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Dalle Pire rituali al forno crematorio elettrico
(I parte)

Anche nel lontano e tradizionale Nepal gli antichi riti devono fare i conti con le emergenze ambientali e scendere a patti con la tecnologia.

Quando non siamo in viaggio in giro per il mondo continuiamo a farlo su internet. Ci  siamo così  imbattuti in un lavoro interessantissimo di Hans Hadders, Professore Associato presso l'Istituto di Salute pubblica ed infermieristica della Facoltà di Medicina e di Scienze della Salute della prestigiosa Università di Trondheim, in Norvegia. Si tratta di uno studio sulla creazione di un primo forno crematorio elettrico in Nepal, Paese di tradizione induista (81%) come la gigantesca e confinante India che a breve dovrebbe divenire, superando la Cina, la nazione più popolata al mondo. Il sorpasso è previsto per il 2022 ma secondo alcuni sarebbe già avvenuto.

L’impianto rappresenta una vera rivoluzione che ha creato non pochi problemi, visto lo scetticismo dei religiosi dovuto soprattutto al timore di non poter compiere adeguatamente i riti funerari tradizionali Indù in una struttura fino a quel momento inusitata. Oltre a ciò per finalizzare un progetto di tale portata in termini di innovazione, si sono presentati evidenti problemi di ordine tecnico, amministrativo e finanziario. Hans Hadders, che avremo il piacere di accogliere prossimamente a Bologna a Tanexpo, ha sviluppato il tema con dovizia di dettagli pur precisando che si tratta di un work in progress (è possibile visionare o scaricare il pdf completo di questo studio cliccando qui). Ci è dunque sorta l’idea di presentare ai lettori di Oltre una sintesi di tale lavoro chiedendone, visto che non si tratta di farina del nostro sacco, l'autorizzazione all'autore che ce l'ha immediatamente concessa. Grazie!

Il tema ci ha particolarmente interessato conoscendo personalmente, ed amandolo, il subcontinente indiano che abbiamo frequentemente visitato nell'ultimo mezzo secolo. Esperienza ben lontana, peraltro, da quella del Professor Hadders che ha vissuto da giovane per ben sei anni nella regione di Calcutta dedicandosi presso l'Università Statale Visva-Bharati (fondata da Rabindranath Tagore, primo asiatico premio Nobel per la letteratura nel 1913) allo studio del sitar e della tabla, due difficilissimi strumenti, a corde il primo ed a percussione il secondo, della musica classica indostana.

La presentazione si articola in due parti: la prima, in questo numero, tratterà della religione e dei riti funerari induisti, mentre la seconda, che sarà pubblicata prossimamente, illustrerà il percorso seguito per arrivare alla finalizzazione del progetto. Progetto quanto mai indispensabile ove si consideri che nel subcontinente indiano più di 7 milioni di corpi vengono annualmente dati alle fiamme sulle pire tradizionali. Pire che richiedono dai 300 ai 500 kg. di legname ciascuna il che significa che in Asia del Sud vengono abbattuti ogni anno dai 50 ai 60 milioni di alberi. Tali roghi contribuiscono alla deforestazione, alla contaminazione dei corsi d'acqua ed al riscaldamento globale a causa della formazione delle minuscole particelle ricche in carbonio che assorbono le radiazioni solari contribuendo così a trattenere il calore nell'atmosfera. Riscaldamento climatico che accelera la fusione dei ghiacciai himalayani e che modifica drammaticamente quel regime monsonico (vera benedizione quando cadono le prime piogge) che scandisce i ritmi di vita di tutta la regione asiatica e dalla cui regolarità dipende la sopravvivenza di milioni di persone!

I princìpi cardine della religione Indù

Cominciamo quindi a capire i principi fondamentali della religione. Per gli Indù il corpo umano è costituito da cinque elementi: acqua, fuoco, aria e terra ai quali si somma un quinto, l'etere indicante l'essenza base di tutto il mondo materiale, la quintessenza, l'elemento più piccolo creato dal mondo astrale. Dopo la morte occorre reintegrare il corpo deceduto all'interno di questi elementi tramite la pratica rituale della cremazione. La riluttanza dell'ortodossia concerne  le restrizioni che le cremazioni in forno chiuso all'interno di un crematorio impongono al rito tradizionale con il conseguente rischio di compromettere la reintegrazione di cui sopra.

La credenza nella trasmigrazione e nella reincarnazione ricopre un ruolo centrale nella cosmologia delle tradizioni funerarie religiose in India. È legata alla rinascita ciclica (samsara) e agli ideali morali per una vita virtuosa (dharma). Strettamente connessa a tali concetti è l'idea del karma secondo cui ogni azione ha un effetto sulle future rinascite strettamente legato al merito, ai peccati ed alle espiazioni. L'obiettivo finale è quello della salvezza e della liberazione dal ciclo delle rinascite. Tali nozioni cosmologiche, proprie dell'Induismo e del Buddhismo, si sono sviluppate in migliaia di anni subendo variazioni locali che tuttavia si rifanno ad uno zoccolo unificatore comune: le scritture del Veda redatte in sanscrito, la lingua sacra dell'Induismo, risalenti al periodo che va dal 1750 al 1500 a.C.

