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DIALOGO AL SOLE, UN VENERDÌ

Chi sei? Che fai? Sì, dico a te, taciturno signore sulla carrozzina..."
" Sono io, e sto qui, seduto, assaporando zitto e pigro il caldo sole di questo pomeriggio azzurro, terso e bellissimo!".

"E come stai?"
"Malissimo!".

"Com'è possibile? Pari placido e sereno come un bove che, sazio, rumina piano!?"
"Non serve far chiasso per dar luogo al mondo di sapere le tue cose: quando stai malissimo lo stai, e basta. Tanto vale starci al sole, quieto e taciturno, e condire col canto degli uccelli, che vanno e tornano al di sopra di questo bel prato, l'amarezza che è già da sé fin troppo rumorosa e strilla da dentro".

"E se posso... a questo punto, cos'è che ti turba così tanto e proprio adesso?".
"Sto contando i tagli, le ferite, gli sfregi...".

"In che senso, scusa? Bene appollaiato così come sei, non mi sembri sanguinare, e poi, suvvia, dopo tutti questi anni... non mi dire che sei ancora lì, a rimuginare".
"È il vento tiepido che mi carezza il viso che innesca il movimento; come ad un mulino, muove le pale del ripensamento, e allora tutto prende a girare, perché in questo caldo pomeriggio di sole, viene voglia di alzarsi, trapassare il vento e camminare. Ecco perché mi girano le palle, e non soltanto quelle, è perché lo vorrei terribilmente, ma proprio non lo posso fare".

"E io che credevo che ormai ti fossi rassegnato, abituato ed integrato...".
"Mi sono nascosto tra ciuffi, grappoli e schiamazzi di vita, ma adesso, in questo momento, in un giorno così terribilmente splendido e lucente, mi sono ritrovato".

"E ti succede ancora spesso?".
"Quando il mondo è bello e sereno come in questo venerdì, a volte sì".

"Dopo tutti questi anni?".
"Sono quasi sedici ormai... non mi pare poca cosa!".

"Certo che, a pensarci bene, non sono pochi davvero, un terzo della tua vita; a volte mi chiedo come hai fatto finora, a guardarti sembri fin troppo sereno, quasi contento, persino spiritoso. Non tutti quelli che saltellano come dei grilli paiono altrettanto rilassati e tranquilli".
"La senti? Fai bene attenzione. È ancora lei, l'aria calda dell'estate: lusinga il corpo che mi rimane e lo cosparge di erotici profumi di resine, muffe e altri vegetali, trasporta suoni lontani di voci e di trattori, di giochi di bimbi e cani; e poi i silenzi, lunghissimi tra l'uno e un altro. Non è fantastico?".

"Lo è. Ma parlami dei tagli, delle ferite e degli sfregi".
"Non è come a prima vista può sembrare... Non è questo corpo immobile e straziato a farmi più male: i tagli sono dentro, nel cervello, sono i ricordi dei giorni passati, quand'ero più giovane e consapevole d'essere nato sano, sveglio, giocoso e quasi bello. Sono i tanti rimpianti e i piccoli rimorsi, sono i fruscii della coscienza, sono il dolore che fa la solitudine e le immagini di com'ero, a volte a colori, altre in bianco e nero, sono voci a volte dure, altre buone, dolci, ma troppo lontane, che, come un disco senza fine, mi rimbombano di sottofondo, qui sotto il cappello".

"Non deve essere uno spasso, diamine, un vero stress!".
"Dipende. A volte è languida, melanconica, ma viva compagnia, è un mondo incantato in cui lasciarsi sprofondare e, anche se con molto rammarico, trastullarsi, rinverdire, perché il passato è quella cosa tutta tua che mai nessuno ti potrà modificare. Io soltanto so dove sta il falso e dove è vero, e dove posso giocare a replicare sprazzi di un'altra vita. Comunque riconosco che a volte è come girare in tondo a mezzanotte come un fesso dentro un bosco, senza luna né pila".

"Bada, non ti vantare troppo riguardo a certe cose... E le ferite, dove stanno? In apparenza sembrerebbero la stessa cosa...".
"I tagli sono lunghi e profondi, per quanto possano guarire resta sempre una profonda cicatrice. Le mie ferite, invece, sono larghe escoriazioni a viva pelle, brutti scivoloni irrazionali, stati emotivi che fanno male, ma, a volte e con il tempo, capita di rimarginarle senza lasciare troppe menomazioni. Sono i resti ancora un poco vivi di lontani, struggenti sentimenti, eccitazioni, irrazionali impulsi umani, forti emozioni, fuggiasche illusioni, fragili convincimenti, amori andati; sono le volatili passioni che fanno a pezzi il cuore e poi se ne vanno. È proprio lì che stanno!".

