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LA NOSTRA LATITANZA

Il "botta e risposta" pubblicato sul n° 8 di questa rivista ha visto il sottoscritto, da una parte, e l'ing. Daniele Fogli, supportato dall'egregio studioso Sereno Scolaro, dall'altra, scontrarsi in una polemica tanto inutile quanto capziosa. Paragonabile per la sua futilità soltanto alla vacua scommessa sull'uovo di Colombo.

Questo perché, mentre da una parte non era ipotizzabile che l'illustre professionista ferrarese si offendesse nel vedersi attribuita (non da me solo) la paternità della bozza del Regolamento di Polizia Mortuaria elaborata sotto il Ministero Bindi - la qual cosa (sebbene errata, come sostiene lui) nulla avrebbe tolto al suo prestigio ed alla sua onorabilità, anzi lo avrebbe consacrato come persona competente e quindi degna della totale fiducia del Ministro nella materia specifica - dall'altra, nel rimarcare il mio disappunto sulla "scomparsa" della prestigiosa rivista da lui diretta, implicitamente sottolineavo in tali sentimenti di rammarico tutta la mia considerazione per l'impegno da lui profuso nel settore funerario e ciò al di là e al di sopra delle divergenti posizioni su talune questioni specifiche che trovano giustificazione nell'aver operato in due campi collocati agli antipodi: nel pubblico lui, nel privato io.

Polemica inutile e capziosa, dunque, per due motivi fondamentali. Inutile perché priva dei presupposti che di solito scatenano lo scontro dialettico, capziosa, e perciò ingannevole, perché a mio avviso la collera dell'Ingegnere nascondeva e nasconde qualcos'altro: probabilmente l'intenzione di attaccare (per zittirmi?) un modesto operatore del settore o ex tale che, invece di fare quello che moltissimi impresari fanno e cioè occuparsi solo di "incassare" morti e quattrini, salvo poi subire quello che altri hanno deciso, si è sempre cimentato e continua a cimentarsi con coerenza e assiduità attraverso questa pregevole rivista nella disamina delle problematiche settoriali.

La pretestuosità dell'attacco si evince anche dalla banale, infelice ed inopportuna "invenzione" della locuzione "p.i.f." (perito impresario funebre). Che, tutto sommato, non significa proprio nulla, ma evidenzia un malcelato desiderio di ironizzare sul mio ruolo di articolista di Oltre Magazine, ruolo che l'ingegnere non ha esitato ad insidiare, dimostrando un accanimento inspiegabile nei miei confronti.

Mi sembra chiaro che per screditarmi, senza rischiare di recarmi offesa grave (con conseguente mia adeguata reazione), alla ricerca di un "quid" di denigratorio, non ha trovato di meglio che anteporre una "p" (alla quale ha attribuito arbitrariamente il significato di "perito") a quello che realmente è stato il mio mestiere fino a due anni or sono, l'impresario funebre. Mestiere che ho svolto con passione e rigore deontologico, scevro da qualsiasi compromesso volto al procacciamento, e sempre proteso nello sforzo conoscitivo delle leggi e dei regolamenti che governano il settore. Sforzo che mi ha consentito di servire la mia clientela con professionalità e competenza. Non solo, ma mi ha consentito e mi consente di discettare sulla materia attraverso le nostre riviste settoriali: ieri l'Informatore della Feniof, oggi Oltre Magazine, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, compendiabili in apprezzamenti a volte anche troppo entusiastici, di colleghi, come quello pubblicato in calce al mio articolo del n° 9 di questa rivista, inviato da Filippo Rossi (che mi qualifica "illuminato foggiano"), figlio d'arte ed assiduo lettore delle mie esternazioni. O come quello pervenutomi telefonicamente dalla giovanissima figlia di un impresario di Gallarate la quale, dopo la lettura del pezzo "Il mio sport preferito" non ha potuto trattenersi (così mi ha detto) dal telefonarmi (cosa inusitata per lei) per compiacersi e testimoniarmi tutto il suo apprezzamento e la sua solidarietà.

Scrivo, quindi, perché mi piace farlo e perché so che in tanti mi leggono con interesse. Scrivo per esporre quello che penso, mai per compiacere qualcuno, e mi rendo conto che il mio pensiero è condiviso da molti.

Scrivo senza la presunzione di essere depositario di verità rivelate, né che le mie idee siano in assoluto le migliori e neppure che da esse scaturiscano decisioni definitive. Quello che scrivo, quindi, rispecchia soltanto il pensiero mio e, ovviamente, quello di coloro i quali lo condividono e questo è implicitamente confermato, anzi evidenziato, dal titolo della rubrica in cui appaiono i miei articoli che è, appunto, "Il pensiero di...". Un titolo talmente esplicito da non richiedere precisazioni di sorta, la cui semplicità è sfuggita all'osservazione dell'ingegnere a tal punto da sentirsi autorizzato ad attaccare a testa bassa chi non la pensa come lui o chi si esprime in forma e stile a lui non graditi.

