Rotastyle

Inaugurato il 30 giugno a Fortaleza

L'Atlânticos Memorial Garden

Lo stato di Cearà è uno dei ventisei che assieme al Distretto Federale di Brasilia (capitale, guarda caso, dal 21 aprile - data tradizionale del Natale di Roma – 1960, fortemente voluta dal salomonico presidente Juscelino Kubitschek per comporre la “storica” rivalità tra Rio de Janeiro e São Paulo e realizzata dal famoso architetto Oscar Niemeyer che il prossimo 15 dicembre festeggerà i suoi 103 anni!) costituiscono la Repubblica Federale del Brasile. Si tratta dello stato più a nord del “Nordeste” che comprende oltre al Cearà quelli di Bahia, Sergipe, Alagoas, Pernambuco, Paraìba, Rio Grande do Norte, Piauì e Maranhão. Esso si trova in piena zona tropicale solo qualche grado a sud dell’Equatore. Ciò spiega il fatto che la temperatura media annuale si aggiri attorno ai 27° e che nella capitale, Fortaleza, le minime non scendano mai, durante tutto l’anno, sotto i 22° e le massime oscillino costantemente tra i 28° e i 35°. Quando poi si sappia che la sua costa conta 775 km di spiagge selvagge (tra di esse quella di Jericoacoara, all’ovest di Fortaleza, considerata come una delle sei spiagge più belle del mondo) possiamo facilmente e giustificatamente supporre che, tutto sommato, il paradiso non debba essere, ammesso che esista, molto dissimile da quei luoghi.
La città prende il nome da una fortezza creata nel 1649 dall’olandese Mathias Beck (ma già dodici anni prima erano giunte le prime spedizioni batave) che, riconquistata dai portoghesi, sarà ribattezzata Fortaleza da Nossa Senhora da Assunção. Oggi essa, con più di 2,5 milioni di abitanti (4 milioni nella “grande” Fortaleza), è una delle città più grandi del paese superata solo da São Paulo, Rio, Salvador de Bahia e, forse, Belo Horizonte. Da sempre centro di commerci e porto di primaria importanza, la città si è sviluppata in maniera vertiginosa in questi ultimi anni. Non dobbiamo dimenticare che il Brasile, che con quasi 200 milioni di abitanti è lo stato più esteso del continente ed il quinto al mondo, si trova ad essere ormai uno dei Paesi più ricchi in risorse naturali e certamente uno dei protagonisti imprescindibili, assieme a Russia, India e Cina (il ben noto acronimo dei quattro è “BRIC”), del mondo ormai globalizzato in cui viviamo. Alla faccia di noi europei, racchiusi nei nostri piccoli egoismi di campanile, ed anche dei nostri, diciamo così, amici (o pseudo tali) nordamericani che fra pochi anni avranno perso la leadership mondiale grazie anche alla loro cecità che li ha condotti agli orrori, agli errori e alle erranze di un capitalismo sfrenato che taluni tentano di nobilitare usando il flautato eufemismo di “liberalismo” economico. Quel “lassismo”, diremmo piuttosto noi, dei governanti “in primis”, che ha procurato i guai che sappiamo. Lassismo a tutti i livelli, da quello finanziario a quello ecologico (vedi la catastrofe nel golfo del Messico dovuta al fatto che la BP piuttosto che garantire norme - costose! - di massima sicurezza preferiva distribuire i quattrini risparmiati agli azionisti con la colpevole complicità dei governanti nordamericani da sempre insensibili, Obama o meno, ai problemi di protezione dell’ambiente) e che continua a fare i bei giorni di qualche speculatore tutto contento di mettersi in tasca montagne di dollari che, purtroppo per lui, non seguiranno, in un forziere aureo, il carro funebre che lo condurrà al camposanto. Come recita un vecchio modo di dire di Lione: “Avez-vous déjà vu un coffre suivre un corbillard?” (Avete mai visto una cassaforte dietro un carro funebre?).
