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Dal film "Saluti dal caro estinto":

Diamo dunque a un grande uomo una grande cassa da morto

Morte concetto sovrano nel regno del cinema. Protagonista assoluta, marginale, estemporanea.

Morti sempre e ovunque.

A dividere, rimettere insieme, cambiare persone, fatti e fati. Morti plateali. Coinvolgenti, simulate, reali, sconvolgenti o invisibili. Morti che a vederle non si vedono, passano inosservate.

Chi ha mai contato in uno scontro tra cowboys e indiani, i caduti sul campo, lasciati a terra tra galoppi di cavallo, frecce e spari? O tutti i caduti in battaglia?

Tranne forse in Salvate il soldato Ryan.
Quei soldati al massacro dei primi minuti di film, non li possiamo proprio dimenticare.
Uno dopo l'altro mutilati a morte durante lo sbarco.

La morte regina della storia che giustifica poi la presenza di una trama.

Il grande freddo, ad esempio.
La morte di un amico comune (l'attore Kevin Costner, che non vedremo mai di persona se non il suo polso, con le cicatrici di un suicidio), il funerale e un gruppo di amici e parenti alle prese con una assenza e la presenza di una vita, la loro, di problemi, incomprensioni, desideri e lunghi discorsi.

Morti che vanno vendicate con il sangue, con la morte, con il semplice ricordo.
Oppure a caso, per semplice gusto di azione.



In Assassini Nati, la morte è un semplice gesto, uno sparo, un coltello, un colpo secco alla noia, un taglio netto da famiglia, costrizioni e società, rifiutata per affermazione, liberazione, autocoscienza, immortalità.

O la morte che porta con sé il desiderio di vita, il rifiuto di una fine programmata.
Come nella scena struggente sui tetti di una Los Angeles del futuro (2019) dove un replicante, alla fine della sua missione, ferito sotto gli occhi del carnefice cacciatore di taglie, muore tra lacrime e pioggia. È Blade Runner.
La morte non morte, incosciente della vita reale.

Ce lo spiega Matrix. La vita reale è solo fittizia, ricreata, inventata. La vita è in realtà congelata in una morte apparente, cerebrale.
Dare morte a quella vita permette di ritornare padroni della propria esistenza per combattere il sistema di chi ha inventato quel mondo irreale.

La morte regna dunque sovrana, maestra di storie, protagonista indiscussa, spunto per l'evolversi di fatti, o per il semplice snodo di vicende.

Attorno, un mondo di argomenti e personaggi correlati.

La morte di grandi personaggi nei film storici.
Da Vatel, maestro di cerimonie nella Francia di Luigi XIV, che pone un termine ingiustificato alla sua esistenza per aver fallito nella messa in scena della perfezione.
Ancora, l'agonia della tortura che precede la fine non può non renderci partecipi.

Si può dimenticare Braveheart e la morte di un Mel Gibson nei panni dell'eroe scozzese?
Oppure la malattia, che strappa alla vita un giovane avvocato gay malato di Aids, come in Philadelphia?

Commedia, tragedia, azione, poliziesco, comico, commedia brillante, horror e via dicendo.
Nessuno di questi generi è immune alla messa in scena della morte. Con meriti e colpe che ne derivano.

In parecchi film ritroviamo una bieca necrocultura filmica, ricca di cliché ed eccessi kitsch.

Credo che la paura, la diffidenza, il brivido o il semplice imbarazzo che molti - e purtroppo sono davvero molti - provano quando solo si pronunciano termini quali la morte, il morto, bara, cimitero, funerale, lapide, siano, anche, una conseguenza di questa cattiva pubblicità fatta da alcuni generi cinematografici e da molti film di serie B.

Pensiamo alle classiche morti da serial killer.
Omicidi brutali mostrati agli spettatori in tutto l'orrore di corpi violati, oltraggiati, sezionati quasi sempre ad opera di un qualche malato mentale con seri problemi relazionali e sicuri traumi infantili. Agisce per vendicare torti subiti.
Il poliziotto o l'investigatore che risolve il caso è spesso sfinito, colpito, picchiato e fisicamente messo a dura prova, ma riesce sempre ad acciuffare il mostro (non Hannibal, certo).

Durante lo svolgersi degli eventi c'è sempre un'autopsia in atto, un coroner che mentre seziona cadaveri mangia un panino e beve una bibita, qualcuno che si stupisce e vomita e un qualche pezzetto di interiora esibito.

Casi di morte bistrattata, che non è specchio della realtà, ma esagerazione. Ci sono morti che fuggono dall'obitorio o dalla camera mortuaria, perché posseduti da entità aliene e maligne.
Ci sono imbalsamatori perversi che godono della solitudine col defunto.

Ricordo e sconsiglio Kissed e La necrofila, elogio appunto, alla necrofilia.
Ci sono i morti, quasi sempre cattivi, che tornano in vita per uccidere, divorare, vendicare. La letteratura cinematografica sui vari zombi e morti viventi, vanta numerose pellicole.

E una serie di contaminazioni che vanno dalla musica (ad esempio Thriller - canzone e video - di Michael Jackson) al fumetto (il re indiscusso è Dylan Dog, sempre alle prese con i non morti).
E poi i suicidi, gli omicidi, le stragi. I fantasmi. Che ritornano a consigliare o a far impazzire. Che infestano case e persone. Sempre e comunque con gran numero di vittime, spargimenti di sangue, atrocità varie e sentimenti di paura e terrore.

Non dimentichiamo mummie e vampiri che, nell'immaginario filmico, sono sempre malvagi. Si risvegliano e agiscono rubando vite con truculenza.

In tutti questi film, che non ho nominato ma che tutti abbiamo ben in mente, vengono creati dei veri e propri luoghi comuni. E mi riferisco anche ai cimiteri.

Se non c'è un essere sospetto nascosto dietro un albero che spia minaccioso la funzione, di sicuro in seguito, ci saranno delle creature in agguato.

Avrete visto Pet Cemetery I e II.
Cagnolini e gattini mansueti che da morti si trasformano in belve sanguinarie brutte e spelacchiate pronte a divorare chiunque.

Oppure poveri stolti che costruiscono case su ossari e cimiteri dimenticati le cui salme improvvisamente si rimaterializzano e tentano la strage.

Nei film dell'orrore il cimitero è sempre nella penombra, anche alle due del pomeriggio. Le tombe sono spesso abbandonate, in balia di foglie secche e piante rampicanti. Cedimenti del terreno che le rendono storte, sprofondate.

Udiamo fruscii inquietanti, sospiri, rametti scricchiolanti sotto passi invisibili e canti lugubri di uccelli notturni. Il guardiano è sempre uno pseudo disadattato inguardabile e spaventoso.

La grandezza del cinema sta nel rappresentare la vita avvalendosi di una interpretazione.

Esulando dal fantastico e dall'immaginario alle volte distorto che stravolge vite e morti intralciando la meraviglia della finzione e il racconto del reale, vi sono molti e molti film che celebrano verità e realtà del rito funebre e del mondo di piccole e grandi attenzioni che vi stanno intorno. E alcuni di questi film, li vedremo insieme dal prossimo numero.
 
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