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Una significativa testimonianza

Mio marito è un tanatoesteta

“Mio marito è un tanatoesteta, ed io lo ammiro per questo”. È una frase, tratta dal film Departure (non famosissimo, ma che vale la pena guardare), che ho fatto mia perché rispetta la mia realtà. Mio marito è impresario funebre da più di trentacinque anni, ma in questi ultimi mesi ha iniziato ad amare la propria professione come mai aveva fatto prima.
E questo amore lo ha portato a volersi specializzare sempre più per poter ottenere risultati davvero sorprendenti. Quando lo osservo, intento nel suo lavoro, e vedo con quanta dedizione e con quale rispetto tratta le salme che gli vengono affidate, non posso che restare affascinata. Ridare la dignità a corpi spesso distrutti dal calvario di una lunga malattia o straziati da una disgrazia è per lui davvero una missione. Gli piace ricordare che tale dignità, se non se ne fa carico l’impresario funebre, il defunto non può darsela da solo. E questa è una verità innegabile.
Negli ultimi mesi ha avuto modo di frequentare i Corsi promossi dalla Scuola Superiore di Formazione per la Funeraria per migliorare il proprio bagaglio di esperienze sulla tanatoestetica e per apprendere i primi rudimenti sulla tanatoprassi: questa conoscenza gli ha spalancato nuovi orizzonti dal momento che tale trattamento consente di ottenere risultati ottimi e duraturi. Da allora non fa che documentarsi, leggendo libri ed articoli, e si sta impegnando perché un domani non troppo lontano la tanatoprassi sia resa possibile anche in Italia.
Ho dato anch’io una lettura veloce ad alcune pagine di un manuale sulla materia: sono rimasta esterrefatta scoprendo che l’autrice si sentiva quasi “disprezzata” dalla gente comune per via del proprio lavoro. Ritengo invece che queste persone vadano rispettate e stimate per ciò che fanno. Così come ammiriamo i medici che fanno di tutto per salvare le vite umane nel momento della malattia e della sofferenza, perché non dovremmo provare identici sentimenti per coloro che si prodigano affinché di una persona rimanga un ultimo ricordo rincuorante?
Nella società contemporanea assistiamo ad una progressiva perdita di valori, non ultimo quello della vita stessa in tutte le sue espressioni e in tutti i suoi stadi. Tendiamo a vedere la morte come una “brutta bestia nera”, a prendere le distanze dal nostro caro nel momento stesso in cui esso cessa di respirare, ma non di esistere, quasi la morte fosse una malattia contagiosa che può infettare il nostro organismo. Un cadavere non deve essere considerato un guscio vuoto che ha perso ogni diritto, ma deve avere la possibilità, un’ultima volta, di lasciare una impronta indelebile in coloro che desiderano rendergli l’estremo saluto.
 
Anna Zambonardi




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