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17 marzo: San Giuseppe D'Arimatea

Auguri a tutti i "becchini" d'Italia

Venuta la sera, giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.
Matteo 12,57

Tutti vorrebbero per i propri cari un funerale elegante e curato: alcuni fanno scelte più sobrie, altri più sfarzose, secondo l’uso e il gusto del tempo.
Ma quando l’organizzazione delle esequie non è semplice o quando si verificano intoppi e difficoltà i professionisti del settore, gli impresari di onoranze funebri, si trovano ad alzare gli occhi al cielo e i più devoti si rivolgono al loro santo protettore: San Giuseppe di Arimatea. Per una strana coincidenza di date, quest’anno la festa nazionale del 17 marzo, che vuole celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia, è anche la ricorrenza dedicata a questo Santo da cattolici, luterani ed anglicani. In oriente, invece, la chiesa greco ortodossa lo ricorda il 31 luglio o la seconda domenica dopo Pasqua, “la festa dei portatori di mirra”, e altri calendari il 30 o il 31 agosto. San Giuseppe di Arimatea è venerato da tutte le confessioni religiose che ammettono il culto dei Santi.
La sua storia è particolare: insieme a San Nicodemo (che, secondo tradizione, si era recato alla deposizione del Cristo con mirra ed aloe per ungerne le spoglie) può essere considerato il primo impresario funebre della tradizione cristiana nonché il santo patrono dei funerali. Viene sempre descritto come “uomo buono e giusto” che “attendeva anch’egli il regno di Dio”; nell’iconografia classica è spesso raffigurato con una ampolla o con un vaso e con una stoffa bianca in mano o ai suoi piedi, la Sindone.
Giuseppe, come raccontano Luca e Marco nei loro Vangeli, era uno dei settanta componenti del Sinedrio, la suprema istituzione giudaica: nobile decurione (come Nicodemo, principe fariseo), era originario di Arimatea, la patria del profeta Samuele, che si trova attualmente in Israele nella zona palestinese. Uomo tra i più affermati e potenti del proprio contesto sociale, per ragioni di opportunità non avrebbe dovuto recarsi personalmente dal governatore romano Ponzio Pilato a chiedere la restituzione del corpo di Cristo: il diritto romano prevedeva che i sovversivi, così come i ladri e tutti coloro che compivano atti contrari alla legge, dovessero essere crocifissi e poi gettati nelle fosse comuni, senza nome né riconoscimento alcuno. Essendo un membro del sinedrio, a Giuseppe invece fu eccezionalmente concesso il corpo senza vita di Cristo: lo fece sistemare nella sua tomba personale, una grotta nelle vicinanze del Calvario davanti alla quale fu poi fatta rotolare una enorme pietra circolare. Non c è da stupirsi del fatto che volle donare a Gesù il proprio sepolcro: pare che ne fosse diventato un seguace pur non dichiarandolo pubblicamente per timore di ritorsioni ad opera dei rappresentanti del Sinedrio, ritorsioni che non tardarono ad arrivare visto il gesto compiuto.

La storia di Giuseppe è narrata anche nei Vangeli Apocrifi, quello di Pietro lo presenta, forse con qualche fondamento, come amico di Pilato al quale chiese il corpo di Cristo ancora prima della crocifissione per liberarlo; quello di Nicodemo racconta quel che gli accadde in conseguenza del suo gesto che, pur se autorizzato da Pilato, non passò inosservato agli occhi del Sinedrio: fu arrestato, processato e incarcerato in una torre perché morisse di stenti, ma fu anche miracolosamente liberato dal Cristo Risorto; ritrovato ad Arimatea, fu riportato a Gerusalemme dove narrò la sua prodigiosa libertà ritrovata.
Nel periodo Medievale ebbe clamorosa diffusione una nuova narrazione romanzata della vita di questo straordinario Santo da cui ebbe origine la tradizione leggendaria del Santo Graal che altro non era che il calice dell’ultima cena in seguito utilizzato da Giuseppe per raccogliere l’acqua mista a sangue che utilizzò per pulire il corpo martoriato di Gesù deposto dalla croce. Altre versioni tradizionali riferiscono che Giuseppe, con il prezioso reliquiario, peregrinò accompagnato da diversi cavalieri per evangelizzare la Francia (alcuni racconti sostengono che sarebbe sbarcato a Marsiglia con Lazzaro e le di lui sorelle Marta e Maria), la Spagna (dove sarebbe andato con San Giacomo, che lo avrebbe creato vescovo!), il Portogallo e l’Inghilterra. Nel suo peregrinare si fermò per ultimo nel monastero di Moyenmoutier di cui divenne abate.
Secondo la tradizione religiosa britannica morì sull’isolotto di San Patrizio, vicino all’isola di Man, e lì fu sepolto con il calice. Per tale motivo il calice (il Santo Graal) andò smarrito: i crociati e i cavalieri lo cercarono invano per più di mille anni e la leggenda narra che solo un cavaliere senza macchia e senza paura (Lancillotto) potesse ritrovarlo.
La Sacra Sindone (il lenzuolo che utilizzò per avvolgere il corpo di Gesù e su cui si formò l’impronta del corpo) fu attribuita alla pietas di Giuseppe di Arimatea per il Cristo deposto dalla croce. Così il Santo, dal Medioevo in poi, fu visto come protagonista di due diverse tradizioni: nella prima protettore e custode del leggendario Santo Graal ed evangelizzatore di Francia e Britannia; nella seconda involontario creatore della Sacra Sindone, oggi conservata a Torino, e fondatore della chiesa ortodossa d’oriente.
In ogni caso la storia di Giuseppe di Arimatea, intrisa di segreti e leggenda, è alla base della nostra tradizione religiosa, ma ci ricorda anche che la professione di impresario funebre esiste da oltre due millenni! Così, in occasione della giornata a lui dedicata, ci fa piacere fare gli auguri a tutti coloro che ogni giorno si occupano con serietà, con professionalità e con decoro dei defunti a loro affidati per le esequie!

 
Gaia Lucrezia Zaffarano


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