Ci fa pensare, guarda caso, a certi industriali (per i quali, forse, il termine di “bottegai” sarebbe più appropriato) italiani come quelli che, ad esempio, stanno mandando a gambe all’aria certi mercati del mondo funerario (una bottiglia di grappa monovitigno di Picolit invecchiata di 33 anni a chi indovina per primo il settore merceologico ed il nome delle aziende in questione; inviare le risposte alla redazione) grazie a politiche commerciali suicide tanto per tentare di “incubare” l’amico (presunto) - collega (invidiato) - concorrente (in realtà, e malgrado l’ipocrisia delle apparenze, soprattutto concorrente).
Con questi pensieri in testa (paragoni poco lusinghieri tra l’intraprendenza lungimirante e talvolta visionaria di certi imprenditori di paesi “nuovi e giovani” e la progressiva fossilizzazione di una imprenditoria nostrana in molti casi - fortunatamente ci sono, come vedremo più in là, anche le eccezioni che confermano la regola - casareccia e quasi autistica), ci siamo quindi imbarcati in direzione dell’inverno equatoriale su un velivolo della TAM. Piccola parentesi. TAM sta per Taxi Aereo Marilia (già il nome, esotico, è tutto un programma), compagnia creata nella città paulista (l’aggettivo “paulista” fa riferimento allo stato di São Paulo mentre “Paulistano” si riferisce all’abitante della capitale che porta lo stesso nome; un po’ quello che succede a Rio de Janeiro dove chi vive nella città è un “carioca” mentre chi sta nell’omonimo stato è un “fluminenese”) nel 1961 da un gruppo di giovani piloti (tra i quali il famosissimo comandante Rolìn) che su dei monomotori trasportavano merci e persone tra gli stati del Paranà, di São Paulo e del Mato Grosso e successivamente rilevata da un oriundo italiano, un certo Orlando Ometto. Oggi TAM, che ha rimpiazzato la storica e fallita Varig, non è più il romantico sogno di una banda, nel senso buono, di scavezzacolli bensì una realtà che ne fa una delle compagnie più performanti del mondo con una flotta modernissima e livelli di servizio eccellenti. Esempio, uno di più, di un tipo di imprenditoria sbarazzina, giovane e “visionaria” che a maturità produce i suoi frutti migliori grazie a competenza e serietà nel lavoro e senza stati tappabuchi che azzerano, con i quattrini dei contribuenti, le perdite colossali prodotte per decenni da manager (?!) paracadutati sulle loro “cadreghe” in virtù di una parcellizzazione clientelare di natura eminentemente politica. Ogni riferimento a compagnie di bandiera europee è, evidentemente, puramente casuale… Anche il mesto rientro in patria della “seleçaõ” dalla sfortunata spedizione in Sud Africa (abbiamo vissuto in loco, assieme ai brasiliani, i tristi momenti dell’eliminazione del loro “time”) s’è fatto su di un aereo fornito dalla TAM per l’appunto. Chiusa la parentesi.
Il tutto per rispondere ad un invito rivoltoci a Bologna, in occasione di Tanexpo, da Garcez Filho, importante costruttore edilizio fortalezino nonché Presidente della Atlânticos Garden, e da Dario Loinaz, l’amico argentino che vive (cherchez la femme!) in Brasile e che alle sue attività di consulente internazionale (presente in una ventina di paesi) aggiunge quella di Direttore Generale dell’azienda summenzionata. Dario ci aveva onorati, in virtù di una vecchia, lunga e consolidata amicizia, della presenza sua e dei suoi numerosi colleghi sudamericani a Tanexpo e ci è sembrato doveroso portare di persona il nostro appoggio ed il nostro apprezzamento al suo progetto diventato realtà. Tale invito riguardava l’inaugurazione, il 30 giugno, di un complesso funerario che non esitiamo a definire straordinario nel senso letterale del termine. Il progetto in questione esce infatti dall’ordinario sia sul piano strutturale che su quello concettuale.
