprattutto le donne della famiglia, accompagnate da amiche, ma anche da soggetti maschili. Al cimitero le donne iniziano il momento delle offerte in onore del defunto (sadaqa), con la distribuzione di pane e fichi, a volte denaro ai mendicanti lì presenti ma anche offerte ai fuqah, affinché recitino preghiere per il defunto. Terminata la sadaqa, la maggior parte delle donne fa ritorno a casa, mentre alcune si trattengono nel cimitero condividendo tra loro pane, fichi e tè: si tratta della tradizione della “colazione del morto”. Le visite sono poi ripetute ogni venerdì, in occasione della festa della Ashura, e il ventisettesimo giorno del Ramadan.
La tradizione islamica ufficiale, dopo il lavaggio e la sepoltura del cadavere, non prevede lo svolgimento di tali pratiche, ma vieta banchetti e riunioni con offerte di cibo dopo la morte, perché si ritiene che il defunto non porti nulla con sé e non percepisca alcun atto compiuto dalle persone in vita. Queste pratiche rappresentano, invece, nelle diverse tradizioni popolari, una elaborazione dei precetti stabiliti dall’Islam, nel rispetto dei valori condivisi dalla comunità di appartenenza con l’obiettivo di esprimere i legami sociali presenti all’interno. Ciò è ancora più vero e presente nel caso di una comunità immigrata che si trova a gestire, a interpretare e a vivere la morte nel Paese di approdo. È quanto sembra accadere, ad esempio, tra gli immigrati marocchini a Torino. La celebrazione del rituale funebre, nel rispetto delle norme islamiche e delle performance tradizionali, diventa una occasione per riattivare e per rinsaldare i sentimenti di appartenenza soprattutto in un contesto di ibridazione culturale e identitaria. L’intera comunità partecipa in qualche modo al lutto, offrendo a chi ha subito la perdita un aiuto non solo morale, ma anche pratico ed economico.
Il rito è svolto secondo i dettami previsti dalla religione: il lavaggio rituale della salma, il ghusl, è compiuto da un membro della famiglia o da persone esperte che non fanno parte del gruppo familiare. Successivamente vengono recitate alcune preghiere intorno al defunto e vengono svolti i rituali prescritti dalla tradizione, con alcune differenze che dipendono dalla scelta della famiglia se seppellire il corpo a Torino o farlo rimpatriare. In entrambi i casi, tuttavia, la comunità rivolge il suo ultimo saluto nel paese in cui è avvenuto il decesso, recitando preghiere con la guida di un imam. Molte pratiche previste dalla tradizione popolare vengono svolte con difficoltà nel luogo di immigrazione, a causa della mancanza dei mezzi e delle condizioni necessarie che possano permettere l’adempimento dei riti consuetudinari. La Cena del Morto, ad esempio, dovrebbe essere compiuta lo stesso giorno della sepoltura, ma, se la salma è rimpatriata, viene svolta il giorno stesso della partenza, sebbene si pensi che non abbia lo stesso significato di quella compiuta nel proprio Paese.
Nel Paese di immigrazione le imprese di onoranze funebri svolgono la funzione di intermediari nella gestione della morte e di organizzazione della ritualità, soprattutto quando si tratta di una persona immigrata che non conosce la normale prassi vigente o che richiede se si possano riproporre i riti della cultura d’origine, pur in un contesto sociale differente. Ciò avviene, in maniera più evidente, qualora si tratti di un defunto di religione islamica, che richiede l’adempimento di un rituale nel rispetto della tradizione di cui è foriero. Per questo motivo alcune agenzie funebri, soprattutto nei primi anni in cui si sono registrate numerose presenze di immigrati provenienti dal nord Africa, si sono dimostrate impreparate di fronte alla morte di persone di religione (e quindi di ritualità) non cristiana, tanto da richiedere spesso l’aiuto e l’appoggio di immigrati presenti sul territorio da più tempo e impiegati nei servizi di assistenza sociale. L’esigenza di gestire la morte secondo i dettami e le prescrizioni della religione islamica ha contribuito alla formazione di persone specializzate nel lavaggio, nell’organizzazione e nella esecuzione del rituale tradizionale, riproposto anche nel Paese d’immigrazione. Da queste specializzazioni, nel 2007 a Torino, è nata “Luna”, la prima agenzia funebre rivolta ai soli musulmani, unico caso in tutta Italia al punto che, oggi, soddisfa le richieste anche di altre regioni fuori dal territorio piemontese. Essa nasce, inoltre, come risposta alle richieste di immigrati provenienti soprattutto dal Maghreb, di religione musulmana, stabilmente presenti sul territorio piemontese, nel caso specifico, e sempre più crescente anche in altre regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto). Inizialmente l’agenzia era situata in via Genova, ma successivamente è stata trasferita in via Chivasso, perché quest’area è caratterizzata da una alta concentrazione di immigrati musulmani che gestiscono anche la moschea, numerose associazioni e attività commerciali.