Lo studio di Hadders riguarda essenzialmente le pratiche funerarie indù dell'India del Nord e del Nepal dove la grandissima maggioranza degli Indù (salvo i bambini, i suicidi e chi rinuncia) viene cremata e le ceneri sparse in un fiume affinché il corpo e l'anima possano rinascere in altro luogo e forma. Di una semplicità apparente, tali pratiche sono estremamente complesse e non possono venire isolate dal più ampio e multiforme contesto escatologico (escatologia: dottrina proposta in religione o filosofia riguardo ai destini ultimi dell'uomo e dell'universo) e soteriologico (soteriologia: studio delle dottrine religiose della salvezza dell'anima) della cosmologia Indù.

La cremazione elimina le impurità attraverso il fuoco (agni).
Essa è, inoltre, l'ultimo rituale significativo del ciclo di vita; un sacramento, per gli Indù, chiamato dash sanskar (sacramento del fuoco) o antyesti (ultimo sacrificio). In altre parole la logica inerente alla cremazione è la stessa di quella del sacrificio: qualcosa che dev'essere distrutta e sacrificata affinché qualcos'altro possa rinascere ricreato e purificato. Prima della cremazione la salma viene trattata come qualcosa di sacro e venerata come una vittima sacrificale o una divinità. Del resto il sito per la cremazione viene preparato esattamente come in un sacrificio igneo: impiego di pura acqua rituale, purificazione del sito, consacrazione con acqua benedetta e messa in opera di Agni (dio del fuoco) recitando dei mantra (recitazione in sanscrito dei testi sacri).

Come avviene la cremazione rituale

Nella capitale Katmandu la cremazione avviene nell'area che prende il nome dal dio Pashupati ("il signore degli animali", incarnazione di Shiva e divinità protettrice del Nepal), dove sono presenti  circa 700 luoghi sacri e 235 templi.  La cremazione ha luogo di preferenza entro 24 ore dal decesso. Il corpo viene deposto in terra, lavato, unto, adornato, svestito da persone dello stesso sesso ed abbigliato in panni speciali bianchi ed arancioni, precedentemente immersi in acqua santa. Il volto rimane scoperto affinché famiglia ed amici possano tributargli un ultimo omaggio. Il defunto viene quindi deposto su una barella di nuova costruzione in bambù verde unito da corde e trasportato in processione sul sito di cremazione da dolenti maschi a piedi nudi. Giunti al ghat (la gradinata che dalla riva conduce al fiume) esso viene immerso totalmente o parzialmente. I parenti versano l'acqua raccolta dal fiume sulla sua bocca per agevolare il rilascio del defunto verso il paradiso. Tale rito prende il nome di Brahmanal, l'ombelico di Brahma. il corpo viene quindi posto su una lunga lastra inclinata di pietra, il Tarkeshwar Mahadev. Si tratta della divinità che si occupa del defunto, lo monda dai suoi peccati e lo conduce al cielo. È una pratica di grande significato molto beneaugurante per l'anima del defunto.

In Nepal la pira, lunga quasi 2 metri ed alta 75 cm., è idealmente costituita da 32 tronchi di legno accatastati in 5 strati (i 5 elementi..). Possono essere impiegati altri combustibili quali sterco di vacca, paglia, burro chiarificato, olio vegetale. Prima di porre il corpo sulla pira i dolenti le girano attorno con la barella per confondere gli spiriti maligni che potrebbero affliggere l'anima defunta. Il cadavere viene issato sulla catasta di legna con i piedi rivolti a Sud, verso il regno del dio della morte (Yama) mentre il capo volge a Nord in direzione del dio della ricchezza (Kubera). 

Il fuoco, proveniente idealmente dal focolare domestico, viene appiccato dal “dolente principale” (Jajaman) ed erede legale, rappresentato dal figlio maggiore o dal parente maschio più vicino. Nel mondo cittadino più evoluto anche le donne possono accendere la pira. Prima di farlo il dolente principale compie più volte il giro della catasta, ogni tanto con una pentola d'acqua, ed infine per tre volte con un'esca accesa. Il fuoco viene innescato all'altezza della bocca. La cremazione richiede dalle 3 alle 5 ore e talvolta, verso la fine, il cranio viene spezzato con una stanga di bambù. Lo si fa per liberare l'anima, il principio della vita (dhananjaya vayu o prana) dal corpo e rappresenta la messa in scena ritualmente decisiva della morte.

Quando il corpo è totalmente bruciato i resti del fuoco vengono raffreddati con l'acqua del fiume per alleviare i tormenti del defunto. Come ultimo gesto un assistente accende un fascio di paglia per produrre la liberazione completa dell'anima e lo lancia nel fiume. Prima di questi atti finali alcune ossa ritualmente significative e le ceneri vengono raccolte e disperse nell'acqua corrente, in genere subito dopo la cremazione oppure più tardi in altro luogo. Se infatti la cremazione non si fa in prossimità di un fiume ossa e ceneri sono conservate all'esterno dell'abitazione in un recipiente d'argilla in attesa di essere portate ad un corso d'acqua per l'immersione rituale.

La morte provoca un notevole contagio ed è piena di potenziali pericoli  per le persone in lutto e per la comunità Indù in generale. I dolenti sono perciò tenuti ad osservare un certo numero di disposizioni e regole rituali onde evitare la contaminazione personale e quella degli altri.

Concludiamo qui questo primo capitolo, riservandoci nel prossimo numero, di parlare in particolare dell’avvento del primo forno crematorio alimentato ad energia elettrica in un’area a forte vocazione tradizionale per capire l’impatto che ha avuto sulla collettività.
 
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