Per quanto riguarda il primo aspetto siamo in presenza di un cimitero “verticale”. Ne esiste già uno, a Santos, nella realizzazione del quale lo stesso Dario è intervenuto. Esso trae origine dalle necessità logistiche (mancanza di spazi per le sepolture) e da quelle di carattere ecologico. Nell’edificio, che si sviluppa su tredici piani (75 metri di altezza), saranno disponibili 33.000 posti per la sepoltura in bara assieme a 40.000 loculi per ossari ed urne cinerarie. Il complesso comprende inoltre un crematorio con 485 poltrone, un centro ecumenico per 500 partecipanti, 7 saloni funerari (alcuni dei quali possono accogliere fino a 1.200 persone), una sala per il commiato multiconfessionale, un anfiteatro per rappresentazioni culturali ed esposizioni, oltre che un ristorante aperto al pubblico, un’area giochi per i bambini ed un parcheggio per 270 vetture. Il tutto su di un’area di 33.000 metri quadri per un totale di superficie edificata di 37.433 metri quadri e rallegrata da bacini idrici, fontane e da una vegetazione lussureggiante. Tale struttura consente non solo di organizzare le cerimonie costantemente al coperto (aspetto importante viste le condizioni ambientali), proteggendo così personale e visitatori, ma anche di evitare la contaminazione della terra e della falda freatica in ossequio ad una volontà chiaramente espressa di rispetto dell’ambiente. Questo approccio risponde quindi alle esigenze derivanti dalla scarsità di terreni da adibire ad uso cimiteriale anche in prospettiva futura (in un momento, tra l’altro, di forte crescita della popolazione) e, soprattutto, alle preoccupazioni di ordine ambientale e sanitario. In tal senso viene sfruttata al massimo ogni fonte di energia alternativa (a cominciare da quella solare) eliminando così quelle tradizionali costose e contaminanti. Da segnalare inoltre, dato non trascurabile, che il centro darà lavoro a 300 persone. Una presenza, quindi, anche socialmente rilevante che tuttavia non si limita alla mera creazione di impiego. Infatti in seno al complesso nascerà, assorbendo una parte significativa dei profitti realizzati, un orfanotrofio destinato ad accogliere cinquanta trovatelli che vi rimarranno, a totali spese di Atlânticos, fino alla fine dei loro studi universitari. È un segnale forte di altruismo, di solidarietà e di fratellanza umana quale ci piacerebbe incontrare più spesso anche dalle nostre parti. Libero ognuno di noi di elaborarlo in funzione delle proprie esperienze di vita e della propria sensibilità. Personalmente confessiamo di essere rimasti toccati, meglio sarebbe dire commossi, al pensiero delle ricadute pratiche e della carica simbolica di tale iniziativa volta ad affermare l’imperiosa presenza della vita non solo di quei bambini, ma anche, e nonostante le apparenze, di chi in quei luoghi soggiornerà per l’eternità. Proprio grazie a loro e alla loro (o dei loro familiari) scelta quegli innocenti saranno stati salvati da un futuro “a priori” piuttosto incerto.
Sul piano concettuale, è sempre Dario Loinaz a sottolinearlo, siamo di fronte ad un nuovo modo di affrontare il problema della morte. Il “concept” è quello di Centro integrato di servizi funerari e cioè di un luogo unico dove tutte le prestazioni hanno come obiettivo principale quello di offrire il massimo conforto alle famiglie diminuendo il sentimento di perdita che ogni dipartita fatalmente comporta. In tal senso troviamo in Atlânticos Garden tutti i servizi necessari per elaborare il lutto nelle migliori condizioni: dall’indispensabile supporto psicologico fornito da personale specializzato, ai trattamenti estetici o di tanatoprassi, dalla cremazione ecologica all’accompagnamento post-mortem, dalla polizza di pre-need al maestro di cerimonia col quale concordare alla carta lo svolgimento della stessa, dall’orchestra che eseguirà i brani scelti allo “spazio della memoria” e cioè una grande biblioteca virtuale ricca di informazioni sulle persone fornite, se gli interessati lo desiderano, da loro stessi mentre sono ancora in vita. Accanto alle informazioni anagrafiche trovano ampio spazio foto, oggetti personali, testi di autori preferiti, considerazioni del defunto, informazioni sui suoi gusti: il tutto volto a permettere a familiari e ad amici del caro estinto di rivivere, in Atlânticos Garden nelle date da celebrare, una parte della vita di colui che non c’è più. È addirittura possibile, ci diceva Dario, salvaguardare le “ricette della nonna” ed ottenere che esse siano riprodotte, “à l’idéntique”, dai cuochi del ristorante, permettendo così a congiunti e conoscenti, previo avviso, di degustare, nel giorno in cui ci si reca a renderle omaggio, le prelibate leccornie che la scomparsa preparava. Fra qualche anno le ricette saranno verosimilmente sostituite dalle marche dei surgelati.