"Molto istruttivo. E sottile è il discernimento. E gli sfregi, sono cosa peggiore?".
"Sì lo sono. Sono schiaffi, sono le offese più meschine, gli insulti ponderati, le menzogne intelligenti, le umiliazioni bene elaborate e i vili tradimenti, sono l'animo cattivo e insospettato delle genti più normali. Gli sfregi sono sguardi, gesti e parole peggiori di tutti quanti i mali. Gli sfregi sono furti, stanno sopra, sotto e qui; sono nei cattivi pensieri che recintano le più subdole intenzioni. Fanno strage di innocenti, in cui entrano ed escono ininterrottamente, lasciando il segno dentro e fuori, sulle rughe, dentro agli occhi, nella gola e tra la mente. Non li puoi scacciare, sono sfregi, ti deturpano per sempre. Sono sangue che chiama sangue, ma il mio ribolle e basta, bloccato qui, nelle mie umane, ma mute vendette, inutilmente...".

"E tutto questo è adesso? Stipato, compresso nel tuo sguardo lontano? Sotto questo cielo, mentre sei seduto, assaporando zitto e pigro il caldo sole di questo pomeriggio azzurro, terso e bellissimo?".
"Adesso e sempre, progressivamente, man mano la vita mi vive vivendo e mi segna il passaggio, in attesa che il tempo ritorni zero. Frattanto, se me lo consenti, senza far chiasso e pur stando malissimo, non disdegno il tepore del sole e ascolto gli uccelli cantare, in attesa di un abbraccio, di un altro amore".

"E com'è che tra tutto codesto tormento, pari placido e sereno come un bove che, sazio, rumina piano?".
"È esperienza di lunga data, è continuo allenamento".

"E cos'altro temi ancora, taciturno signore seduto in carrozzina? Cosa può cagionarti altra placida ansia oppure scatenarti un nuovo, inatteso, violento e frenetico tormento?".
"Temo altri tagli, nuove ferite, detestabili sfregi, questo forse; in misura minore temo Te, loquace Morte, che mi vivi dentro da che nacqui, clessidra implacabile e severa di questo mio tempo terreno. Non mi arrabbierò nel momento in cui reclamerai il mio corpo, che già ti appartiene per più di metà da tanti anni. Non maledirò né Te, né Dio, cosa che non feci mai, o forse sì, quasi..., però di rado, e... mai convinto veramente. Forse mi dispiacerà barattarmi per l'incerto, lasciare questo mondo esigente, ma ben fatto, cosparso di inni alla vita, gaio e stupefacente. Mi dispiacerà salutare il tepore dei raggi e il ritmico tamburellare della pioggia, rinunciare a perdermi tra il canto degli uccelli assaporando zitto e pigro il caldo sole, come in questo pomeriggio azzurro, terso e bellissimo. Mi dispiacerà, ma non sarà un taglio, perché non ti potrò mai ricordare, né una ferita, perché sarai fiscale, ma sincera, e neppure uno sfregio; il morire è onesta paga per la vita, è naturale, di sicuro è un salasso poco ambito, ma si sa che è da saldare, e poi non è una offesa".

"Bella storia mi hai narrato, uomo triste e malinconico, ma a me simpatico: ora so chi sei e cosa fai, qui zitto a meditare; ti dico grazie per l'intrattenimento. Non sempre mi capita un confronto tanto mite e così cordiale. Tornerò, ma per ora ti saluto e me ne vado a conversare altrove: altra storia, altro insegnamento. Nel frattempo goditi il tramonto e nuovi suoni ed altri uccelli, l'oggi è andato via così; poi, come sempre, per una volta ancora sarà domani".
"Arrivederci a te, Morte curiosa e ciarliera, questo giorno luminoso che volge al suo smorzato trapasso sta dando adesso il meglio dei suoi colori; rubizzo, infinito e bellissimo. Guarderò il cielo fino all'imbrunire, e poi vivrò stanotte, se vorrai, nascosto tra ciuffi, grappoli e schiamazzi di vita. Io, sto malissimo, conto tagli, sfregi e ferite, ma placido come un bove che rumina piano, assaporo anche minuscole gioie, flebili odori, e impercettibili sapori. E di morire non ho più troppa fretta: domani è sabato, arriverà un abbraccio!".

Mentre il sole del venerdì d'agosto calava ad occidente, a cospargere di luce altri pomeriggi azzurri, tersi e bellissimi, volando su terre distanti, mitigando cuori e animi emotivi, troppe volte offesi e lacerati da tagli, ferite e sfregi, ciascuno immerso nel suo vivere, quasi sereno, silenziosamente.
 
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