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L'handicap, l'Europa, il Cristianesimo e l'appartenenza

Il concetto di handicap è tanto concreto nella sua realtà, quanto astratto nella variegata quantità di altre definizioni che provano a mitigarne i fastidiosi effetti coniando termini dal suono più gentile. Cortesie di codesta civiltà, così tollerante, così accogliente, così disposta ad accettare, a comprendere e persino, in certi casi fino a ieri da linciaggio popolare, a perdonare. Scelte di chi sceglie per noi, scelte di chi sa convincere che forse è giusto fare, essere, diventare così. È l’Europa del nuovo millennio, l’Europa unita che fu cristiana tutta, da quel simbolo che fu croce e tormento per anime pavide, che fu speranza per umili e laboriose genti, che fu preghiera ed ossequioso credo, che fu forza e coraggio per migliaia di fanti consapevoli della loro mala sorte.
Oggi viviamo in una Europa che non si rende conto di quanto si sia finalmente unificata tutta attorno a quella cultura unica, la sola tra tante ideologie e idiomi diversi a renderla da sempre unica e unita. Il cristianesimo, cattolico o ortodosso, protestante o francescano, ha costellato di campanili e di chiese ogni collina che li meritasse. Il cristianesimo è stato la strada che per 2000 anni ha indirizzato la nostra storia, la nostra cultura, il nostro livello di elevata civiltà. Non è stato un percorso semplice, ma spesso contraddittorio, segnato dai tanti peccati dei quali è capace il genere umano. Oggi confrontiamoci con altre parti di questo grande mondo: nessuno è più civile, nessuno è più tollerante di noi, noi che già ci stiamo pentendo di essere stati cristiani, senza sapere cosa diventeremo poi.
Guardando tra le righe che non sono state scritte mai, ma guardando attentamente dentro alla nostra capacità di discernere da soli, potremmo scorgere ora il compiersi degli insegnamenti del Cristo. Gli ammortizzatori sociali si occupano dei poveri molto più di 100 anni fa, per non parlare della medicina che ha un vaccino per tutti; e poi i vecchi che vivranno di più, là nelle case di cura garbate e gentili. L’indulto non è mai stato così generalizzato, persino esagerato, giustificando spesso delitti efferati con lo studio del profilo e con la comprensione di una cattiva infanzia. E l’accoglienza, e poi la tolleranza, l’appartenenza dei più deboli che Gesù predicò in quegli anni, in Palestina, ora è realtà ed è cosa buona e giusta. Le prostitute non sono più additate a mala femmina, ma anzi sovente e forse giustamente intervistate, bene introdotte ad ogni livello di questa società, in alcuni casi addirittura quasi osannate, di certo bene accette e riabilitate nella loro dignità. Quante cose sono cambiate! Quanto ci siamo inconsapevolmente avvicinati agli insegnamenti del nostro profeta. È davvero un grande finale per una faticosa, spesso troppo castigata storia fatta di peccati e di castità, di punizione e di obbedienza, di tutto quello che ci ha formati per essere oggi così. Oggi si condannano i potenti senza troppe reticenze, non è facile regnare per ministri e presidenti. Oggi non vi sono più confini per nuove genti e nuove religioni: si edificano per loro nuovi templi, ma intanto scompaiono le croci da scuole ed istituti, si rifiutano appelli mistici di sacerdoti e di papi.
Tutto questo accade mentre l’Europa è nuovamente unita, finalmente unita, malamente unita da sogni imbalsamati, da troppe ideologie, da troppe economie, da alleanze, da interessi, da 30 denari sborsati sottobanco, da sacerdoti e re senza coscienza, da popoli ingannati dalle maldicenze, da romani e filistei, da servi e da briganti. Ora l’Europa è come non era mai stata: affettuosamente unita. Ora l’Europa c’è, vecchia Europa cristiana senza più un dio, timorosa, smarrita, in cerca di se stessa già svenduta ad India e Cina, senza più una croce o una preghiera, già quasi mezza luna predicante. Immagino quell’uomo, il Nazareno, guardarci da lassù e compiacersi di vederci almeno in buona parte così come aveva esortato: inoffensivi, buoni, generosi ed accoglienti. E capire che presto vi sarà spazio per altri profeti. Immagino sia un po’ triste, ma molto soddisfatto. Ha tenuto per le mani il mondo per 2000 anni, ne ha guidato la storia. Sarà difficile fare meglio di lui.
Qualcuno si chiederà che cosa c’entra il concetto di handicap in tutta questa storia di religione e di terra. Ebbene, è un moderato lamento, un piccolo sussurro sul concetto di uguaglianza. Un punto interrogativo sull’appartenenza, un fuggevole motivo per una lesta lagnanza. Pregavo in latino quando ero uno scolaro vestito di blu, pregavo Maria, pregavo Gesù. Eravamo tutti in fila e l’Europa era appesa alla cartina, perfettamente uguale a come è adesso. Ricordo ancora quella croce appena accanto, ricordo i miei sogni di allora spezzati da un momento scelto dal caso. Noi cittadini d’Europa, colpiti da qualche sventura che passava da lì, seduti su sedie a rotelle, paralizzati, noi disabili, diversamente abili, ma sempre handicappati, ameremmo scivolare un po’ via da quella mentalità cristiana distorta e ancora ricca di spazi per una presa di coscienza. Vorremmo andare oltre quella pietà che suscitiamo per la nostra sofferenza. È cosa nostra quella, non è un regalo, ma nemmeno vorremmo si sommasse il pur comprensibile, pesante, pietoso tollerare del buonismo, il sostentamento, l’assistenzialismo: forme ossequiose di razzismo, difficili da ammettere, difficili da riconoscere, ma che esistono, ben lontane dalla parola integrazione, ben lontane dall’appartenenza.
Qualcuno continuerà a chiedersi cosa c’entra l’handicap con l’Europa e con Gesù. Noi siamo buoni, siamo forti e intelligenti, sappiamo cosa conta e ciò che vale davvero nella vita, vogliamo appartenere al processo produttivo, creare, inventare, proporre, vogliamo uguali prospettive per chi oggi arriva in questa Europa cristiana e trova un centro d’accoglienza, una promessa, una speranza. Vogliamo far valere i nostri diplomi, i nostri dottorati, vogliamo essere voluti e non scartati, scaricati sulle spalle di stanche famiglie, ostaggi noi, ostaggi loro, vogliamo case al pianterreno, da comprare, non regalate. Vogliamo lavorare e non pesare sulle casse dello Stato, sono tante le cose che noi sappiamo fare. Cristo guarì l’infermo, questo non lo si può fare, ma dargli delle possibilità sì, in questo momento di grande civiltà, in questo momento di grandi cambiamenti, in questa Europa unita che fu cristiana, noi, più piccoli e rannicchiati sulle apposite poltrone, fatichiamo a renderci credibili, utili, desiderabili. Lungi da me suscitare altro pietismo: nel quadro c’è una storia vera, in questa immensa e strana democrazia né greca né romana, in questa grande chiesa di ogni lingua e credenza, noi innocenti prodotti di un destino esigente, stranamente siamo ancora guardarti con vergogna e con diffidenza, troppo spesso inutilizzati o sotto adoperati in mansioni di scarsa utilità. Chiediamo assoluzione, integrazione, qualche preferenza e un po’ più di udienza, prima che qualche altra civiltà di un altro dio faccia di noi, chissà?, sapone.
 
Carlo Mariano Sartoris
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