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METAMORPHOSEN DI RICHARD STRAUSS:

IL CONGEDO DA UN MONDO CHE MUORE

Richard Strauss (1864/1949) fu per molti anni un autentico dominatore della vita musicale tedesca, sia nella veste di compositore che in quella di direttore d'orchestra e dirigente di grandi istituzioni musicali. Quando, negli anni Trenta, la sua gloriosa ed operosa vecchiaia assistette all'imporsi del regime nazista, tale situazione non ebbe a mutare: cariche, prebende ed onori raggiunsero anzi il culmine, né parve che la convivenza, la contiguità con quel regime dovessero turbarlo più che tanto.
Strauss riteneva semplicemente di poter oggettivamente assumere quei ruoli e quelle responsabilità meglio di chiunque altro, e che la cultura musicale tedesca, quale che fosse la situazione politica vigente, in qualche modo dovesse quei riconoscimenti e quei ruoli proprio a lui: a settant'anni, carico di successi, egli poteva veramente per certi aspetti incarnare nella sua persona e nella sua opera il culmine di quella gloriosa tradizione. Nulla a che vedere, comunque, con le drammatiche vicende che videro indotti o costretti all'emigrazione tanti e tanti altri protagonisti di quel mondo: basti pensare per esempio ad un compositore diversissimo, ma altrettanto e per certi aspetti anche più significativo di Strauss come Arnold Schoenberg.
Quella condiscendenza o indifferenza nei confronti del regime nazista gli fu inevitabilmente rimproverata; eppure quel sentirsi depositario finale di una grande tradizione non fu mera vanagloria. Lo testimoniano l'estrema composizione vocale, i bellissimi Quattro ultimi lieder del 1947 (dove il termine ultimi assume evidentemente una risonanza molto più che personale), e l'ultimo lavoro orchestrale, le Metamorphosen. Depositario finale, abbiamo scritto qui sopra, e non a caso. Strauss a ottantun anni, nel marzo del 1945, vide le fotografie che rappresentavano l'edificio della Staatsoper di Vienna ridotto ad un cumulo di macerie fumanti; due anni prima la sua città, Monaco di Baviera, era stata pesantemente bombardata, ed era andato distrutto il suo celeberrimo Teatro dell'Opera, da lui per tanti anni diretto. "La più grande catastrofe della mia vita", la definì Strauss; ma sentì che non erano solo i luoghi più emblematici e cari della sua lunga vita a cadere in pezzi. Nella catastrofe della Germania, pareva dissolversi per sempre il suo spirito, la sua cultura stessa, non solo musicale.
È così che nasce l'ultimo capolavoro strumentale di Strauss, quelle Metamorphosen per 23 archi appunto che, compiute il 13 aprile del 1945 (poche settimane prima della capitolazione), a quel mondo che muore danno uno struggente, intensissimo addio. "In memoriam", scrive Strauss nell'autografo quando compare per l'ultima volta il tema principale della composizione, un tema che, certo non a caso, è una citazione dalla Marcia funebre della Terza Sinfonia ‘Eroica' di Beethoven.
 
Franco Bergamasco

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