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IN CASA, PER MESI INTERI

In segno di lutto, molto spesso i congiunti si astengono dalle attività quotidiane.
Per isolarsi nel loro dolore e per non turbare il defunto, evitano di spazzare, mangiare carne o tenere acceso il fuoco.
Tanti i comportamenti vietati, in molte parti d´Europa ed anche in Italia.

Se nell´antica Roma si doveva digiunare o almeno era proibita la cottura dei cibi nella casa del defunto, in Abruzzo, ancora in tempi non troppo lontani, non si poteva cucinare finché la salma era in casa. Non uscire di casa, non preparare i pasti, non accendere il fuoco né mangiare determinati alimenti, sono stati, nei secoli, alcuni comportamenti con cui i congiunti hanno risposto ad una perdita in famiglia.

Il divieto di uscire nei secoli.
Rimanere chiusi nella propria abitazione corrispondeva alla duplice necessità di isolarsi nel proprio cordoglio e di evitare il contatto con una realtà che avrebbe potuto distrarre dal lutto. Nei secoli passati, il divieto di uscire richiamò spesso l´attenzione della legislazione ecclesiastica. Erano soprattutto le donne a praticare questa forma di lutto, ma proprio nel rispettarla, violavano l´obbligo della messa o di altre cerimonie. Così i vescovi veneti, alla fine del Quattrocento, si scagliarono contro i parenti che si astenevano dalle funzioni religiose. Nelle classi più elevate e nell´aristocrazia il ritiro per lutto era accompagnato da una etichetta imponente. Accadeva soprattutto nell´Ottocento: ad esempio, quando Isabella di Borbone, figlia di Ferdinando VII, apprese la notizia della morte del padre - era il 1833 - rimase sei settimane nella sua stanza, sempre a letto, appoggiata sui cuscini, portando un fazzoletto al collo, cappuccio e mantello. La sua camera era interamente tappezzata di nero, come l´anticamera; il pavimento era coperto da un grande drappo nero.
Le gentildonne europee rimanevano a letto sei settimane se moriva il marito, nove giorni se perdevano il padre o la madre, e per il rimanente delle sei settimane sedevano davanti al letto su un gran drappo nero. Per il fratello maggiore restavano in camera sei settimane.

Il ritiro nelle tradizioni popolari.
La grandiosità del comportamento ottocentesco si è via via ridotta nelle tradizioni popolari italiane. L´usanza, che è stata maggiormente diffusa nelle campagne ancora fino ai primi decenni del Novecento, ha coinvolto soprattutto le donne. In Basilicata, le donne rispettavano il lutto nella maniera più rigorosa, restando a casa, alle volte, dei mesi interi. Lasciavano socchiusa la porta d´entrata e la mattina e la sera, davanti al focolare, rievocavano e cantavano il proprio dolore. Anche in Calabria c´era una usanza analoga. In Sicilia, al divieto di uscire si aggiungeva quello di partecipare ai divertimenti. In Abruzzo, i parenti dovevano rimanere in casa per un periodo in relazione al grado di parentela con il defunto: la prima volta che uscivano era per andare alla messa, badando però che non fosse di giovedì o domenica, giorni dedicati ai matrimoni, che sarebbero stati turbati dalla presenza dei luttuati.