Il nostro obiettivo” precisa Dario Loinazè quello di salvaguardare la storia dell’identità di una persona e di celebrare la sua vita ormai conclusasi come si festeggia una nascita, un battesimo, un anniversario. Approccio da contrapporre al concetto di morte vissuto unicamente come perdita irreparabile”. Si tratta in realtà di un problema culturale le cui modificazioni sono già percepibili nel Brasile odierno. Il Messico, ad esempio, è uno dei paesi occidentali che più che gli altri considera la morte non come qualcosa di unicamente tragico. Tant’è che bambini di due anni partecipano ai rituali, spesso giocosi, assieme agli adulti. Anche gli zingari hanno, come si sa, l’abitudine di recarsi sulla tomba del defunto dove preparano tavole imbandite con ogni ben di dio da dove spesso escono con passo incerto…dopo aver passato la giornata intera in compagnia ed in comunione col trapassato. (Un magnifico esempio di “angolo zingaro” di un cimitero è quello di Wroclaw - Breslavia - in Polonia). Ciò, ritornando all’America latina, deriva certamente dalla cultura ancestrale, ma proprio grazie alle analogie tra tali culture autoctone è fortemente probabile che in un Brasile che abbia superato, in un certo senso, il tabù della morte tali atteggiamenti attecchiscano tanto più facilmente nella misura in cui venga data loro la possibilità di esprimersi in una cornice adeguata. È, precisamente, il caso di Atlânticos Garden che anticipa, quindi, i tempi in un mercato che, stando a quanto comunicato da Abredif (Associação Brasileira de Empresas e Diretores Funeràrios), movimenterebbe circa 800 milioni di euro all’anno con una crescita, nello stesso periodo, che si aggirerebbe attorno all’otto per cento. Soltanto nel settore privato i dipendenti sarebbero 50.000.
Il segmento dei servizi funerari ha iniziato la sua espansione nel Paese una quarantina d’anni orsono col lancio, nel 1970, del primo piano funerario. Oggi operano 5.500 imprese di cui 115 nello stato di Cearà (9 milioni di abitanti). Esse contano circa 1.500 dipendenti. Stando a quanto afferma Iracema Nobre, la Presidente della Sefec (Sindicato das Empresas Funeràrias do Estado do Cearà), il costo di un funerale tradizionale può andare mediamente dai 650 (per i più semplici) ai 6.500 euro. Ma tali valori sono in aumento, soprattutto da quando le imprese hanno incominciato a proporre piani di previdenza funeraria che anche qui, come in molti altri paesi, stanno riscuotendo un successo su larga scala. Non si capisce perché in Italia tale prodotto non riesca a decollare.
La cerimonia di inaugurazione, alla quale erano state invitate 1.500 persone, si è svolta in una calda serata brasiliana sul sito stesso di Atlânticos Garden. Gli ospiti sono stati accolti da tutto lo staff dirigente dell’azienda. Tra quelli stranieri abbiamo ritrovato con immutato piacere Tatiana Milena Osorio, la colombiana Direttrice Esecutiva di Alpar, la cui Presidentessa, la boliviana Teresa Saavedra, era nello stesso periodo in missione di lavoro in Cina. Tra quelli italiani, a conferma di quanto si diceva poc’anzi e cioè che ci sono ancora in Italia imprese che operano in modo “positivo”, Oscar Rossi e Roberto Fornasiero di Benedetti. Dopo il franco successo riscontrato dall’azienda veneta a Tanexpo i suoi manager hanno voluto, con decisione estremamente avveduta ai nostri occhi, recarsi personalmente in Brasile per tentare di aprire un mercato di sicuro avvenire. Non dimentichiamo che il Brasile, col suo peso demografico e con le risorse che possiede, è destinato ad un futuro di prima grandezza. Ricorderemo, per inciso, che la previsione di crescita del PIL è, per l’anno in corso, del 7,5%! Ogni commento sarebbe di troppo.
