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Il cimitero di Oropa

Il Santuario di Oropa, il più grande santuario mariano delle Alpi, possiede un cimitero monumentale dalle caratteristiche peculiari: esso è situato in montagna, oltre i mille metri di altezza, e nella sua parte superiore le edicole funerarie sono sparse entro un bosco di grandi faggi - preesistente alla creazione del camposanto, e di esso assai più ampio - in forte pendenza. Ne risulta un ambiente di grande suggestione e originalità. L'insieme, costituito da un campo aperto delimitato da un porticato e dal soprastante bosco, ricorda l'assai più grande cimitero di Genova: non per nulla quello di Oropa è stato definito "la piccola Staglieno".
Inaugurato nel 1877 su progetto di Ernesto Camusso e ampliato nel 1888, nel 1934 (progetto di Quinto Grupallo) e nel 1967 (progetto di Alessandro Trompetto) - senza per nulla stravolgere l'impianto originario, anzi in piena armonia con esso - il camposanto oropense presenta motivi di interesse sia per i personaggi ivi sepolti, sia per le opere di scultura, pittura e architettura che contiene. Qui riposano lo statista Quintino Sella, tre vescovi fra cui monsignor Giovanni Pietro Losana - il più famoso e benemerito fra coloro che ressero la diocesi di Biella - nonché innumerevoli prestigiosi imprenditori (lanieri e non, da Oreste Rivetti a Riccardo Gualino), uomini politici (qualcuno dei quali fu deputato, senatore o sindaco di Biella), combattenti (come la Medaglia d'Oro Costantino Crosa), artisti (fra cui va annoverato il grande fotografo Vittorio Sella), scienziati e nobili biellesi.
Fra le notevoli opere di scultura si segnalano in primo luogo quelle del casalese Leonardo Bistolfi, capofila del Simbolismo italiano (tombe Canepa e Serralunga), e del lombardo Odoardo Tabacchi, che succedette a Vincenzo Vela sulla cattedra di scultura dell'Accademia Albertina di Torino dalla quale per decenni insegnò egregiamente l'arte a legioni di scultori, compreso un biellese (tomba Ramella). I torinesi Edoardo Rubino, con la tomba Maggia, e Cesare Biscarra, con la tomba Bona, hanno lasciato nella "piccola Staglieno" due fra i loro massimi capolavori. Ma per il cimitero di Oropa lavorarono scultori di tutta Italia, come il ligure Burlando, i lombardi Romeo Rota e Stefano Argenti, il toscano Sergio Vatteroni, il pugliese Donato Gramegna, il veneziano Giuseppe Nori, il siciliano Carmelo Cappello, oggi assai apprezzato (Ragusa gli ha dedicato un museo), nonché Virgilio Audagna che nacque e morì in Costa Azzurra. Numerose, naturalmente, le opere di artisti piemontesi (oltre a quelli già citati vanno ricordati Corrado Betta, Celestino Fumagalli, Emilio Musso e Giuseppe Sartorio) e dei maggiori scultori biellesi: Giuseppe Bottinelli (con la imponente e originale composizione bronzea sulla tomba di famiglia e alcuni finissimi ritratti), Massimino Perino, Sebastiano Caneparo, Stefano Vigna. A costoro va aggiunto l'umbro Gino Piccioni che a lungo abitò a Biella. Quest'ultimo fu anche pittore: a lui, a Vittorio Cavalleri e a Carlo Gaudina si devono le pregevoli pitture che ornano alcune tombe. Nel complesso, la "piccola Staglieno" ci permette di seguire l'evoluzione della scultura italiana degli ultimi centotrenta anni: vi possiamo cogliere echi neoclassici (vi è persino una versione in bronzo della marmorea tomba degli Stuart che Antonio Canova scolpì per San Pietro in Vaticano), realismo e simbolismo, con qualche richiamo alla scapigliatura e alle stilizzazioni proprie delle correnti artistiche più aggiornate.
In campo architettonico, oltre all'insieme più antico (porticato semicircolare, cappella e campo aperto) dovuto al Camusso, vanno osservate la piramide di sienite che contiene le spoglie di Quintino Sella, progettata da Carlo Maggia, testimone - insieme a qualche edicola che ricalca la forma della mastaba egizia - del gusto per l'antico Egitto (sia pure mediato in questo caso dalla piramide romana di Caio Cestio) che ebbe una certa diffusione, a vari livelli, fra Otto e Novecento; la circolare edicola Gualino, dovuta allo scultore Pietro Canonica qui in veste di architetto; e la bramantesca edicola Ferrua, anch'essa circolare. I maggiori architetti biellesi, a cominciare da Nicola Mosso, hanno lasciato la loro firma sui progetti per le tombe di Oropa - conservati nell'archivio del Santuario e sovente costituiti da splendidi e curatissimi disegni, essi stessi opere d'arte - insieme a colleghi torinesi, milanesi e liguri. Questi monumenti funerari permettono, assai più di quanto non succeda negli altri cimiteri della provincia, di leggere il mutevole rapporto con la morte che la società biellese ebbe nell'ultimo scorcio dell'Ottocento e lungo tutto il Novecento: alla magniloquenza classicheggiante e allo sfoggio dei mezzi posseduti dalla famiglia (si veda l'enorme edicola Rivetti) fa seguito, nel secondo dopoguerra, la moda antimonumentale - suggerita dall'ambiente montano - delle ultime dimore in foggia di piccoli chalet, a indicare che la morte non è che la normale prosecuzione dell'ordinaria vita di tutti i giorni. Tale modello viene a sua volta superato e si ritorna, nelle ultime realizzazioni, a una sobria classicità.
Ultimo, ma non trascurabile, motivo di interesse che il cimitero di Oropa presenta sono le epigrafi. Soprattutto le lapidi ottocentesche e quelle del primo Novecento ne sono ricche: esse raccontano al visitatore innumerevoli storie, a volte drammatiche (come per chi cadde sulle soprastanti montagne o per chi combatté) e a volte quiete (come per chi lavorò come apprezzato cameriere fin quando passò a miglior vita), e permettono anch'esse a loro modo di gettare uno sguardo sulle abitudini e sulle idee di società che, quantunque precedano di poche generazioni quella attuale, paiono oggi lontanissime: chi riposa in pace a Oropa affrontò da vivo problemi quali l'angosciante scelta fra Francia e Italia cui furono obbligati coloro che erano nati in Savoia al momento della cessione di quest'ultima a Napoleone III!

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