Dove, però, "il pensiero di..." non deve essere sempre e comunque quello del sottoscritto, ma può essere quello di qualsiasi altro operatore e ex operatore o collaterale del settore che abbia intenzione di esternare quello che sente o ritiene utile per contribuire a fare chiarezza sul dibattito che si agita nell'ambito della categoria, alla vigilia della promulgazione di un nuovo Regolamento che governerà il settore per i prossimi anni, se non per i prossimi decenni.

È un dibattito che fino ad ora ha visto impegnate solo persone estranee al settore e non chi il nostro lavoro lo vive e lo svolge in prima persona, direttamente ed in maniera diuturna: gli impresari funebri. Che non partecipano non perché non abbiano argomenti da proporre o capacità per esporli, ma perché paralizzati da una sorta di abulia che ne inibisce la volontà per quanto concerne le implicazioni teoriche relative alla nostra attività. Gli impresari italiani sono dei lavoratori instancabili, che dedicano alle loro aziende 365 giorni l'anno, sono degli organizzatori formidabili, pieni di risorse e di qualità insospettate, sono capaci di macinare centinaia e centinaia di chilometri per trasportare a destinazione una salma o per recarsi a visitare una fiera settoriale.

Sono anche capacissimi di restare inchiodati alla sedia a guardare le tante "baggianate" che ci propina la TV oppure dedicarsi con passione a risolvere rebus e parole crociate. Ma quasi assolutamente, quasi completamente incapaci di sedersi mezz'ora alla scrivania per illustrare il proprio pensiero su questo grande dibattito che agita il comparto da alcuni anni, nella previsione della elaborazione del nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria, che altro non è se non la raccolta delle norme che sovrintenderanno alla nostra attività lavorativa nel prossimo futuro. Sono dei pragmatici inveterati e non amano le disquisizioni teoriche e le diatribe accademiche che sembrano non approdare mai a risultati concreti.

I risultati, invece, col tempo maturano e sono il frutto delle decisioni prese da altri (tecnocrati e pseudo-competenti) che si sono appropriati di tutto lo spazio concesso loro dall'assenza dei diretti interessati ed hanno scritto le nuove regole sulle quali si dovrà basare un lavoro del quale hanno solo sentito parlare, un lavoro che non è, non è mai stato e giammai sarà il loro, ma è e rimane il "nostro" lavoro. È la nostra latitanza che consente a codesti signori di prendere decisioni che competono a noi soltanto. Ed è per questo che l'ingegnere si sente nel diritto di attaccare il sottoscritto che si permette il lusso di "intromettersi" in faccende che lui soltanto, con l'ausilio degli Scolaro, dei Melis, dei Samoggia, si sente legittimato a discutere.

È per questo che qualcuno su l'Informatore/Osiris ha dichiarato, più o meno, che io riempio inutili pagine di inutili riviste.

Secondo loro io non devo interessarmi di entrare nel merito delle problematiche regolamentari settoriali che, sviscerate nei templi delle teoriche buone intenzioni, verrebbero decise senza alcun nostro intervento. A noi tocca solo eseguire e tacere. Ebbene, non è così.

Noi possiamo e dobbiamo reagire. Noi abbiamo il sacrosanto diritto di partecipare al dibattito in corso, anzi abbiamo il dovere di dire la nostra e lo possiamo fare utilizzando questo spazio, queste pagine, questa rubrica. Che è titolata "Il pensiero di..." proprio perché ciascuno di noi possa esprimere il suo, di pensiero. Ed è questo l'invito caloroso che voglio rivolgere, anche a nome del direttore e dell'editore di Oltre Magazine: tutti gli operatori del settore troveranno ospitalità in queste pagine - che io non ho mai inteso monopolizzare - anche se la prosa scadente (da impresario) può lasciare a desiderare, così come la mia sgomenta l'ingegnere. L'importante è partecipare.

L'importante è non essere assenti, non restare fuori da questo processo di emancipazione.

Unitamente a questo invito sincero ed appassionato, rivolgo a tutti coloro i quali hanno la bontà di leggermi i miei più fervidi e cordiali auguri di buon Natale e di un luminoso anno nuovo.
 
Alfonso De Santis
Alfonso De Santis, impresario funebre in pensione, è l'autore di un libro che tutti gli operatori del settore dovrebbero leggere: "IL DITO NELLA PIAGA". Una raccolta di 15 racconti, conivolgenti e divertenti, ambientati nel comparto funerario, ai quali seguono aneddoti e riflessioni personali sulla morte (224 pagine, copertina cartonata rigida).

Le richieste vanno indirizzate all'autore:
Alfonso De Santis - Via della Repubblica, 24 - 71100 Foggia,
inviando 10 euro a copia. Francesco Boveri

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