Per maggior precisione diremo anche che si trattava della cerimonia di posa della “pedra fundamental” (la nostra prima pietra) anche se i lavori sono, seppur già in fase avanzata, ancora in corso. Comunque sia certi servizi già vengono proposti e certamente entro il mese di dicembre la struttura sarà operativa al 100%. Tutto è stato curato nei minimi dettagli: dalla scelta dei materiali a quella delle splendide piante ornamentali che già abbelliscono il sito; dalla disposizione coerente, anche sul piano simbolico, delle diverse strutture che il complesso conta alla scelta delle opere d’arte destinate, aumentandone nello stesso tempo il valore aggiunto, a renderlo ancora più suggestivo.
Ci auguriamo vivamente, con fondate ragioni per immaginare che tale auspicio si trasformi presto in realtà, che tra di esse trovino meritatamente ampio spazio le realizzazioni uniche del “Progetto Argeo” di Benedetti. Come giustamente Oscar Rossi ci faceva osservare, la filosofia della sua azienda coincide con quella della Atlânticos nel senso che l’emozione prodotta dall’opera d’arte costituisce un momento essenziale nell’elaborazione del lutto nella prospettiva, propria del cristianesimo ma non solo, che se la separazione da una persona cara costituisce indiscutibilmente un trauma, essa debba rappresentare anche un momento di grande speranza e di certezza che la vita, al di là del fatto meramente “fisico”, continua seppure in forma diversa. È esattamente lo stesso approccio di Garcez e di Loinaz nel concepire il grande progetto, vera opera d’arte, di Atlânticos Garden come un qualcosa che porti in sé, che veicoli, non tanto un tratto funebre, ma un segnale, forte, di vita.
All’inaugurazione è seguito un ricevimento curato nei minimi dettagli. A cominciare, anche l’occhio vuole la sua parte, dalle attraenti, eleganti, amabili e sorridenti hostess. Attivissimi nell’accogliere gli ospiti tutti i responsabili dell’azienda brasiliana: da Garcez Filho ai figli Nieto e Giovani (con una “n”, non si tratta di un errore: vedi i tanti giocatori brasiliani che portano tale nome); da Loinaz all’altro socio, l’architetto Paulo Magalhães. “Last but not least” le avvenenti consorti di Filho e Dario, Conceição e Renata rispettivamente, esempio preclaro di bellezza muliebre, gentilezza e “savoir faire”. Ci piace sottolineare come la infinita cortesia degli anfitrioni costituisca, fin nei dettagli più infimi, il denominatore comune di tutte queste persone. Siamo stati oggetto, assieme agli altri ospiti, di attenzioni talvolta perfino imbarazzanti. È tutto dire. Si potrebbe quasi pensare che il calore che regna su quelle terre si sia insinuato nelle spirali del dna di coloro che vi vivono.
Tra di esse, pur situandosi al di fuori del progetto in questione, anche la già citata Iracema Nobre. Iracema è un nome che in lingua Guarani (una di quelle, autoctone, del Cearà) significa “labbra” (“tembe” che, per una mutazione che in linguistica si chiama derivazione, si trasforma in “ceme”) di miele (“ira”). Si tratta della protagonista, una indigena della tribù Tabajara, di un romanzo di José de Alencar pubblicato nel 1865. Una sorta di epopea della nascita di quella nuova cultura originata dall’unione, anzi dalla “fusione”, tra le popolazioni locali ed il colonizzatore portoghese. Essa dà origine al “nuovo” Brasile. Da notare che questo nome trae origine da una pianta indigena, il “pau-brazil”, di cui un esemplare fa bella mostra di sé nel parco di Atlânticos.
