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Memorie e rappresentazioni nei sepolcri

La celebrazione degli artisti alla Certosa di Bologna

Il cimitero comunale della Certosa di Bologna si rivelò, in epoca ottocentesca, culla della scultura e riflesso della pittura allora circolante nella società bolognese. Con la sua istituzione, nel 1801, le famiglie dell'antica aristocrazia senatoria, da sempre proprietarie di cappelle gentilizie per la sepoltura all'interno delle chiese bolognesi, si trovarono forzatamente accomunate nel medesimo luogo con la nascente borghesia della società napoleonica, creando così un vasto spettro di quella che era l'evoluzione artistica, ma anche sociale e politica. È curioso notare come artisti di diversa formazione si trovarono a lavorare in Certosa nei medesimi periodi creando una sorta di "cantiere-museo" che, favorendo scambi e confronti, portò a risultati di grande raffinatezza celebrativa. Molti di questi artisti, soprattutto scultori, trovarono nelle commissioni per la Certosa una sicura fonte di sostentamento in uno dei luoghi che godeva allora di fama internazionale ed era visitato da letterati e cultori delle belle arti. Come vennero onorati questi artisti, dopo la morte, nei loro sepolcri?

 

Giovanni Putti (1771- 1847), allievo dell'Accademia Clementina (poi Accademia delle Belle Arti), si distinse, negli anni di studio, con la vittoria di numerose medaglie accademiche e nel 1810, ormai noto ed esperto artista, con il Premio Curlandese di Scultura. Si specializzò nella realizzazione di apparati effimeri che, ad inizio Ottocento, venivano eseguiti durante la Settimana Santa o per le esequie di personaggi illustri. La sua attività si spostò a Milano nel 1809 per la realizzazione di un tripode d'argento che il Regno d'Italia avrebbe donato al Re di Roma. Partecipò alla fabbrica del Duomo prendendo parte ai lavori per la facciata ed eseguì quattro Vittorie equestri per la decorazione plastica posta sull'attico dell'Arco della Pace in Sempione. Di nuovo a Bologna nel 1814, lavorò prevalentemente per i sepolcri bolognesi. Tra le innumerevoli commissioni che gli furono affidate da diverse famiglie bolognesi, uno degli esiti più alti è il sepolcro Ottani (già Baldi-Comi), uno dei rari sepolcri bolognesi decorati "a tecnica mista", frutto di una collaborazione tra i pittori Giacomo Savini e Flaminio Minozzi e lo stesso scultore. Un altro fu il sepolcro Buratti, nel quale viene ripreso un repertorio allegorico funebre ormai diffuso, quale il sarcofago, la clessidra, e il vegliardo con una grande falce, riprendendo la tecnica degli apparati effimeri di Adamo Tavolini. La bottega dello scultore sarà portata avanti dal figlio Massimiliano il quale, seguendo una prima formazione artistica sotto la guida del padre e proseguendo gli studi in ambiente romano, troverà anch'egli numerose commissioni in Certosa. Il sepolcro dei due artisti è rappresentato da una semplice lapide con cimasa in marmo grigio collocata a parete e riportante la seguente iscrizione: "Famiglia Putti / Giovanni Putti / scultore M. 1847". La gloria della loro opera, così poco elogiata nel monumento funebre, permane però in ogni angolo del cimitero.

Altro artista di medesimo profilo è Luigi Acquisti (1745-1823). Nasce a Forlì, ma anche la sua formazione avviene presso l'Accademia Clementina di Bologna dove fu allievo del Bianconi. La sua attività inizia, nella seconda metà del settecento, nella città felsinea dove si collocano le prime opere, tra cui le decorazioni di Palazzo Zambeccari e le Sibille dei pennacchi per la chiesa di Santa Maria della Vita. Tra il 1806 e il 1810 opera a Roma e a Milano dove otterrà numerosi riconoscimenti per il suo esuberante stile barocco poi addolcito da influssi classici. Tra le opere di questo periodo ricordiamo lo scalone di Palazzo Braschi e il gruppo scultoreo con Venere e Marte a Roma, mentre a Milano prenderà parte ai lavori del Duomo ed ai rilievi dell'Arco della Pace. Ritornato a Bologna, non riuscirà più ad inserirsi nell'ambiente accademico, ormai dominato da Giacomo De Maria.

