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FREDDY MERCURY

IL PRIMO MARTIRE POP DELLA PESTE DI FINE SECOLO

Vent’anni fa, il 24 novembre 1991, moriva Freddie Mercury. Una fra le più grandi leggende della musica degli ultimi cinquant’anni, una voce incredibile, capace di passare agilmente da tonalità basse ad acuti cristallini. Musicista, compositore e autentico showman: un vero artista, nel senso più pieno della parola. Alla fine degli anni ottanta, con la diminuzione delle sue apparizioni pubbliche e la sospensione dei tour dei Queen, iniziarono le voci su una possibile malattia del cantante che egli negò sino alla fine: dichiarò ufficialmente di essere risultato positivo al virus dell’Hiv fino all’Aids conclamato soltanto il giorno prima della sua morte.
Farrokh Bulsara, questo il suo vero nome, nacque a Stone Town il 5 settembre 1946 da una famiglia di etnia parsi e visse la propria infanzia sull’isola di Zanzibar, dove dimostrò subito uno spiccato talento artistico nel disegno e nella musica. A metà degli anni sessanta, a causa degli scontri legati alla rivoluzione che portò alla creazione dello stato della Tanzania, Bulsara emigrò con la famiglia in Inghilterra, precisamente a Feltham nella periferia di Londra, dove proseguì gli studi. Grazie agli ottimi voti conseguiti, riuscì ad entrare al college e a studiare arte e design grafico. Si trasferì quindi in città, nel quartiere di Kensington, dove iniziò la carriera di musicista e di cantante e dove conobbe alcuni dei futuri membri dei Queen: il chitarrista Brian May e il batterista Roger Meddows-Taylor.
Inizialmente riuscì a entrare nella band degli Ibex per la quale fu anche autore dei testi di alcune canzoni, ma non ottenne il successo sperato e ben presto il gruppo si sciolse. Dopo aver collaborato con altre band con esiti altalenanti, nel 1970 ritrovò i vecchi amici May e Taylor e insieme formarono i Queen, nome scelto su suggerimento dello stesso Mercury. Nello stesso anno Bulsara adottò il nome d’arte di Freddie Mercury e incontrò per la prima volta Mary Austin, la donna che ebbe un ruolo fondamentale nella sua vita e con la quale convisse per ben sette anni. Nel 1971 la formazione dei Queen fu completata dall’arrivo del bassista John Deacon. I concerti della band, grazie soprattutto al frontman Mercury, diventarono veri e propri spettacoli. A caratterizzarli fu soprattutto il feeling che il cantante riuscì a creare con il pubblico, interagendo con esso dal palco: i concerti venivano solitamente chiusi sulle note di God Save the Queen gettando rose dal palco e bevendo champagne. L’incremento della popolarità della band fu da sempre accompagnato dalla qualità della produzione: i primi album furono accolti positivamente dalla critica, che ne evidenziò lo stile singolare e la carica innovativa.
Intorno alla metà degli anni Settanta Mercury dichiarò pubblicamente di essere gay e interruppe la storia con Mary Austin alla quale però rimase legato per tutta la vita: fu proprio a lei che lasciò la metà del suo patrimonio, considerandola di fatto come una moglie.
La consacrazione del gruppo avvenne con la pubblicazione dell’album A Night at the Opera, di cui fa parte la magnifica Bohemian Rapsody, definita più volte dai più importanti magazine di musica una tra le più belle canzoni di tutti i tempi. Da allora fu un successo dopo l’altro: We Are the Champions e Somebody to Love a firma dello stesso Mercury, We Will Rock You, Who Wants to Live Forever e The Show Must Go On scritte da May, Radio Ga Ga e A Kind of Magic di Taylor e Another One Bites the Dust e I Want to Break Free di Deacon.
Nel 1985 i Queen parteciparono al “Live Aid”, il concerto di beneficenza organizzato da Bob Geldof in favore della popolazione dell’Etiopia colpita da una gravissima carestia. In quell’occasione, a cui parteciparono i più importanti musicisti dell’epoca, i Queen suonarono per venti minuti davanti a un pubblico di settantamila persone letteralmente entusiaste, consacrando per sempre Freddie Mercury con quella che venne considerata anche dagli artisti presenti una delle migliori interpretazioni di sempre.
Nel 1986 i Queen inaugurarono il tour Magic che li portò a suonare davanti a più di un milione di persone in tutto il mondo e che segnò la conclusione delle esibizioni dal vivo del cantante che, negli anni successivi, si dedicò ad alcuni progetti da solista quali la scrittura del musical Time di Dave Clark, la cover dei Platters The Great Pretender e Barcelona, album realizzato con Monserrat Caballé, soprano spagnola, la cui title track diventò nel 1992 l’inno ufficiale delle Olimpiadi di Barcellona. Fu probabilmente in quel periodo che Mercury ebbe la certezza di essere malato e per tale motivo decise di rinunciare alle esibizioni dal vivo. La sua ultima apparizione fu quella registrata nel video di These Are the Days of Our Lives tratto dal suo ultimo album con i Queen, Innuendo. Nel video, che venne diffuso solo dopo la sua morte, l’artista appare molto dimagrito.
Rivelò la malattia ai membri del gruppo e agli amici più cari solo nel 1989. Il suo silenzio fu rispettato fino alla fine. Solo dopo la sua morte i Queen decisero di organizzare un grande evento per ricordarlo: il “Freddie Mercury Tribute Concert“ che si tenne il 20 aprile 1992 a Londra e che vide la presenza di artisti del calibro di Metallica, Gun’s N’Roses, David Bowie, George Michael, Elton John, Annie Lennox. Circa 72mila persone parteciparono al concerto, trasmesso in televisione per oltre un miliardo di spettatori: l’attenzione del mondo fu portata sulla tragedia della sindrome da immunodeficienza acquisita e l’intero incasso dell’evento fu devoluto in beneficenza per la creazione di The Mercury Phoenix Trust, l’associazione di volontariato che da allora è impegnata nella raccolta dei fondi per la lotta all’Aids.
Vi sono persone che hanno la fortuna di avere un dono e, con esso, la forza e la passione per coltivarlo; non tutti sono capaci di credere in se stessi e di inseguire un sogno, ma Freddie Mercury è stato tra quelli che ci sono riusciti. E hanno ricevuto in cambio l’immortalità.
 
Sara Sacco


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