Ritornando ad Iracema Nobre, essa costituisce un esempio imprenditoriale degno di nota e di rispetto. Esso potrebbe essere un utile paradigma per molte onoranze funebri di casa nostra. Dopo aver lavorato assieme al marito come dipendenti di una azienda di tipo “tradizionale” (nell’accezione non valorizzante del termine; quello che è, ahinoi!, il caso della stragrande maggioranza delle aziende italiane) e dopo un effimero passaggio in una attività totalmente diversa, essi decisero nel 1979 di creare una impresa funeraria che portasse un fresco vento di novità in un settore routinario e sclerotizzato. Nasce Alvorada (“aurora” in portoghese), primo punto di vendita, quello storico, di ciò che ormai è oggi il “Grupo Nobre”. Assecondati dai figli, i Nobre creano, successivamente, il Complesso funerario “Ethernus” ad Aldeota, la zona più prestigiosa, i quartieri alti, della città nonché altre filiali in tutto il Cearà. Grupo Nobre rappresenta oggi più di 2.000 servizi annui e dà lavoro a 210 dipendenti. Ciò che più stupisce è l’approccio marketing del gruppo. Infatti non solo le due aziende propongono servizi e prodotti in funzione delle zone dove si trovano. Più sofisticati e cari quelli di Ethernus, più accessibili quelli di Alvorada, situata in una zona più popolare. Ma lì dove il profilo fortemente “marketing oriented” dell’azienda appare è nella Ethernus Pro Living e cioè nella società che si occupa della previdenza funeraria; corollario quasi imprescindibile, ed estremamente redditizio, di tutte le aziende funerarie importanti del continente. I contratti relativi a questo prodotto prevedono, tra le altre cose, addirittura un supporto psicologico dei dolenti ed un ausilio medico che può prolungarsi per un tempo lunghissimo - anche un anno in certi casi - presso cliniche psichiatriche convenzionate specializzate e fornite di “équipes” polivalenti (psichiatri, psicologi, …). Ci siamo accorti, visitandola, della pratica di tecniche fondamentali di marketing. In una delle sale campeggiano, ad esempio, quattro carte rappresentanti il “break-down” della popolazione in termini di sesso, età media di decesso e potere d’acquisto. Abbiamo visto, ad esempio, che in Aldeota il reddito medio si situa tra i tre ed i quattromilacinquecento euro al mese. Si tratta di una parcellizzazione minutissima, quasi strada per strada, che permette ai venditori del “plano” di previdenza di attaccare il mercato nelle migliori condizioni. Muniti, cioè, delle informazioni più accurate, quelle stesse che consentiranno loro di rendere ottimali gli strumenti (argomenti, supporti, …) utili per realizzare (R) gli obiettivi (O) fissati. Dei “tableaux de bord” quindicinali danno conto della performance individuale R/O della rete di vendita. Il tutto in un contesto di motivazione permanente, supportata da un piano di formazione continua che si estende agli “amministrativi” e che si estrinseca anche attraverso strumenti ludici in una atmosfera dove tutti i dipendenti si sentono componenti di una stessa, grande, famiglia. Non si tratta di uno stile di management paternalistico. Tale attitudine, come sottolineava Iracema, che è al secondo mandato come Presidente della associazione funeraria del Cearà, nasce spontanea dal fatto che i titolari conoscono i due lati della medaglia (o della “moneda”, come si dice in portoghese). I Nobre hanno avuto l’intelligenza di tenerne conto. Altri lo dimenticano presto per diventare quei piccoli despoti francamente insopportabili che tutti conosciamo.