La posizione del locale assolve un ruolo particolarmente importante, non solo per le motivazioni connesse alla maggiore visibilità, ma anche per le peculiari caratteristiche “pubblicitarie” del servizio: infatti, le informazioni concernenti l’agenzia si basano principalmente sul passaparola tra gli immigrati di religione musulmana che si incontrano nei luoghi di maggior ritrovo presenti nel quartiere (moschee, macellerie, gastronomie snack). L’agenzia svolge solo riti musulmani e per tale motivo gli addetti che vi lavorano conoscono le procedure e le pratiche rituali dimostrandosi, quindi, in grado di rispondere alle esigenze della popolazione cui è dedicata. L’impresa propone molteplici e differenti servizi come l’organizzazione delle esequie, la richiesta dei documenti necessari per la sepoltura o per il rimpatrio della salma; inoltre si preoccupa di contattare le persone specializzate nel lavacro, mettendo a disposizione gli accessori necessari, secondo quanto è prescritto dal rituale funebre islamico.
I costi del funerale sono diversi, poiché variano in base al servizio richiesto e possono raggiungere anche cifre molto elevate. La maggior parte della clientela richiede il rimpatrio della salma per motivi culturali e religiosi: il paese d’origine resta il punto di riferimento identitario e affettivo per i migranti, il luogo dove sono deposte le memorie, dove si trovano ancora i legami sociali e familiari, poiché la presenza in Italia viene considerata come passeggera e temporanea, nella vita come nella morte. Il rinvio delle spoglie, per l’immigrato, rappresenta un ritorno alla terra d’origine e alla cultura di appartenenza. Per questo motivo il costo di un rituale funebre tende ad aumentare, dato che, oltre alla spesa dell’agenzia e dei documenti necessari, si aggiunge il prezzo del biglietto aereo per il trasporto (circa 1.200 euro) e quello di altra documentazione necessaria per l’espatrio della salma.
I prezzi variano, inoltre, in base al peso e alle caratteristiche del cofano funebre. Le richieste possono essere molto differenti: le bare, ad esempio, non previste dal rituale islamico ma obbligatorie per il rimpatrio nella maggior parte dei Paesi oggi mèta dei flussi migratori, non hanno la forma a croce, ma sono generalmente rettangolari; esse non presentano, inoltre, l’imbottitura interna perché il corpo viene avvolto in un lenzuolo sul quale sono incisi, sovente, versetti tratti dal Corano che si riferiscono alla morte o alla vita post mortem. L’agenzia, quindi, per contenere soprattutto i costi di trasporto, ha stipulato convezioni con compagnie aeree e con agenzie assicurative straniere, alle quali gli immigrati si rivolgono per stipulare polizze in caso di morte, e con imprese funerarie per la costruzione di bare attentamente progettate secondi i dettami della legge islamica. Per coloro che hanno stipulato un’assicurazione sulla vita, normalmente è la Banca o l’agenzia assicurativa a prendersi carico della organizzazione e della attuazione del rituale, mentre per coloro che hanno un regolare permesso di soggiorno e un contratto lavorativo è l’Inps a pagare le spese del funerale e del rimpatrio.
L’impresa si preoccupa di tutti i documenti necessari per la sepoltura o per il rimpatrio che dovranno essere presentati al servizio cimiteriale del consolato. Per prima cosa è necessaria la denuncia di morte: se il decesso avviene in ospedale, la struttura sanitaria si occupa di darne notizia; se, invece, avviene nell’abitazione, l’agenzia di pompe funebri chiama il medico legale per accertare l’avvenuto decesso e la causa della morte, da segnalarsi sul documento Istat. In caso di trasporto internazionale viene praticata una puntura conservativa sul cadavere e il corpo viene deposto in una bara sigillata ermeticamente, per questioni di igiene. L’autorità giudiziaria, inoltre, fornisce una relazione dettagliata sul decesso. Se il defunto non ha documenti, non è regolarmente residente o non si è certi della sua identità, si richiedono le impronte digitali per l’identificazione; i documenti e il passaporto vengono annullati.
