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Filumena Marturano di Eduardo de Filippo

"Ma io nun so' morta!"

Filumena Marturano è sicuramente un titolo fra i più noti nella produzione drammaturgica di Eduardo de Filippo. Il personaggio femminile che ne è protagonista, vissuto nei volti di grandi attrici come Titina de Filippo, Regina Bianchi, Pupella Maggio, Joan Plowright e tante altre, è come se avesse varcato la soglia fra finzione e vita reale: ricordava qualche anno fa Andrea Camilleri che a Napoli, in vicolo san Liborio, vi erano persone che indicavano il “basso” dove visse… Molti dunque conoscono la storia dell’ex prostituta che il benestante viveur cinquantenne Domenico Soriano tira fuori dalla casa d’appuntamenti e tiene per venticinque anni come amante fissa (non unica), governante e collaboratrice, lontanissimo sempre dall’idea di regolarizzarne la posizione con il matrimonio. Nell’antefatto, che si suppone accaduto appena prima dell’aprirsi del sipario, Filumena è riuscita con uno stratagemma a sposare Domenico. La commedia sviluppa poi la vicenda, dalla furia del marito involontario alla rivendicazione delle ragioni della donna; dalla rivelazione dell’esistenza di tre figli all’annullamento del matrimonio; fino alla conclusiva, sincera accettazione da parte dell’uomo del matrimonio e della paternità di tutti e tre i ragazzi (uno è figlio suo, ma non saprà mai quale).
Si inizia con in scena Filumena, che però in teoria dovrebbe essere morta! Perché? Torniamo all’antefatto, e a quanto magistralmente lo rievoca. Quale espediente aveva usato Filumena? Quello di fingersi prima malata, poi agonizzante e moribonda; il parroco aveva chiesto a Domenico di acconsentire, con un atto di pietà, almeno alle estreme nozze in articulo mortis e lui, certo dell’imminente decesso, aveva accettato. Salvo ritrovarsi poi, all’aprirsi del sipario, a schiaffeggiarsi la fronte e ad inveire contro il mondo intero in presenza di lei che, in camicia da notte ma in piedi, sana come un pesce, dichiara la propria identità di Donna Filumena Soriano.
Ecco dunque esprimersi la profondità psicologica del personaggio, che rivendica drammaticamente il proprio diritto ad uno stato dignitoso, sociale ed umano; ma l’autore non rinuncia, nel presentare l’accaduto, a sviluppare le potenzialità anche “comiche” della situazione: di una commedia pur sempre si tratta. “Tanto che ce perdo? Chella sta murenno. È questione ’e n’atu paro d’ore e m’ ’a levo ’a tuorno”, dice Filumena rievocando beffardamente ciò che verosimilmente aveva pensato Domenico, appunto un paio d’ore prima. Ma “appena se n’è ghiuto ’o prèvete, me so ’mmenata ’a dint’ ’o lietto e ll’aggio ditto: tanti auguri, simmo marito e mugliera!”. La confidente Rosalia osserva da parte sua “Giesù, ma comme l’ha fatta naturale tutta ’a malatia”; “e pure l’agonia!”, soggiunge il tuttofare Alfredo, mentre “Vuie stateve zitte, sinnò ve metto in agonia a tutt’ ’e duie” è la risposta dell’esasperato Domenico.
Non scompare l’amarezza di fondo della situazione, quando Filumena ricorda che lui, nel suo cinismo, aveva assunto come pseudoinfermiera la ventiduenne ultima fiamma, (quella che veramente avrebbe avuto voglia di sposare), col coraggio pure di flirtare con lei nei pressi del letto della moribonda (finta, ma da loro creduta vera!): “se credevano ca io stevo pe’ da’ ll’anema a Dio e nun ’e vedevo”. Il pubblico torna a ridere quando Domenico osserva poco dopo “Ma pecché, tu murive e io nun avev’ ’a magnà cchiù?”, in tutta risposta alle recriminazioni della rediviva per la tavola apparecchiata, con tanto di rose rosse, che troneggia in effetti in mezzo alla scena: palese testimonianza della cenetta romantica che Domenico aveva previsto di fare, appena divenuto vedovo, a cadavere ancora caldo della povera Filumena. “Ma io nun so’ morta! E nun moro pe’ mo’, Dummì!". La vicenda assume una piega momentaneamente quasi farsesca quando arrivano i camerieri a portare le vivande ordinate da Domenico: “Nun è succiesa ’a cosa ca dicìveve vuie? Nun l’avite avuta ’a bbona nutizia?”. E non manca la ciliegina sulla torta: l’arrivo dell’amante infermiera che, non vedendo Filumena, si siede a tavola con la massima disinvoltura. Sarà la protagonista in persona a renderle noto l’accaduto, parlando in italiano: “Saranno i matrimoni che fanno bene, cert’è che mi sono sentita subito meglio. Mi sono alzata e abbiamo rimandato la morte”.
 
Franco Bergamasco

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