Insomma, questo viaggio ha costituito una cura di ringiovanimento (altro che Gerovital della dottoressa Ana Aslan di ceauseschiana memoria - esiste ancora? non la dottoressa, ma il prodotto - e cliniche di lusso a prezzi stratosferici!) che se non è riuscita a cancellare le inevitabili rughe attorno agli occhi, ha certamente giovato, eccome, per eliminare, ammesso che ce ne fossero, quelle che l’impietoso avanzare dell’età produce, come dice il famoso cantante francese Patrick Bruel in “C’est la Vie” (vedere You Tube), anche sul cuore. Non c’è niente da fare. Ogni volta che mettiamo piede in quei paesi “giovani” ne ritorniamo caricati a mille. Il guaio è che, rimesso piede in Europa, ci ritroviamo di fronte la solita congrega di saccenti, sufficienti, noiosi e spesso insulsi personaggi. Saremmo pronti a scommettere molto (vi lasciamo indovinare che cosa…) sulle reazioni che questo resoconto susciterà in tanti lettori. Già, ben conoscendoli, ce li vediamo: chi, senza mezzi termini, troverà (ci si passi il termine non eccessivamente protocollare) che sono “minchiate”; l’altro che non c’è nulla di nuovo e che tutto già esiste, evidentemente in meglio, da noi; il terzo, buon Azzeccagarbugli, argomenterà finemente sul piano giuridico (stanti i vigenti regolamenti!…) per trovare mille ragioni per cui non è nemmeno immaginabile di poter fare (per questo tipo di realizzazioni noi parleremmo più volentieri di “creare” e non di “fare”) qualcosa di simile in Italia. E poi ci sarà quello che si lancerà in sapienti disquisizioni etico-filosofiche (dopotutto l’etica è una delle facce del poliedro chiamato filosofia) o ancora il grande manager (quantomeno lui crede di esserlo) che magari ha messo sul lastrico l’azienda e che, pontificando dall’alto della sua cattedra dalla base di sabbia, decreterà con piglio sicuro, inequivocabilmente ed una volta per tutte, che il progetto, elaborati i suoi sapienti calcoli, non è assolutamente sostenibile sul piano finanziario. Di tutto questo esercito di chiacchieroni presuntuosi ce ne impipiamo sovranamente. In versione transalpina: “nous nous en moquons comme de l’an quarante” (ce ne facciamo beffe come dell’anno quaranta, chissà poi perché quaranta?). Quelli lì le famose rughe di cui sopra le hanno, probabilmente, nel cervello e spesso in forma congenita e quindi indipendente dall’età. Poverini! In certo modo non è nemmeno colpa loro. Assomigliano per certi aspetti a tutti i nostri frusti “campioni” della pedata, forti, anzi imbattibili, a parole, arroganti ed indisponenti nell’approccio e nulli, che più nulli non si può, a cominciare dal “capintesta”, sul terreno di gioco. Ne abbiamo visto i risultati. I miracoli difficilmente si rinnovano. L’italico stellone ha deciso, questa volta, di emigrare verso lidi più accoglienti e soprattutto meritevoli. E ha fatto bene.
Lasciamo Fortaleza con in bocca il gusto di sale dell’Atlantico e quello, soave, delle aragoste e di tutto quello che quel mare, benedetto dagli dei, fornisce (venendo da una bella città di mare ci sia concessa la presunzione di sapere di che cosa stiamo parlando). Con l’aroma accattivante della “caipirinha”, la preparazione locale indispensabile complemento di ogni cibo, a base di “cachaça”. Si tratta di quel distillato della canna da zucchero (detta anche, con termine onomatopeico che evoca il ping-ping delle goccioline fuoriuscenti dall’alambicco, “pinga”) che allieta le giornate dei brasiliani contribuendo a mantenere il tasso di allegria a livelli decenti. Per dovere di cronaca ricorderemo che la fabbrica più importante di tale distillato, la Ypiòca, si trova proprio nel Cearà, a Maranguape. Ci diceva Garcez Filho che questa azienda, che in occasione dei suoi 160 anni di vita ha lanciato una varietà “com malte” che porta lo stesso nome (nella fattispecie il numero 160), è anche una delle sole cinque imprese dell’intero Brasile ad essere nelle mani della stessa famiglia da cinque generazioni senza fallimenti, cessioni, parziali o totali, del capitale o fusioni.
Lasciamo Fortaleza con il rimpianto di non aver potuto partecipare (sarà per un’altra volta, forse in occasione della fiera funeraria che lì Sefec organizza) alle serate in spiaggia del giovedì che durano, a quanto pare, fino all’alba mangiando “caranguejos” (granchi) abbondantemente affogati, secondo le norme non scritte, ma ben osservate, dello “ius consuetudinis”, con la sensuale e traditrice caipirinha. E chissà che non ci siano anche altri svaghi!
Lasciamo Fortaleza, infine, con la certezza di ritornarci un giorno per ritrovare da amici quelli che abbiamo conosciuto in incontri d’affari. È una alchimia rara (altrimenti dovremmo essere amici di mezzo mondo) e proprio in quanto tale tanto più preziosa.
Atè logo” (arrivederci)! Saluti e buone vacanze a tutti.
 
Il Viaggiatore


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