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SUPPELLETTILI E CIBO,
PER PROSEGUIRE IL CAMMINO

Per gli Egiziani la morte era la continuazione della vita terrena. Per questo ponevano nelle tombe tutto ciò che ritenevano potesse servire nell'aldilà. E, con la mummificazione, sottraevano il corpo alla distruzione

Le piramidi si ergono maestose al cielo e l'umanità continua ad ammirarle.

Capolavori e testimoni di una grande civiltà, le estreme dimore dei faraoni dell'Antico Egitto sono un miracolo di ingegneria ed un patrimonio immenso di arte e cultura.

Ma solo il faraone, che era per gli Egiziani un dio, poteva avere un luogo di sepoltura così imponente: per i suoi sudditi venivano costruite tombe attorno alle piramidi.

Era il sovrano stesso a concedere il terreno per la loro realizzazione entro il suo territorio. Si formavano così delle vere e proprie città dei morti, dove le tombe sembravano delle case effettive, separate da strade che davano luogo alla formazione di quartieri, sempre più nobili man mano che ci si avvicinava alla piramide regale. In questo modo, l'ordinamento sociale si trovava riprodotto dopo la morte: essendo sepolti nella zona più vicina al faraone, personaggi importanti, cortigiani e funzionari, conservavano in questo modo, eternamente, le proprie cariche accanto al loro re.

Secondo gli Egizi, solo il sovrano saliva al cielo e il destino riservato al comune mortale era quello di rimanere ad abitare la propria tomba, ove godeva di una vita postuma del tutto simile a quella terrestre. Così, proprio per avvicinare il defunto al mondo divino, ossia al faraone, si edificavano le tombe intorno alla sua imponente sepoltura.

VITA E MORTE, INDISSOLUBILMENTE LEGATE.
La morte era concepita come prosecuzione della vita terrena. Per questo gli Egizi ponevano nelle tombe tutto ciò che ritenevano utile al morto nell'aldilà: utensili, suppellettili, oggetti personali, cibo.

Inoltre, restò sempre ferma la credenza che l'anima, dopo la separazione dal corpo, avesse bisogno ancora di questo per continuare ad esistere: da ciò, appunto, la pratica della mummificazione, grazie alla quale il corpo era sottratto alla distruzione.

Gli Egizi, probabilmente, non hanno mai descritto nei particolari il processo di imbalsamazione, ampiamente usato dalla XVIII dinastia alla XXI dinastia, ossia dal 1500 al 1000 a.C. circa : infatti non è arrivato fino a noi alcun trattato di questo tipo. Ma, grazie agli scrittori greci, si sono potuti ricavare molti passaggi di questo procedimento.

Quando una persona moriva, il dolore veniva manifestato dalle donne "lamentatrici" con particolari gesti e pianti; poi il corpo veniva trasportato in un luogo particolare, la "casa della purificazione", dove aveva inizio la mummificazione. Le pratiche relative all'operazione duravano una settantina di giorni e anche più.

Nell'antico Egitto erano previsti tre tipi di procedimenti: uno era riservato alle classi più elevate, faraoni, principi, personaggi di alto rango, ed il costo era talmente elevato che pochi potevano permettersi un simile lusso; un secondo trattamento, meno accurato, era riservato alle classi medie ed un terzo, scarno ed essenziale, ai meno abbienti.

LE VARIE FASI DELL'IMBALSAMAZIONE.
La prima operazione competeva al "paraschista", un sacerdote chirurgo specializzato nella preparazione dei cadaveri.

Con un particolare coltello, che doveva assolutamente essere di selce, toglieva gli organi dal corpo, tranne il cuore e i reni, difficili da raggiungere per la loro posizione.

Gli organi rimossi dovevano essere trattati separatamente, imbalsamati e avvolti in bende: in un primo momento, venivano collocati in vasi speciali e deposti nella camera funeraria con il sarcofago; in seguito ci si limitò ad avvolgere le viscere e a ricollocarle nel corpo, dopo averle imbalsamate. Compiuta questa prima fase, interveniva il "taricheuta", che immergeva i resti del defunto in una sostanza salata, dove doveva rimanere per circa trentacinque giorni.

Quindi, si procedeva alla "toeletta funeraria", ritoccando il viso e inserendo nel corpo tamponi di lino e resine, aromi ed unguenti vari. Così composto, il corpo veniva pulito e, a questo punto, iniziava il processo di avvolgimento con le bende di lino.

Una vera forma di espressione artistica, dato che i bendaggi venivano effettuati secondo precisi schemi e introducendo tra i tessuti testi funebri, amuleti e gioielli: spesso si è trovato tra le gambe delle mummie una copia del Libro dei Morti, per gli Egizi il "manuale" di istruzione per affrontare il giudizio davanti al dio Osiride. Infine il volto era ricoperto da una maschera: di solito era di cartapesta, ma, per i grandi personaggi, veniva fabbricata in materiali molto più preziosi, combinando ad esempio l'oro, che era per gli Egizi la carne degli dei, ai lapislazzuli, di cui erano fatte le loro capigliature.

La maschera, poco per volta, si allargò, ricoprendo tutto il corpo e riproducendo l'aspetto del coperchio del sarcofago. Per ultimo, la mummia veniva collocata dentro il sarcofago, che cambiò nei vari periodi.

Se all'origine aveva quasi l'aspetto della casa del defunto, col tempo iniziò ad assumere la forma del corpo e ad essere inciso con formule e con la raffigurazione di alcuni oggetti cari o indispensabili al defunto.

IL RITO FUNEBRE.
Per quanto riguarda la cerimonia della sepoltura vera e propria, si sono ricostruiti alcuni rituali attraverso scene raffigurate nelle tombe. Dopo l'imbalsamazione, il defunto veniva portato in un punto della necropoli, denominato "Sais" come la città del Delta, per partecipare ad una offerta in un "luogo puro".

Questa offerta era soprattutto di tipo alimentare e comportava riti di macellazione, cui prendevano parte sia i sacerdoti imbalsamatori sia i sacerdoti che presiedevano il rito.

Di lì, il defunto iniziava un secondo viaggio verso un altro luogo della necropoli, che prendeva il nome di "Buto", città santa. Davanti all'ingresso della necropoli, si compivano poi gli ultimi riti di purificazione: in tutti questi pellegrinaggi le donne proseguivano i loro lamenti.

In alcuni dipinti arrivati a noi, si è visto ancora un singolare rituale: due sacerdoti fingevano di disputarsi il sarcofago, tirandolo ciascuno verso di sé.

L'uno era l'imbalsamatore, che cercava di trattenere il defunto tra i vivi, l'altro il sacerdote funerario, che lo spingeva invece nell'opposta direzione. Giunto all'ingresso della tomba, il corteo si fermava davanti alla porta dove si svolgeva il banchetto funebre; si portavano tutte le suppellettili nella camera mortuaria, poi vi si introducevano il sarcofago ed una statua del defunto, che si pensava andasse in pellegrinaggio ad Abido, la città santa di Osiride.

Dopo lo svolgimento dei riti di protezione, la tomba veniva sigillata per sempre. All'interno rimanevano suppellettili e dipinti, utili al defunto nella sua nuova vita.
 
Gianna Boetti

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