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Il memoriale di Buchenwald

Tra memoria e amnesia

Molti statunitensi sono venuti in contatto con l’Olocausto attraverso il turismo, per esempio in occasione di una visita alla casa di Anna Frank o recandosi al memoriale del campo di concentramento di Dachau. Tali luoghi rappresentano “istituzioni temporanee” e, contemporaneamente, “contenitori secolari”. Si tratta di paesaggi simbolici per la commemorazione delle vittime del genocidio nazista, ma allo stesso tempo questi fantasmi architettonici in stato di decadimento favoriscono anche la pubblica dimenticanza e la fuga dalle spiacevoli vicende del passato.
Esposti ai pericoli derivanti dal trascorrere del tempo o da distruzioni intenzionali, i paesaggi della maggior parte dei luoghi in cui un tempo sorgevano i campi di concentramento sono stati ridisegnati alcune volte da quando, nel 1945, gli alleati li misero in sicurezza rendendoli accessibili al pubblico. Queste trasformazioni riflettono anche le differenti fasi che in Germania e in Europa hanno segnato, nel periodo successivo alla guerra, l’evoluzione del consenso politico e sociale relativamente al passato nazista.
A distanza di sessantaquattro anni dalla fine della seconda guerra mondiale l’interpretazione storica proposta dalla totalità dei monumenti commemorativi dei campi di concentramento risulta ancora essere controversa e delicata. I fatti erano inconfutabili quando, nel 1945, i cittadini di Weimar vennero obbligati dalle truppe americane a salire al campo di Buchenwald per divenire testimoni degli immensi crimini commessi dai tedeschi e dai loro collaboratori. Tuttavia, senza il supporto di testi descrittivi relativi alle vicende storiche, questo luogo può mascherare o rivelare il passato.
Al giorno d’oggi l’area circostante il memoriale di Buchenwald comunica ancora qualcosa di queste verità svelate; tuttavia sulla collina Ettersberg, dove un tempo Goethe passeggiava molto volentieri, il paesaggio è mutato e quella potente energia che scaturiva dal sito originale si potrebbe definire compromessa. Nonostante lo Schutzhaftlager nel quale erano internati i prigionieri di Buchenwald sia inequivocabilmente riconoscibile, il visitatore ben preparato non troverà che pochi elementi che gli possano ricordare il piccolo campo. Verso la fine degli anni Cinquanta l’opera monumentale dello scultore Fritz Cremer sostituì un obelisco in legno, il primo monumento commemorativo di Buchenwald che i sopravvissuti del campo avevano eretto dieci giorni dopo la liberazione.
Poiché dal 1945 al 1950 le forze di occupazione sovietiche utilizzarono l’area dell’ex Lager come campo d’internamento (campo speciale n. 2), nel periodo successivo alla riunificazione della Germania venne realizzato un memoriale che ha ulteriormente modificato l’area. L’abbinamento di un monumento commemorativo dei collaboratori nazisti imprigionati dai Sovietici dopo la guerra al preesistente memoriale per le vittime del genocidio nazista ha inevitabilmente portato ad una alterazione e ad una politicizzazione dei parametri della memoria. Nel giugno 1991 il cancelliere Helmut Kohl sottolineò pubblicamente questo parallelismo ponendo delle corone bianche e gialle di uguale specie sulle tombe sia del campo nazista che di quello sovietico, dedicando sei grandi croci in legno alla memoria di tutte le vittime.
A Buchenwald, come in altri luoghi della Germania riunificata, la lotta per l’appropriazione della Storia ha creato una sorta di nuova gerarchia dei morti che attribuisce ai connazionali tedeschi una importanza maggiore rispetto ai caduti provenienti da altri Paesi europei al tempo occupati dalla Germania nazista.
 
Maria Angela Gelati

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