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Finta morte, vera tragedia: Romeo e Giulietta

Quale storia d'amore, d'amore e morte anzi, è più nota di quella di Romeo e Giulietta? Di famose storie d'amore e morte ce ne sono tante, ma forse nessuna che abbia come questa quel tipo di notorietà "popolare" che ha fatto dei due personaggi un elemento ovvio dell'immaginario collettivo più vasto e anche a buon mercato; con tutto ciò che questo comporta, dal finto balcone di Giulietta a Verona coi relativi souvenir al vecchio film di Zeffirelli. Insomma non c'è alcun bisogno di conoscere Shakespeare.
Forse però vale la pena, ogni tanto, di tornare al testo originale del bardo di Stratford-on-Avon e di ripercorrere con le sue parole, quelle vere, i momenti salienti del dramma, tra i quali certo primeggia, subito prima della conclusione, la grande "scena del cimitero". Già, perché se questa è una storia d'amore e morte insieme a mille altre, storia di morte lo è in modo ben particolare e pregnante.
Ricordiamo brevemente che la vicenda di Romeo and Juliet, ambientata in una Verona tardomedievale dilaniata dalla ferocia della lotta fra le fazioni, narra l'amore impossibile fra due giovani appartenenti alle due famiglie rivali dei Capuleti e dei Montecchi; e prima della conclusione già del sangue è stato versato: quello di Mercuzio, amico di Romeo, e quello del suo uccisore Tebaldo (cugino di lei), che Romeo colpisce in un disperato impeto di vendetta.
Ma veniamo al punto: nell'imminenza delle nozze cui il padre vuole costringere Giulietta, il confessore frate Lorenzo le propone - estremo rimedio - un potente narcotico che la farà credere a tutti morta per alcune ore; Romeo, avvisato dello stratagemma, scenderà nell'avello dei Capuleti per rapirla. È il caso di rilevare come alla formidabile inventiva verbale del poeta non sfugga l'occasione di variare su questo tema macabro: vediamo così la fanciulla che, piena di coraggio, si dichiara disposta, pur di riavere Romeo, a chiudersi anche "in un ossario zeppo di scricchiolanti ossa di morti, di putridi stinchi e di gialli crani scarniti", o di nascondersi insieme ad un morto nello stesso lenzuolo; ma poco più tardi, assalita dalla paura, immagina il momento del risveglio in mezzo ai resti degli avi e al corpo di suo cugino Tebaldo "che insanguinato giace putrefacendosi", e teme di perdere la ragione: "non mi metterò, come una pazza, a giocare con le ossa dei miei padri? E non strapperò dal funebre lenzuolo le membra di Tebaldo? E in questo accesso di furore brandendo, come una clava, un osso di qualche mio vecchio antenato, non mi farò schizzar fuori dalla testa le mie pazze cervella?".
Lo stratagemma viene messo in atto, ma vanamente. Inutile qui ricordare in che modo la finta morte si convertirà in vera, come tragedia pretende: il mancato avviso; Romeo che crede davvero morta l'amata; il suo arrivo al cimitero munito di un veleno per sé e di un ferro per aprire l'avello dei Capuleti (cui così si rivolge: "o detestabile bocca, o tu ventre della morte, satollato col boccone più prezioso della terra, così io forzo le tue putride mascelle ad aprirsi, e a tuo dispetto voglio ancora impinzarti di altro cibo"); la bellezza intatta di Giulietta che, dice l'amante, "trasforma questa tomba in una sala piena di festa e di luce", e "qui, qui io voglio rimanere insieme ai vermi che sono le tue ancelle" aggiunge, prima dell'ultimo bacio e del sorso di veleno. E certo ricordiamo il risveglio della fanciulla accanto al cadavere dell'amato, il suo ultimo bacio e le ultime parole: "oh pugnale benedetto! Ecco, il tuo fodero è questo (si colpisce): riposa qui dentro, e fammi morire".
Ed è così che si realizza il tragico epilogo già preconizzato qualche scena avanti dal Capuleti: le cose preparate per la festa "serviranno per un tetro funerale"; strumenti e allegria si muteranno in meste campane e triste mortorio; "i nostri fiori di nozze servono per la sepoltura, ed ogni cosa si cambia nel suo contrario".
 
Franco Bergamasco

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