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La tragica scomparsa di Marco Simoncelli

UNA BRUTTISSIMA DOMENICA

Marco Simoncelli è morto laggiù, in una curva del circuito in terra di Malesia. È morto mentre tentava di raddrizzare la propria motocicletta da corsa scivolata, già sdraiata per terra. Marco Simoncelli è morto in un incidente che può accadere, altre colpe non ve ne sono. È morto un pilota mentre stava facendo il proprio mestiere. È un mestiere pericoloso e chi lo pratica lo sa e merita rispetto. È un mestiere che amo e che, anche per poche stagioni, a ben più umili livelli ho praticato molto tempo fa. Chi non conosce la poesia, la bellezza, la grazia e la matematica precisione del gesto, forse non può comprendere cosa significa correre in motocicletta. È l’uomo che diventa macchina e la macchina che si trasforma in uomo, è un insieme di gesti che, salendo di livello, sono destinati a pochi e selezionati i fuoriclasse.
Pilotare una motocicletta da corsa è semplicemente bellissimo. Bellissimo è l’ambiente: un ambiente di gente ancora genuina, che a volte litiga, ma sa quello che rischia e si rispetta. C’è ancora profumo di antichi cavalieri aggirandosi per i box, una atmosfera che si percepisce, che contamina, che colpisce chi entra in contatto con questo mondo per la prima volta e ne rimane rapito, stupito, innamorato per sempre.
Marco Simoncelli, tra i cavalieri di quella giostra che si muove per il mondo, era un cavallo di razza, un pilota velocissimo, ma soprattutto un ragazzo che emanava una simpatia in grado di perforare il video. Marco Simoncelli, umorismo romagnolo, battuta facile, sicuro di sé, odor di piadina, il suo nasone, il suo incredibile ciuffo di capelli rossi. Marco Simoncelli ormai era conosciuto e amato da tutti, anche da chi di sospensioni rovesciate, di telai in carbonio e di controllo di trazione di un motore da 250 cavalli non capisce alcunché.
 Marco Simoncelli è morto laggiù, in un istante deciso dal fato, forse non se ne è neppure reso conto. Nessuno voleva rendersene conto, nessuno voleva crederci, dentro e fuori dal video. Il silenzio è caduto nel cuore di un immenso numero di appassionati e le lacrime sono scese spontanee: unico, naturale, incredulo tributo ad un ragazzo di ventiquattro anni che aveva saputo conquistare la gente del mondo. Marco Simoncelli è morto forse calpestato dal suo miglior amico, da quel Valentino Rossi del quale è inutile elencare le gesta. Si è trattato di un disegno malvagio tracciato da un destino fin troppo casuale. L’ambiente delle corse, per quel che lo conosco, per parecchio tempo non sarà più lo stesso; poi lo scorrere delle stagioni sarà medicina, nuove corse verranno e Marco Simoncelli prenderà il proprio posto nello strano Olimpo degli eroi di quello sport animato da moderni cavalieri senza macchia e senza paura.
Queste note sono il tributo personale di chi, come me, ama la motocicletta anche se non la può più guidare. Sono un mio momento di tristezza, di dolore. Sono il ringraziamento ad un campione che ha lasciato un vuoto colossale, a un ragazzo dotato di una grande determinazione, di un gesto tecnico molto particolare, di una guida a gomiti aperti, inconfondibile, spettacolare. Sono un invito, per chi non ne ha mai vista una, ad andare a vedere qualche gara del mondiale, ad appassionarsi, a capire l’armonia del gesto e a comprendere che correre in senso rettilineo orizzontale è una reminiscenza primitiva dell’uomo. Si correva per mangiare e per non essere mangiati agli albori del mondo. Sono un tributo ad un ragazzo simpatico che conosceva bene il proprio mestiere.
Addio Marco! Spero che il paradiso, oltre alle macchine per il caffè, sia provvisto di qualche pista. Sono tanti i campioni finiti lassù, gente dotata di stile e di coraggio. Li immagino tutti insieme a parlare di gomme, di olio e di motori. La passione per la motocicletta è un qualcosa che non muore mai.
 
Carlo Mariano Sartoris


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