Niente fuoco né pasta.
Altre usanze segnavano in maniera molto profonda i giorni di lutto. Tra queste, lo spegnimento del fuoco domestico e l´impossibilità di cucinare. In Abruzzo, oltre a spegnere il fuoco per almeno due giorni, in molte località, per un intero mese "non si maneggiava la pasta" e il pane veniva comprato. In Molise sono stati segnalati i medesimi costumi, mentre in Calabria si è registrato che il fuoco non veniva acceso almeno per tre giorni, soprattutto in occasione della morte del padre. In Basilicata, nelle zone intorno a Potenza e Matera, la famiglia del defunto non doveva cucinare maccheroni e le donne dovevano rimanere a casa con il fuoco spento. Fino a qualche decennio fa, a Pisticci e a Ferrandina la vedova doveva rimanere a fuoco spento per lungo tempo.Nel resto d´Europa, il divieto di usare il fuoco era conosciuto soprattutto in Scozia. In alcuni paesi della Puglia, i parenti più stretti colpiti dalla perdita non mangiavano carne per parecchi giorni e, nei lutti più gravi, non si preparavano per un anno cibi raffinati, particolarmente gustosi, dolci e torte. Inoltre, la famiglia in lutto non mandava doni, ma poteva riceverne. Anche in Sicilia la morte di un congiunto comportava il divieto di alimentarsi per un determinato periodo e in alcuni casi, soprattutto quando si trattava di una persona importante, non si cucinava per un anno intero. Da Mentone arriva questa usanza: non si mangiava carne fino a quando rimaneva in casa il morto, perché si riteneva che ne avrebbe sofferto. In Portogallo non si friggeva nella padella: si temeva di friggere l´anima del defunto. Tale costume si osservava per un anno se si trattava di un uomo, mentre si poteva friggere senza rischio se era morta una donna.

Non si lavora e non si spazza.
Anche il venir meno alle normali occupazioni è stato un atteggiamento piuttosto diffuso nel periodo di lutto. In Romagna, poco prima di trasportare il defunto nella chiesa, la donna di casa sceglieva una anziana vicina a cui consegnare le chiavi, pregandola di fare le sue veci, preparare il pranzo e tutte le occupazioni necessarie. Infatti, nel giorno del funerale, le donne della famiglia non potevano svolgere le consuete attività domestiche. Questa usanza era praticata anche nelle Marche, dove i parenti del morto non dovevano riprendere nessuno dei lavori quotidiani fin dopo il funerale. L´abbandono della cura della casa rappresentava un segnale della tristezza che accompagnava il momento della perdita. Ma oltre a questo significato più superficiale, in tale comportamento si racchiudeva una particolare credenza: fare le pulizie, rassettare, avrebbe allontanato l´anima del defunto. Così spazzare le stanze era, soprattutto in Umbria, Abruzzo, Puglia spesso vietato: infatti, finché il morto era in casa, spolverare o usare la scopa avrebbe anche spazzato la sua anima dalla casa. Una usanza analoga è segnalata in Istria: solo dopo aver portato fuori il defunto, chi restava in casa apriva le finestre, ripuliva e risistemava subito tutto. In Sardegna, non si facevano le pulizie anche il 2 novembre, giorno in cui i defunti andavano a fare visita ai loro parenti. In Bretagna non si spolveravano i mobili nel timore di cacciare l´anima del defunto e di attirare la sua vendetta, così pure in Gironda. Anche a Saint-Remy, in Lorena, non si spazzava, perché si pensava che l´anima del morto riposasse per tre giorni nelle ceneri del focolare.

Non si fanno rumori e non si usa il telaio.
Se in Umbria per nove giorni non si metteva la tovaglia in tavola, non si dava e non si riceveva nulla in prestito e non si ospitavano persone, in alcuni comuni della Sicilia, finché il defunto era in casa, non si potevano usare le sedie: ci si sedeva a terra sui materassi tolti dal letto del morto. In Germania i parenti non dovevano eseguire lavori agricoli. In Russia non si poteva tessere perché il morto non avrebbe riposato nella tomba; inoltre, doveva fermarsi il mulino del mugnaio morto e nei villaggi si interrompevano i divertimenti all´aperto e le danze. In Francia non andavano portati via i beni del defunto: diversamente, si sarebbe obbligato il morto ad errare senza riposo per tentare di ritrovare gli oggetti che si erano impregnati del suo ultimo soffio. In alcune comunità, i divieti cadevano in modo particolare sui rumori: in Provenza era previsto il silenzio nella camera del defunto o nei suoi pressi. A Parigi c´era l´usanza di fermare i campanelli e le suonerie. Perché non disturbassero il dolore, venivano avvolti con paglia o con nastri.
 
Gianna Boetti

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