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Passover

"Questa è la crisi che doveva arrivare
A distruggere l'equilibrio
Che avevo conservato
Dubitando e decidendo e cambiando idea
Chiedendomi cosa accadrà poi".

Ian Curtis

Quel giorno aveva visto in tv La Ballata di Stroszek di Werner Herzog; sul piatto del giradischi The Idiot di Iggy Pop. Al centro della stanza, invece, la sua ombra rintoccava un tempo divenuto infinito. Era il 1980. Ian Curtis, il leader dei leggendari Joy Division, si tolse la vita impiccandosi.
La notizia non circolò subito: a quei tempi non esistevano i telefonini e internet era pura fantascienza; qualcuno intercettò la notizia al John Peel Show, ma nessuna conferma ufficiale. In quei giorni in Inghilterra imperversava uno sciopero dei poligrafici e i giornali non uscivano oramai da diverse settimane. Ad un tratto quella voce timidamente prese corpo, il silenzio si fece presto rumore, un tam tam inesorabile come un fulmine a ciel sereno nella mente e nel cuore di chi non aveva neppure avuto il tempo di imparare a memoria le poche canzoni scritte da Ian Curtis.
A posteriori la lettura di quella tragedia divenne, come sempre in questi casi, chiara e inconfutabile. Le crisi epilettiche innanzitutto, oltre a minarne l'umore, diventavano sempre più frequenti. All'High Hall di Birmingham il 2 maggio l'ennesimo episodio: il cantante venne portato giù dal palco a braccia. Fu quello l'ultimo concerto. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu probabilmente la fine della storia d'amore con la moglie Deborah.
Facendo un passo indietro si scopre la normale esistenza di un ragazzo che nel 1976 insieme a tre suoi amici forma i Warsaw, trasformatisi successivamente nei Joy Division, un nome che evoca i lager nazisti. Le cronache riportano che l'ispirazione per il nuovo nome venne da un racconto pornografico intitolato "La casa delle bambole": il testo narra le vicende di alcune prigioniere che nei campi di sterminio venivano portate in stanze (joy division) e costrette a prostituirsi.
Siamo nel 1977/78, in Inghilterra: una intera generazione vomitava il proprio malessere, erano gli anni del punk, anni bui, perduti, in cui il senso dell'orientamento venne improvvisamente a mancare. Solo rabbia, tanta rabbia, dominata dalla musica di una generazione perduta.
Il primo album ufficiale, Unknown Pleasure, racconta di quella generazione: il suono grezzo e compiuto ne descrive la cupa desolazione in cui a tratti, tagliente e lancinante, compare la luce. Ma è solo un bagliore, situato negli abissi più profondi e impenetrabili dell'esistenza. La copertina, divenuta nel tempo un autentico manifesto dark, evoca e sintetizza perfettamente le linee di un album denso e colmo di funesti presagi. Così come quella di Closer, il secondo e ultimo album del gruppo, che ritrae un Cristo morto ripreso da una tomba situata nel cimitero di Staglieno a Genova.
Closer è a tutti gli effetti il testamento di Ian Curtis. "Stanchi dentro ora i nostri cuori sono persi per sempre" canta in Decades, ultima canzone del disco. Curtis si fa interprete di un dramma esistenziale in cui la speranza lascia il posto alla rassegnazione. È un ultimo grido disperato verso una realtà dalla quale il leader dei Joy Division si è inesorabilmente separato il 18 maggio 1980. Quel tragico suicidio trasformò un uomo in mito e regalò un alone di leggenda ad un gruppo che nei primissimi anni Ottanta tracciò un solco indelebile nella storia della musica.
Epitaffio sulla sua tomba il titolo dell'ultima canzone registrata: Love Will Tear Us Apart. L'amore ci strazierà.
 
Marco Pipitone

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