Tra le poche opere di Acquisti in Certosa, fra cui la tomba Monti-Bendini e quella Spada, vi è proprio il suo sepolcro. Troviamo così un connubio tra la sua attività ed una personale glorificazione. Dopo la morte, avvenuta il 2 dicembre 1823, fu comprata nel Chiostro d'Ingresso una nicchia per erigere un cippo alla sua memoria. La tomba venne progettata da Vincenzo Vannini con una iscrizione centrale posta tra due lesene e sulla sommità venne inserito il busto-autoritratto, paludato all'antica, realizzato in vita dallo scultore stesso. Il fondo della nicchia venne dipinto con una volta decorata a conchiglia. Oltre al busto, ben caratterizzato ma nello stesso tempo teso a nobilitare il personaggio con la compostezza classica di cui è rivestito, sono presenti altri riferimenti all'attività artistica del defunto. Alla base del ritratto vi è una decorazione a rilievo raffigurante gli strumenti tecnici dell'arte scultorea. Questo tema decorativo fu già trattato da Giacomo De Maria nella tomba del pittore Gaetano Gandolfi, nell'attiguo Chiostro Terzo.

Proprio per la realizzazione del monumento funebre a Gandolfi, ultimo epigono della pittura barocca, si aprì una gara tra scultori e decoratori. Il sepolcro, uno dei primi a carattere monumentale realizzati per il cimitero, venne commissionato dalla municipalità sia per onorare una delle figure di spicco della cultura cittadina, sia per incentivare con questo esempio la realizzazione di altri monumenti funebri. Alla sua realizzazione collaborarono più artisti (Giacomo De Maria, Giovanni Putti, Giovanni Calegari) in una sorta di gara accademica che la comunità artistica bolognese riservava alle occasioni più solenni. Il monumento venne poi successivamente modificato per inserire il busto in marmo del figlio Mauro Gandolfi, erede della bottega del padre.

Giacomo De Maria (1787-1838) è protagonista del rinnovamento neoclassico della scultura a Bologna. Discepolo di Domenico Piò, a sedici anni si aggiudica il premio Marsili-Aldrovandi, e prima di laurearsi anch'egli riceve, nel 1789, il Curlandese. Sarà però il soggiorno romano tra il 1887 e l'88, presso lo studio di Canova, a lanciarlo nel firmamento dell'area bolognese, procurandogli al suo ritorno commissioni illustri e l'incarico in Accademia. Scolpì numerosi busti di celebri uomini bolognesi e le sue opere sono presenti negli interni di molte residenze senatorie: da citare le statue in stucco degli atri e dello scalone di palazzo Hercolani e i monumenti per Palazzo Poggi. Per il cimitero della Certosa ricevette numerose commissioni, ma tra tutte spicca la tomba Caprara, realizzata nel 1817 circa. Questo monumento, celebrato da guide e repertori, s'impone all'attenzione del visitatore per la "corrispondenza d'amorosi sensi" così sentita in età neoclassica e qui ben espressa. Il desiderio di distinguersi della famiglia si esprime sia nella scelta di un materiale di pregio quale il marmo, raro a Bologna, sia nella scelta dello scultore più noto ed apprezzato in città. Il monumento Caprara divenne ben presto uno dei più celebrati e visitati del cimitero sia per il virtuosismo dell'esecuzione che per la qualità dei materiali. Per molti anni rimase uno dei rari monumenti in marmo della Certosa tra opere dipinte, in stucco o in gesso. Posto a confronto di così alta arte scultorea il sepolcro dell'artista è costituito da un'intera arcata nella quale è inserito un cippo con il suo ritratto. L'iscrizione afferma che il ritratto fu scolpito dal figlio Fabio De Maria in ricordo del padre. Diviene così glorificazione eterna della sua memoria di artista giustamente resa dalla sua discendenza. La celebrazione è inoltre confermata dall'epitaffio che qui riportiamo come esempio di massima resa encomiastica: "O tu che ti aggiri meditabondo tra questi lugubri chiostri, soffermati alla tomba dell'esimio maestro dell'arte scultorea Giacomo De Maria, bolognese, che dal 26 settembre 1838 settantaduesimo di sua vita vi dorme in pace. Rammenta quanto egli fece per richiamare l'arte sua agli onori di Fidia e saprai onorarlo".

 
Annalisa Bozzano

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