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Il bacio di una morta

"Se qualcuna delle mie lettrici ha visitato un cimitero di notte, sa quale triste e funebre impressione se ne riceve. Il solenne silenzio che regna in quel luogo, sacro al riposo dei morti, i grandi alberi, le croci mortuarie, tutto è propizio alle più folli e deliranti visioni". Il passo che abbiamo appena letto è decisamente tipico dello stile di una scrittrice che è e che fu tra le meno apprezzate dalla critica, ma che ai suoi tempi fu tra le più amate da un vasto pubblico. Stiamo parlando di Carolina Invernizio (1858-1916), protagonista massima del genere letterario del romanzo popolare d'appendice, pubblicato a puntate sui giornali. Ne scrisse centoventitré, sempre incontrando uno strepitoso successo grazie alla bassissima lega delle sue narrazioni, caratterizzate dall'uso massiccio degli effetti più infallibilmente efficaci presso un grande pubblico piccolo-borghese prevalentemente femminile, alfabetizzato ma incolto.
La Invernizio, consorte di un ufficiale dei bersaglieri, perfetto esempio di casalinga virtuosa, trae ispirazione dalla peggior cronaca nera (stupri, infanticidi, avvelenamenti, donne fatali corruttrici, orfanelli sventurati, ...) che espone enfaticamente utilizzando tutti i meccanismi della narrativa avventurosa ad effetto (scambi di persona, rivelazioni improvvise, travestimenti e simili). In questo contesto è chiaro che il macabro è una irrinunciabile carta da giocare. E carta vincente fu per uno dei suoi romanzi più noti, "Il bacio di una morta", quello da cui abbiamo tratto la citazione iniziale.
Alfonso, tornato dalla Spagna, chiede ed ottiene di vedere la salma dell'amata sorella Clara, che si trova al cimitero già chiusa nella cassa alla vigilia della sepoltura. Il custode (figura che inizialmente non gode delle simpatie della narratrice) acconsente, per denaro, ed eccoci alla scena cruciale: "Un gran velo bianco copriva il cadavere. Il custode l'alzò con una delicatezza ed un rispetto, strani in un uomo del suo mestiere, e scoperse la pallida e bella figura della contessa. Il viso era pallido, dimagrato, ma non aveva quella lividezza spaventosa, propria dei cadaveri". Ma questo è ancora niente. Alfonso, incapace di staccarsi dall'amato cadavere, prima dell'estremo congedo volle dargli un ultimo bacio, "ed appoggiò le sue labbra ardenti sulle labbra della povera morta. Ma allora gettò un grido, che risuonò lungamente in tutta la cappella e si alzò barcollando come un ubriaco, coi capelli scomposti, gli occhi sbarrati. - Le sue labbra si sono mosse! - esclamò. - Ella mi ha baciato.... ella è viva.... sì, è viva! - Ines (la moglie) e il custode credettero che Alfonso divenisse pazzo, e si avvicinarono; ma appena ebbero gettato uno sguardo sul cadavere, essi pure divennero pallidi quasi come quello".
La Invernizio non è così ingenua da risolvere subito la scena con un felice risveglio della presunta morta; i sintomi non sono risolutivi. Portare il corpo in casa del nipote del custode, in attesa degli eventi, e sotterrare una cassa vuota  è la proposta di Alfonso. "Vorreste seppellirla con questo dubbio?" è la sua risposta alle esitazioni del custode, che in effetti poco dopo si chiederà: "Che qualche volta senza volerlo, io abbia seppellite delle persone ancora vive?". E attraversando il camposanto "gli pareva veder aprirsi delle tombe ed uscirne dei fantasmi avvolti nel lenzuolo funebre e che tendevano verso di lui le braccia, dicendo con una voce che non aveva nulla di umano: - Anche noi ci seppellisti vivi -".
L'esemplificazione è più che sufficiente. Ci limitiamo a osservare che l'autrice non rinuncia ad una digressione sui casi di cronaca reali di sepolti vivi, a suo dire non rari, narrando la vicenda della giovane sposa di un industriale: resasi necessaria la sua esumazione, il cadavere rivela l'atroce verità; la madre muore all'istante fulminata e il vedovo finisce in camicia di forza. Quanto al seguito del romanzo, basterà ricordare che effettivamente Clara rinviene e che alla fine, dopo complesse quanto assurde vicende, comparirà a sorpresa al processo a carico del marito (accusato giustamente di averla avvelenata) presentandosi così: "Sono la contessa Clara Rambaldi, creduta morta, e come tale deposta nella cassa e portata al cimitero dell'Antella per esser seppellita. Ma Dio ha voluto salvarmi, e nella sua bontà non ha permesso che io fossi sepolta viva!".
Tematiche di questo genere sono nella Invernizio, come accennavamo, ampiamente ricorrenti; con una mossa tipica da romanzo d'appendice potremmo in effetti anche noi rinviare ad una prossima puntata, con un altro titolo della prolifica scrittrice: manco a dirlo, "La sepolta viva".
 
Franco Bergamasco

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