Per i defunti di nazionalità marocchina (che rappresentano i maggiori clienti dell’agenzia, dato l’alto numero di immigrati marocchini presenti sul territorio piemontese e la stabilità attualmente raggiunta da questa comunità), il consolato deve inoltrare una richiesta al Ministero degli Affari Esteri del Marocco, dove sono indicate le generalità, il luogo del decesso, la causa e il luogo di inumazione; da lì è possibile, in seguito, avvertire i familiari. Il Ministero invia al consolato un codice che deve essere inserito nel lasciapassare mortuario per provvedere al trasporto della salma. In seguito all’agenzia vengono rilasciati alcuni documenti: il passaporto di morte; la richiesta di lasciapassare che dichiara che la morte non è avvenuta per malattia contagiosa (in caso contrario è necessaria una prescrizione dell’Usl in cui viene specificato che la morte è avvenuta per malattia contagiosa e che la cassa non può essere aperta per alcun motivo); un documento in lingua francese indispensabile per la dogana marocchina e, infine, il lasciapassare del consolato in lingua italiana. Tutti questi documenti devono essere firmati dal vice console e dati all’agenzia di pompe funebri che li consegna in Prefettura per legalizzare la firma, per poi procedere al trasporto della cassa (ciò è richiesto perché il Marocco non aderisce alla Convenzione di Berlino del 10 febbraio 1937 e alla Dichiarazione della XVII Conferenza dell’Organizzazione Panamericana della Sanità del 5-13 dicembre del 1965, le quali stabiliscono i documenti necessari per il trasporto di una salma che deve avvenire tramite una bara chiusa ermeticamente).
Quando il feretro arriva in Marocco, sono necessari il visto della dogana e della polizia di frontiera: inoltre, deve essere comunicato l’orario di arrivo dell’aereo per far trovare l’ambulanza che si occupa del trasporto della salma fino al cimitero, nel luogo di sepoltura indicato nel lasciapassare. Per la spedizione, la bara viene messa dentro un “sacco aereo”, un rivestimento esterno usato durante il trasporto per proteggerla e che presenta al di sopra una tasca dove viene inserita tutta la documentazione del defunto. Nel caso in cui il defunto venga sepolto nel cimitero di Torino, l’agenzia deve richiedere la stessa documentazione, l’autorizzazione al Comune, eccetto il passaporto mortuario e il lasciapassare del consolato.
Il Comune ha riservato un’aerea per i defunti di religione islamica nel “Cimitero Parco” di Torino Beinasco: il costo della sepoltura è uguale per tutti i defunti di religione islamica che intendono essere sepolti in questo spazio: nello specifico, per adulti o bambini, si aggira intorno ai 1.200 euro, mentre per i soli bambini il costo può ridursi a 800 euro.
La nascita di questa agenzia funebre, oltre a rappresentare per l’intero sistema islamico una vera e propria innovazione, può essere considerata una delle prime forme di adattamento messe in atto dagli immigrati nel rispetto delle proprie identità e tradizioni culturali. Il fenomeno, recentissimo nel nostro Paese, ha comportato per la comunità musulmana un cambiamento nella percezione e nel codice culturale della morte: l’intermediazione delle imprese funebri, come altri fattori mutuati da differenti credi religiosi (quali l’uso della bara), è un elemento totalmente sconosciuto alla tradizione musulmana e rappresenta dunque, il risultato del processo di adattamento messo in atto nel paese d’arrivo e il graduale passaggio da una immigrazione temporanea e irregolare ad una immigrazione di popolamento nel paese di accoglienza.
Questo processo di adattamento emerge, in modo particolare, all’interno dell’apparato rituale che ruota intorno tanto alla morte quanto alla vita dell’individuo migrante, indotto a “rifunzionalizzare” le pratiche tradizionali in base al contesto in cui si trova a vivere. La Cena del Morto e le visite ai familiari in lutto, ad esempio, subiscono una profonda dilatazione nei tempi e perdono il significato simbolico e culturale originario, con una maggiore privatizzazione del dolore all’interno del ristretto gruppo familiare e amicale presente nel paese di arrivo. Il cambiamento e l’introduzione di nuovi elementi sono vissuti come un segnale della progressiva perdita di appartenenza ad una determinata cultura, sebbene la comunità migrante continui a trasmettere le conoscenza religiose e la prassi del rituale secondo i dettami originari. In tal modo si viene a creare una sorta di sincretismo culturale che diventa espressione di una convivenza e di un incontro tra culture differenti tanto nelle pratiche quotidiane quanto nel pensare e nel vivere la morte.
 
Annamaria Fantauzzi & Laura Oliva


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